Leggendo “Danze moderne” e “Di tanto tempo” di Paolo Vincenti. Considerazioni a margine
di Raffaella Verdesca
Ho letto i libri di Paolo Vincenti tutti d’un fiato. In “Danze Moderne” sono stata investita da un fiume in piena di fluidità, immagini, sprazzi di sole e giochi di ombre. Sento quanto sia per l’autore importante il tempo, l’eterno rivale, infatti entrambe le copertine riportano un orologio e le sue lancette. “Danze Moderne” è come una filastrocca che incalza di visioni della vita, di citazioni e di speranze che sfumano poi in ‘notti dello stesso colore’. Guccini, Ligabue e Vecchioni sono la triade che sottende al pensiero dell’autore, a volte lo approfondisce, a volte lo chiude.
E’ vorticoso leggere Paolo come una girandola impazzita al ritmo di un vento di passione e la grafica vi si addomestica rendendo a pieno le idee e stile. ‘Mezzo uomo’ è sferzante e chirurgico, usa similitudini che trasmettono alle parole vita ‘tra la terra e il cielo’; particolare anche ‘Invettiva’ e ‘Beddha mia’ con una speciale tavolozza di colori e sentimenti a raffigurare la sua Ruffano come un piccolo globo di meraviglie ed affettuosa ironia.
Ho finito di leggere queste “Danze” arrivando in fondo quasi senza respiro. Una visione più cadenzata ma ancora più intima è poi “Di tanto tempo (Questi sono i giorni)”. Si riconosce la penna vorticosa e profonda dell’autore, si legge ancor meglio tra le righe il suo animo inquieto che usa la sua cultura poliedrica e ricca di classico, inglese, musica e letteratura come un lazzo attorno al collo della vita. Tra la noia, la disillusione, l’idea della morte-rifugio-premio-fine-rinascita-poesia-dolore-distacco-gioco,trova il tempo per il canto beffardo, la tinteggiata ironica, l’inchino invidioso a un tempo che passa e a una giovinezza che sfugge insieme ai capelli e al loro colore: tradimento! Ingiustizia! Malinconia… Mentre il cervello di ognuno di noi ha scissure e lobi, quello di Paolo ha poesia e musica, spazi mnemonici sconfinati simili a farfalle capaci di legarsi a un nome (Virgilio, Leopardi, Platone, Swift, Pascoli e così all’infinito) e contrabbandarne i contenuti pagando valuta preziosa attraverso il suo essere. Dà colore anche ai temi grigi del pensiero della morte e a quelli accecanti del dubbio del poi, cosparge di sale le denunce sociali e le volute dell’amore. La vita scalcia e cerca di disarcionarlo, ma egli rimane lì issato da una speranza profonda e spesso taciuta, legato al suo lazo resistente fatto di radici e di pensieri. Splendida ‘Misogina’, vibrante di emozioni ‘La casa’, ottimista di umana spe’ ‘Incontriamoci’, divertentissima nei suoi paradossi ‘Natale’ e… bisognerebbe citare ogni pagina. Concludo allora dicendo che la scrittura di Paolo è il fuoco brillante che cova sotto il grigio di una cenere troppo volatile per soffocare la sua irruenza intellettuale e la sua virulenza poetica.
Perché è con questa che vaccina il lettore contro i vicoli ciechi dell’esistenza e l’eterno dissidio dell’uomo nel suo essere-non essere, pensiero-esistenza. Grazie a Paolo Vincenti.