di Pino de Luca
Onnivori ci appelliamo. So bene che esistono ormai molti esseri umani che hanno fatto scelte differenti, più o meno radicali. Dobbiamo a tutti grande rispetto e siamo persuasi della reciprocità di questo sentimento.
Siamo attori di conversione di molteplici alimenti e qui proviamo a esserne consapevoli fruitori, aggiungendo alla necessità di alimentarci la ricerca del piacere nel compierlo.
Ho una profonda convinzione che il proprio piacere sia un diritto fondamentale, il cui limite sia solo l’inferenza con il diritto altrui.
Ma so anche dell’imperante ipocrisia che relega il piacere all’area di ciò che è illegale, immorale o dichiarato malsano. Attribuendo virtù a sofferenza e sacrificio e vizio a trastullo e godimento.
Mi appello a scritti di ben più alto rango: “Non quello che entra nella bocca rende impuro l’uomo, ma quello che esce dalla bocca rende impuro l’uomo!” e quindi, sempre con grande rispetto, mi accingo a raccontare del “sesto quarto”.
Macellare un animale è azione necessaria per poterne consumare le carni. Ovini, equini, bovini, caprini e suini sono i fornitori di gran parte delle proteine dell’alimentazione umana. Data la taglia si suole, dopo la macellazione, suddividere le carcasse in “mezzene” e queste ultime in “quarti”, sicché ogni animale si scompone in quattro quarti.
Si suole appellare “quinto quarto” l’insieme delle componenti povere del macellato: testa, interiora, coda, ecc.
L’alimentazione “popolare”, nei secoli, è stata molto caratterizzata dal “quinto quarto”. Per esso le modalità di preparazione e di consumo si sono sempre più ingegnate ed affinate producendo sapori e profumi che gli amanti del genere (come me) trovano assai intriganti.
Tutti gli animali hanno un quinto quarto, ma il suino ne ha anche un sesto, pregiatissimo ed ormai introvabile. Si sono allontanati i luoghi della macellazione da quelli del consumo. L’idea di un rapporto di inversa proporzionalità tra la distanza del sacrificio e la colpevolezza nel consumarne i frutti è tipica degli ipocriti e dei vili, ma soprattutto impedisce la possibilità di fruire di prodotti che hanno nella freschezza la loro parte pregiata.
Il sesto quarto è il “sanguinaccio”, preziosissima preparazione che affonda la sua esistenza nell’ancestrale ritualità del consumo di prodotti animali. Cibarsi del sangue, del cervello o del cuore della vittima di un sacrificio ha aspetti mistici antichissimi.
Ne preparano uno ottimo ad Alezio (Macelleria Priman) ma solo di mercoledi.
Una bontà straordinaria la cui composizione, articolazione, preparazione non riporto perché immagino possa ferire animi particolarmente sensibili ma che posso garantire è eseguita a regola d’arte. Il sanguinaccio si può consumare a fette, freddo o scaldato o tirarlo nel vino rosso (come ho fatto io). È una delle cose più buone che il palato possa approcciare. “Fummo fratelli adottivi” disse Barbara, “più che di sangue, di sanguinaccio!!!”
Ne esiste anche una versione dolce (callume) ma di questa ne parliamo a carnevale …