MEMINI ERGO SUM. Percorsi della memoria nella pittura di Nicola Cesari

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di Giuseppe Magnolo

Nicola Cesari è magliese di nascita, e tale è rimasto per elezione. Un elemento che ha agito profondamente sulla natura e i contenuti espressi dalla sua arte è il forte radicamento alla terra di origine, tale da produrre effetti identitari avvertiti e difesi con estrema tenacia.

Per effetto di tale scelta egli ha costantemente mantenuto una finestra ben spalancata su qualsiasi fatto o evento artistico-culturale che emergesse dalla realtà territoriale, vivendo ed instancabilmente alimentando un rapporto di stretta osmosi, consapevole di quale prezioso contributo l’arte e la cultura possano offrire per promuovere il dialogo e il confronto su argomenti che possono accomunare anche nella divergenza di opinioni. Sotto questo aspetto egli ha ricondotto i dati della sua personale osservazione documentale entro ambiti comunali e cittadini, con proposte operative interessanti, mirate alla valorizzazione e salvaguardia del patrimonio artistico individuabile nei luoghi che tradizionalmente ne sono i depositari.

Al tempo stesso egli ha sempre mirato a circuitarsi anche in ambito nazionale ed extranazionale. Sue esposizioni sono state allestite in importanti città dove la proposta artistica è organizzata mediante modalità che consentono una adeguata possibilità di conoscenza del fatto e del prodotto artistico. La propensione a spaziare oltre la dimensione localistica è attribuibile in Cesari ad una ferma convinzione che il linguaggio dell’arte possa veramente assumere valenza universale, e che i contenuti da essa espressi, pur con diversi linguaggi formalizzati, riescano assolutamente identici dal punto di vista figurativo. In maniera discreta ma costante, egli è giunto a rappresentare un riferimento per molti artisti ed intellettuali esordienti, che apprezzano il suo approccio promozionale, capace di stimolare le loro doti di sensibilità ed efficacia figurativa, valorizzando anche stili e contenuti diversi dai propri, nel presupposto che l’essenza dell’arte sia soprattutto il continuo interrogarsi sulla vita e le sue implicazioni.

Di recente ho potuto visitare il suo studio-atelier e mi ha colpito il fatto che egli abbia scelto di collocarlo tra le mura dell’antica casa paterna, il luogo originario della famiglia, in cui con lo scorrere del tempo tutto parla del passato che non esiste, tranne nella memoria e in ciò che lo richiama. E’ come se per Cesari la creazione artistica per realizzarsi postulasse il bisogno di regredire nel tempo, ritrovando tutti gli stimoli connessi all’infanzia e all’adolescenza. Si tratta di rievocazioni indotte da elementi di forte incidenza sul vissuto di un tempo: il cortile di accesso defilato alla vista, pochi strumenti connessi all’attività dell’opificio paterno, il nero metallico della cucina a legna profilato contro il biancore dell’ambiente, il panorama d’affaccio del piano rialzato che contempla uno squarcio di cielo e qualche spiazzo circostante.

Lo spunto iniziale da cui nasce qualunque fase compositiva nell’esperienza artistica di Cesari è uno stato di insofferenza rispetto alla ovvietà del quotidiano, un pressante stimolo a considerare la suggestione dell’arte come una sfida, un tentativo di penetrare nel vissuto sia soggettivo che superindividuale, incidendo su di esso in modo autenticamente dirompente. Lo sviluppo del processo creativo esita quindi verso un effetto di essenzializzazione, secondo un metodo di reductio ad unum in cui la visione prospettica elude qualunque sincretismo figurativo per addivenire ad una sintesi estrema.

