di Raffaella Verdesca
Non era da molto che mi aggiravo tra le pagine del blog di “Spigolature Salentine”, oggi confluito nel prestigioso sito della “Fondazione Terra d’Otranto”.
Me ne avevano parlato bene, dicevano che avrei sempre e comunque trovato un articolo di mio gradimento, come in un grande bazar ricco di oggetti sconosciuti e preziosi. Curiosa e perennemente in cerca di novità interessanti, avevo quindi iniziato a frequentare questo affascinante mercato, fermandomi qua e là a comprare luccichii e colori tra la merce esposta.
E’ stato proprio in una di queste occasioni che ho incontrato Giorgio Cretì. A prima vista non era facile individuarlo, nascosto com’era dietro alle ricche tessiture dei suoi racconti, ma rigo dopo rigo me lo son visto venire incontro imponente come un gigante, unico con quel suo modo gentile e al tempo stesso crudo di trattare la vita comune della gente e la gente comune di ogni vita.
“Leggete, signori, leggete tra i banchi di questa colta piazza le belle storie di Cretì!” si diffondeva irresistibile il richiamo in ogni angolo.
Si tratta di storie in cui si respira il Salento, in cui un uomo esprime l’ardore e la delicatezza dell’amore per la sua terra rossa e profumata, di ‘chianche’ cosparsa e di luce e di mare, di sudore e di ulivi accesa e consumata.
L’uomo della strada così come il signorotto dei più sperduti paesi di campagna non ha scampo dinanzi all’analisi introspettiva di Giorgio, dinanzi a quel processo di lavaggio e tinteggiatura degli animi, dei difetti, delle virtù e delle debolezze che ogni essere umano porta con sé. L’intreccio dei suoi racconti non è mai barocco, ma semplice, setoso ed estremamente prezioso. Te ne accorgi ogni volta che lo sfiori col pensiero, con la naturale curiosità nata dalle sue trame avvincenti, materia viva al tatto e al cuore.
Di vera la merce è vera, originale, bella da farti accapponare la pelle, così fitta da spingerti a provare le stesse sensazioni dei suoi fili fin nelle pieghe familiari e di paese.
Il fidanzato bontempone, il bracciante, il padrone, la dama e la contadina, l’anziano, il giovane, l’ingenuo e lo scaltro, non c’è nessuno che manchi all’appello narrativo di questo straordinario autore.
Nei suoi scritti c’è sempre un posto d’onore per la tradizione popolare, per le memorie di vedute antiche oggi a rischio d’estinzione, per il pathos e la risata, per il grottesco e il drammatico, il tutto sullo sfondo di dinamiche politiche e culturali simili a ricami a vista.
Lirismo e poesia sfumano le tinte forti dell’esistenza grama dei poveri, incantevoli dipinti bucolici invadono i sensi come stampe su seta illuminando a giorno le pagine fitte di odori e di sapori, cari all’autore come ad ognuno di noi.
E’ la fiera delle meraviglie.
Ma oggi il proprietario del mio banco preferito non c’è.
Mi hanno detto che ha accettato di esporre le sue splendide stoffe in una piazza più grande e luminosa, quella degna dei giusti, e allora mi è venuto da pensare alla fortuna che abbiamo avuto tutti nell’incontrarlo, nel comprare da lui, in questo lasso di tempo, ogni merce possibile pagandola con ammirazione e affetto sonanti. E’ ormai chiaro che nessuno potrà contraffare una simile grandezza, né mai improvvisare la ricchezza con cui finora ci ha avvolto.
Prima di andare, Giorgio Cretì ha tuttavia voluto affidare alcuni dei suoi tesori alle migliori mani possibili, al fine di non interrompere bruscamente i suoi sogni e le nostre certezze. Come avrebbe potuto lasciarci nudi di sè e delle sue emozioni?
Con questo grazie a nome mio, della Pissa, di Donna Maresca e di tutti, colgo l’occasione, Giorgio caro, per dirti che so quanto questo mio ultimo commento ti sia piaciuto più degli altri.
Ieri sono rimasto di stucco alla notizia della scomparsa di Giorgio Cretì. Era diventato per me un nome familiare sulle pagine di Spigolature Salentine. Con lui mi accomunava il destino di vivere in «terra straniera», lontano dai luoghi dove una lingua, stretta fra due mari, si apriva sulle terre d’Oriente con tutto il bagaglio favoleggiante e misterioso che ogni salentino si porta dietro. Confinati quali eravamo, ci siamo tenuti da conto la lingua del finibus terris, i suoni, i gesti, il ridere al papa Cajazzu, il piangere greco, le erbe e i sapori millenari, la frisa come emblema del pane duro, i fichi secchi riposti in tasca per far felice un bambino, i giochi all’«una monta la luna», «zaccaresti liberati», «cavaddhu barone», «scundarieddhi».
Il ricordo di Giorgio Cretì che Raffaella Verdesca ci ha regalato è di una bellezza straordinaria, di grande commozione. Caro Giorgio, di sicuro un messaggero degli dèi deve averti consegnato il sincero elogio di Raffaella mentre venivi traghettato per lo Stige. Sull’altra sponda t’aspettano intanto giardini incantati, melodie fatate e angeliche fanciulle che ti condurranno al palazzo del Re che allieterai con una novella al giorno. E già, perché a raccontare, come Sherazade, anche lì uno salva la vita.