di Marcello Gaballo
In molti si chiederanno perché oggi dedichiamo queste note a San Gregorio armeno, detto l’Illuminatore (in armeno: Գրիգոր Լուսաւորիչ traslato in Grigor Lusavorich; in greco Γρηγόριος Φωστήρ o Φωτιστής, Gregorios Phoster or Photistes) o Apostolo degli Armeni, nato e morto in Armenia (257 ca. – 330 ca.), nazione che si convertì al cristianesimo nel 301.
Festeggiato dalla Chiesa cattolica e ortodossa il 30 settembre, il santo vescovo è protettore della città di Nardò, che però lo festeggia da quasi tre secoli il 20 febbraio.
La tradizione vuole che la statua del santo, posta sulla sommità del Sedile cittadino, nella pubblica piazza, si sia miracolosamente spostata, quasi a rivolgersi verso l’epicentro del sisma che alle ore 16.30 del 20 febbraio 1743 aveva colpito Nardò e tutto il basso Ionio, con ingenti danni a persone e immobili[1]. 112 furono i morti e sarebbero stati molti di più, sempre secondo la tradizione, se non si fosse ottenuta l’intercessione del santo. Il sisma raggiunse il IX grado della Scala Mercalli e sembra che l’epicentro fosse localizzato nel canale di Otranto. Danni notevoli furono registrati anche a Francavilla Fontana, a Maruggio e ad Amaxichi, una località dell’isola di Lefkada (Isole Ioniche) in Grecia.
Volutamente tralasceremo le notizie biografiche del santo, ampiamente trattate su Wikipedia e su www.santiebeati.it, ai quali rimandiamo, accennando solamente ai punti salienti della vita e del martirologio, al fine di comprendere meglio le note iconografiche di cui si farà cenno in un prossimo studio.
Rifugiatosi in Cappadocia per sfuggire alla persecuzione dei sovrani arsacidi, avendo suo padre Anak ucciso il sovrano armeno Cosroe I, la famiglia si stabilì a Cesarea di Cappadocia, dove Gregorio venne educato al cristianesimo.
Giunto alla maggiore età, dopo essersi sposato con Mariam, figlia di un nobile dell’Armenia minore, dalla quale ebbe due figli, Vrtanes e Aristax, Gregorio cercò di introdurre la religione cristiana nel suo paese natale.
Rientrato in patria sotto il governo e al seguito di Tiridate III d’Armenia, figlio di Kosrov I che il padre di Gregorio aveva ucciso. Divenuto monaco visse sin dai primi momenti la persecuzione di Tiridate nei confronti dei cristiani in Armenia, che nel frattempo Gregorio aveva conquistato con l’efficace campagna di predicazione. Essendosi rifiutato di offrire incenso alla dea Anahita, il re ordinò d’imprigionare Gregorio nella fortezza-prigione di Artashat, dove restò per ben tredici anni.
Una lunga malattia del re si risolse con l’intervento di Gregorio, che da quel momento ottenne la conversione di Tiridate e il riconoscimento della religione cristiana in Armenia.
Nel 302 Gregorio ricevette dal metropolita Leonzio di Cesarea la consacrazione a Patriarca d’Armenia o Katholikos, divenendo riferimento principale per la comunità cristiana ed incentivando, con l’aiuto del re, la costruzione di edifici sacri, tra cui Echmiadzin, che divenne il fulcro della cristianità armena.
Dopo un’intensa e protratta campagna di evangelizzazione decise di ritirarsi a vita anacoretica, affidando nel 318 la cura del popolo cristiano a suo figlio Aristax, anch’egli vescovo, poi ucciso, cui subentrò il fratello Vertanes, che rivestì la carica dal 333 al 341 (entrambi saranno poi canonizzati quali santi dalla Chiesa apostolica armena).
Gregorio morì in un eremo sul monte Sepouh all’incirca nell’anno 328 e fu sepolto in un suo podere a Thordan, villaggio della regione di Daranalik’. I resti vennero portati nel villaggio armeno di Tharotan, da cui alcune parti avrebbero poi costituito delle reliquie sparse in vari luoghi del mondo.
Il cranio sembra doversi trovare a Napoli, nella chiesa di San Gregorio Armeno, un tempo officiata dalle monache basiliane; la mano destra si troverebbe a Etchmiadzin e con essa viene benedetto ogni nuovo Katholikos, quella sinistra a Sis.
A Nardò si trovava una parte dell’avambraccio, secondo la tradizione qui trasportata da monaci armeni in fuga dalla persecuzione iconoclasta di Costantino Copronimo (VIII secolo).
Il reliquiario a braccio che la conteneva, in argento, terminante con una mano benedicente, fu fatto realizzare dal vescovo Cesare Bovio (1577-1583). Trafugato nel 1975 e mai più ritrovato, fu sostituito con una copia, contenente in una teca ovaliforme un metacarpo, parte delle reliquie conservate a Napoli. Fu donata alla città nel 1981 dal cardinale Corrado Ursi, già vescovo di Nardò, poi arcivescovo di Napoli, in occasione della riapertura della Cattedrale, dopo gli ultimi lavori di restauro.
Anche se la gran parte degli Autori ritiene il Santo protettore della città solo dopo il terremoto del 20 febbraio 1743, in verità esso lo era già da molto tempo prima e comunque con certezza nel 1613. A darne prova è un atto notarile di questo anno, in cui si descrive che i due sindaci della città ed il tesoriere della Cattedrale abate Giulio Cesare Rapanà aprono la cassetta delle offerte posizionata nella cappella delle reliquie dei Santi Gregorio Armeno et sotiorum, nell’ ala sinistra dall’ ingresso, trovandovi in essa 3 tareni e 3 grana. Un’ ulteriore conferma la si legge nella visita del Sanfelice del 1719 nella quale si trascrive un’ epigrafe datata 1618 in cui, tra l’altro, è riportato: S. Gregorii Armeniae archiepiscopi Neriti patroni.
Nella diocesi di Nardò-Gallipoli San Gregorio è comprotettore insieme a Sant’Agata e dall’episcopato di Mons. Fusco (1995-1999), predecessore dell’attuale vescovo Domenico Caliandro, è stata variata la celebrazione liturgica da santo martire a santo vescovo e confessore.
[1] Si consulti a tal proposito il Catalogo parametrico dei Terremoti Italiani.