Da questi presupposti sono nati nell’artista l’espressione informale e l’uso sistemico di una sua personale simbologia di riferimento, ma anche il rigetto aprioristico della fisicità totalizzante della percezione. Un esempio significativo di questo aspetto può essere individuato nell’ampia serie di dipinti che presentano forme geometriche, nei quali spesso la sfera, intesa come espressione di ordine e simmetria, viene collocata su un piano inclinato che non può dare né appiglio né certezza di permanenza, oppure in uno stato di sospensione nel vuoto, oppure ancora in contrasto con un’altra sfera e in condizione di equilibrio assolutamente precario.

Altrettanto si può osservare circa l’uso strumentale del paesaggio, che in molte delle sue tele (specie nella fase avanzata del suo percorso artistico) non presenta dei chiari connotati identificativi, ma diventa soltanto profilo, linea di confine rispetto a ciò che lo sovrasta, come una demarcazione rispetto all’ambito della trascendenza, del pensiero puro, della condizione visionaria.

E’ evidente che per Cesari l’opera è concepita al fine di generare nell’osservatore un processo epifanico di reazione a catena, che intacca il vissuto individuale e collettivo. Per conseguire tale scopo, occorre produrre una sorta di abluzione della coscienza, un effetto catartico che non è più strettamente connesso con il dipinto, ma ne costituisce quasi una risultanza collaterale. E’ ciò che l’autore intende nell’affermare la sua intenzione di “gettare la catarsi fuori dall’opera d’arte”, comprendendo in ciò tanto il rifiuto di perseguire qualunque fine espressamente moralistico attraverso l’arte, quanto la possibile limitazione al solo dato visivo che escluda gli effetti suindicati.

Una sollecitazione in questo senso viene offerta attraverso espedienti diversi, ad esempio l’utilizzo di un’immagine ridotta e inclinata rispetto alla superficie totale della tela che la racchiude, quello che si può definire “effetto cartolina”, tendente a presentare il soggetto come parte inserita in un contenitore più ampio, con una tecnica rivolta a creare un senso di relativismo prospettico.

Una forma espressiva particolare è quella adoperata da Cesari per rendere figurativamente la terza dimensione attraverso l’uso di superfici aggettanti, che danno una connotazione spaziale con effetto dinamico. Si noti nell’opera intitolata “Omaggio a Pino Pascali”1, definita una pitto-scultura, come la contaminazione fra le due forme espressive risponda all’intento di conferire alla figura tutta la tragica forza devastante connessa all’evento che ha causato la scomparsa del giovane artista. L’autore utilizza solo il margine inferiore dell’opera per accennare il profilo del manubrio di una moto con il volto dell’artista riflesso come in uno specchio retrovisore, mentre al centro egli crea un effetto che evoca una prorompente forza d’urto a cui il soggetto rappresentato (e di conseguenza anche l’osservatore) si trova fatalmente esposto, e che produrrà lo schianto mortale. E’ veramente intensa ed artisticamente originale la sensazione di ineludibile impatto espressa dall’opera.

Un differente elemento caratterizzante in altri dipinti è invece costituito dalla problematicità della connessione tra i diversi elementi compositivi, spesso ridotta a puro strascico disperso tra le masse. Si pensi alle immagini lunari, con tutto il potere di suggestione prodotto dal satellite con la sua scia luminosa velatamente riflessa in uno specchio d’acqua e poi ascendente a mo’ di frammenti meteorici, quasi un sentiero vago e indistinto per raggiungere nella luna il proprio sogno e la condizione onirica. Analogamente la geometricità delle figure presenti in altri dipinti può rimandare ad un “effetto aquilone”, l’aspirazione a recuperare una immaginaria possibilità di volare, elevandosi al disopra della condizione materiale come avviene nella fase dell’infanzia.

