Così iniziava la Quaresima a Taranto
A mezzanotte i rintocchi de “a foròre”
di Angelo Diofano
Ultimo giorno di Carnevale, delle cui feste a Taranto non esiste quasi più nulla. Neanche i più anziani hanno memoria di quanto accadeva il martedì grasso in Città vecchia. Un grande e variopinto corteo di maschere (racconta Claudio De Cuia) percorreva l’antica Via Maggiore; in testa prendeva posto “U tate”, un fantoccio rappresentante il Carnevale, disteso su un carretto tirato a mano. Dietro, prendevano posto uomini travestiti da donne che gridavano in modo assai comico il loro dolore, in un frastuono di fischietti, trombette e tamburelli che non è facile da immaginare. All’arrivo in Piazza Fontana aveva inizio “‘a petrescìne”, una guerra di confetti, che venivano lanciati tra gruppi contrapposti con una furia incredibile, come una grandinata fitta e incessante. I ragazzini tra la folla scalmanata si gettavano per terra a raccogliere i confetti, in una sorta di gara tra chi ne prendeva di più. Nel frattempo “U Tate” veniva dato alle fiamme, a significare la fine del periodo di baldoria.
In molte case si svolgevano le cosiddette “feste a componenti”, dove ognuno contribuiva come meglio poteva, per non gravare eccessivamente sul padrone di casa, portando ogni genere di prelibatezza per la delizia dei partecipanti. Un grammofono (più raramente un’orchestrina formata da una chitarra, un tamburello e una fisarmonica)) diffondeva musiche allegre che davano il ritmo ad indiavolate quadriglie E si danzava, fra scherzi e lazzi, a perdifiato, ammirando le migliori mascherine e nel frattempo mai perdendo di vista il ragazzo (o la ragazza) con si sperava di legarsi per tutta la vita.
A mezzanotte le baldoria aveva termine. Dalla cattedrale si faceva sentire il campanone dell’allora campanile normanno (poi abbattuto e sostituito da quello attuale, detto “del sovrintendente”, alquanto anonimo). Batteva i lugubri rintocchi “d’a forore”. Si entrava ufficialmente in Quaresima. Dal portone dell’arcivescovado usciva l’arcivescovo con tutto il Capitolo Metropolitano. Lentamente i sacerdoti si disponevano al centro della piazzetta, attorno alla catasta delle palme dell’anno passato, allestita da tutto il vicinato. Mentre le fiamme si levavano al cielo, l’arcivescovo benediceva il falò e recitava preghiera, alle quali il popolo rispondeva devotamente. Terminato il rito, di breve durata, la gente si accalcava per godere del tepore di quelle vampe. Quindi le donne raccoglievano in alcuni bicchierini la cenere benedetta che l’indomani sarebbe stata distribuita ai parroci per il consueto rito d’inizio Quaresima. “Ricordati, polvere sei e polvere ritornerai”, dicevano i preti mentre con una manciata di cenere ingrigivano appena i capelli dei fedeli. Uno stimolo a meditare sulla caducità della vita e delle sue effimere soddisfazioni.