Questo bisogno profondo di ritorno all’adolescenza acquista una dimensione quasi mitica, prospettata come rifugio di innocenza rispetto allo scorrere del tempo che espone l’essere adulto al contatto con il male e il negativo. Per questo l’arte di Cesari talvolta diventa ricerca e manifestazione dell’oggetto-simbolo, in grado di creare quasi un circuito di colleganza con il passato. Ecco l’essenza di un’opera tra le più care all’artista, raffigurante l’iscrizione “Gassosa Cesari”, quella posta sul tappo di chiusura delle bottiglie di tale bevanda che un tempo la piccola fabbrica paterna produceva in quegli stessi ambienti dove egli adesso produce e custodisce i suoi quadri. E’ evidente che non si tratta di manierismo sulla scia di Andy Warhol, ma di un sincero tentativo di recuperare il passato e riconsegnarlo alla memoria.

Sul piano della tecnica espressiva, un aspetto importante nei dipinti di Cesari è costituito da una significativa evoluzione nell’uso del colore, che da una valenza funzionale rispetto alle figureè passato ad avere un ruolo prevalente, nel senso di aspirare a rappresentare di per sé lo stato d’animo o l’emozione generata da una esperienza rilevante. Si pensi alla suggestione di intensa passionalità insita in un rosso dominante, oppure di distaccata contemplatività attribuibile all’azzurro, con le zone intermedie che travalicano dall’uno all’altro. E’ una implicazione che passa anche attraverso l’effetto caldo-freddo fisicamente avvertito grazie all’uso di una diversa gamma di colori che, nelle fasi più esclusive, presentano delle campiture contrapposte.

Da questo studio del colore scaturisce il fascino profondamente avvertito per il bianco, che talvolta permea intere superfici o addirittura le ricopre a mo’ di velo o di sudario, con richiami tanto al candore dell’innocenza, quanto all’idea della morte (il biancore delle ossa, ultimi resti mortali) con tutte le sue implicazioni. In alcuni dipinti si rinvengono anche tracce di figure preesistenti sulla tela poi ricoperte dal bianco pressoché totalmente, con effetti simili alla dissolvenza usata con una telecamera per evitare un’improvvisa interruzione dell’immagine.

L’utilizzo del bianco, oltre alla potenziale inclusività connessa al fatto che esso comprende tutta la gamma dei colori che potrebbero per scomposizione essere ricavati, rappresenta anche un preciso riferimento al carattere di elusiva ambiguità proprio dell’esistenza. Ed è proprio questo, secondo Cesari, il principale motivo per cui l’arte è destinata sicuramente a sopravvivere nel tempo, avendo sempre e comunque qualcosa di nuovo e diversoda dire per rispecchiare contenuti di esperienza che sono costantemente in fieri. Purché non si rinunci a coglierne le antichi radici.

 

1 Pino Pascali, artista assai versatile e poliedrico originario di Polignano a Mare, morì ancor giovane per incidente a Roma nel 1968 mentre era alla guida di una grossa moto.

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Un commento a MEMINI ERGO SUM. Percorsi della memoria nella pittura di Nicola Cesari

  1. Mi permetto di integrare il bel post aggiungendo una nota divulgativa: “memini, ergo sum” (ricordo, dunque esisto) fu inventato da Gesualdo Bufalino nel suo Cere perse, Bompiani, Milano, 1985, a sua volta adattamento del celeberrimo “cogito, ergo sum” (penso, dunque esisto) cartesiano, già adattato in “cogito, ergo fui?” (penso, dunque sono esistito?) nel 1930 dal filosofo Arthur O. Lovejoy in The revolt against dualism: an inquiry concerning the existence of ideas, Open Court Publishing Company, Chicago, 1930. L’uso della citazione come titolo, pertanto, risulta felicissima e questo solo intendevo sottolineare, perché è lungi da me l’idea di presumere di essere ciò che vorrei e non sono e che lascio dire allo stesso Bufalino: “Il traduttore è con evidenza l’unico autentico lettore di un testo. Certo più d’ogni critico, forse più dello stesso autore. Poiché d’un testo il critico è solamente il corteggiatore volante, l’autore il padre e marito, mentre il traduttore è l’amante.” (Il malpensante: lunario dell’anno che fu, Bompiani, Milano, 1987).

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