di Armando Polito
nome scientifico: Rosmarinus officinalis L.
famiglia: Labiatae
nome italiano: rosmarino
nome dialettale comune alle tre provincie salentine: rosamarina
Etimologie: la prima parte del nome scientifico e il nome italiano sono dal latino rosmarìnu(m), composto da ros=rugiada (in latino di genere maschile) e marìnus=marino (con riferimento all’azzurrino del fiore)1; ne risulta uno dei nomi botanici composti che denotano maggior estro poetico. La seconda parte del nome scientifico è voce del tardo latino, forma aggettivale da officìna=laboratorio, con riferimento alle proprietà medicinali della pianta. Il nome della famiglia è forma aggettivale da làbium=labbro.
Il nome dialettale supporrebbe un incrocio con rosa, come dimostrerebbe il genere femminile del secondo componente e, alla fine, quello dell’intero composto2.
Ecco le più significative testimonianze degli autori antichi, cominciando da quelli latini.
Virgilio (I° secolo a. C.): “(La terra pietrosa) poco profonda a stento offre alle api la casia e il rosmarino”3.
Orazio (I° secolo a. C.): “Non spetta a te propiziarti con grande sacrificio di animali le tue piccole divinità, a te che le coroni di rosmarino e delicato mirto”4.
Ovidio (I° secolo a. C.): “Profumano il rosmarino e gli allori e il nero mirto…”5;”… così che ora col rosmarino, ora con la viola o con la rosa si adorni…”6; “Alcuni amano il timo, altri il rosmarino, altri il meliloto”7.
Columella (I° secolo d. C.): “Molti danno da bere (alle api operaie ammalate) sparso su tegole, dopo che si è raffreddato, un infuso di rosmarino con acqua e miele”8; “Il mosto di torchiatura è quello che dopo la prima pressione delle vinacce si estrae dopo aver tagliato all’intorno la massa. Verserai questo mosto in un’anfora nuova riempiendola fino alla sommità. Poi metterai rametti di rosmarino secco legati con lin e li lascerai fermentare insieme per sette giorni. A questo punto toglierai il fascio di rametti e sigillerai col gesso il vino dopo averlo accuratamente filtrato. Sarà sufficiente inoltre porre una libbra e mezzo di rosmarino in due urne di mosto. Puoi utilizzare questo vino come medicina dopo due mesi”9.
Plinio il Vecchio (I° secolo d. C.): “C’è anche il rosmarino. Due sono le varietà: una sterile, l’altra con il fusto e il seme resinoso, che è chiamata cachri. Le foglie hanno odore d’incenso. La radice applicata verde guarisce il prolasso del sedere, i condilomi, le emorroidi; il succo e dell’arbusto e della radice guarisce l’itterizia e giova a quegli organi che hanno bisogno di purificari. Aumenta l’acutezza visiva. Il seme viene dato da bere contro le malattie croniche del petto e della matrice con vino e pepe, favorisce i mestrui, viene applicato nella podagra con farina di loglio, schiarisce pure le lentiggini e ad empiastro laddove c’è bisogno di riscaldare la parte o di sudorazione, nonché nelle convulsioni. Bevuto nel vino aumenta la secrezione lattea e lo stesso effetto ha la radice. La stessa erba viene applicata ad empiastro con aceto sulle scrofole e giova con miele contro la tosse. ”10; “Il cachri ha molte varietà, come dicemmo. Ma questa che deriva dal rosmarino di cui abbiamo appena parlato, se è sfregata, è resinosa. È efficace contro i veleni e ogni cosa velenosa, eccetto i serpenti. Stimola la sudorazione, risolve le coliche, accresce la secrezione lattea”11.
Chiude la serie degli autori latini suo nipote Plinio Il Giovane (I°-II° secolo d. C.): “Il viale viene cinto da bosso o, quando il bosso manca, da rosmarino…”12.
Nel mondo greco la nostra pianta si chiamava libanotìs, da lìbanos=incenso+suffisso indicante somiglianza.13 Gli autori nulla aggiungono a quanto finora detto, ma la loro testimonianza conferma l’origine latina di rosmarinus:
Dioscoride (I° secolo d. C.): “La libanotide, che i Romani chiamano rosmarino, utilizzato da coloro che confezionano corone…”14.
Galeno (II°-III° secolo d. C.): “Il decotto di quella libanotide che è utile per confezionare corone, che i Romani chiamano rosmarino, bevuto giova a chi soffre di itterizia”15.
Per evitare il rischio di sembrare un inguaribile nostalgico del tempo che fu, un ripetitivo interprete del detto “si stava meglio quando si stava peggio”, un affezionato assertore della necessità se non di tornare indietro almeno di fermarci a riflettere, l’ecologista del cavolo che poi con sublime coerenza non pratica neppure la raccolta differenziata, faccio un salto di millenni tuffandomi nelle mille contraddizioni dei nostri tempi e chiudendo con lo studio Inhibition of Heterocyclic Amine Formation in Beef Patties by Ethanolic Extracts of Rosemary di Kanithaporn Puangsombat e J. Scott Smith, pubblicato alle pagg. 40-47 del vol. 75 numero di marzo 2010 del Journal of Food Science16: “È stato dimostrato da tempo che il consumo abituale di carne non rientra certo tra le raccomandazioni alimentari per la prevenzione dei tumori, perché la sua cottura (soprattutto alla brace) sviluppa sostanze cancerogene. Lo studio in questione ha dimostrato che l’estratto di rosmarino abbatte fino al 90% la produzione di queste tossine (amine eterocicliche) in carne cotta da 191° a 204°, con un’efficacia direttamente proporzionale alla concentrazione dell’estratto”.
È la rivincita di questa pianta che, tenuta in grande considerazione, come abbiamo visto, dagli antichi, è diventata nei secoli una sorta di nobile decaduto, fino ai nostri tempi che vedono in lei solo un’erba aromatica.
Quando ne imbottiamo un pesce prima di sistemarlo sulla griglia e mentre cuoce gli passiamo sopra un rametto imbevuto di aceto o di limone, quando lo stesso rametto ha una funzione decorativa e aromatizzante per la nostra sontuosa bistecca, pensiamo che stiamo compiendo un gesto antichissimo che non ha solo una valenza estetica o di soddisfazione del gusto ma anche salutista e, a quanto s’è scoperto, preventiva. E, giacché ci siamo, riflettiamo pure sul fatto che il pesce o la bistecca che ci accingiamo a gustare rispettivamente è ed appartiene ad un essere che in un passato neppure tanto lontano veniva curato o più spesso si curava con le erbe del suo habitat. Poi venne la chimica e con essa i prodotti di sintesi, la plastica, la mucca pazza, i prodotti transgenici, l’influenza aviaria, il batterio dei cetrioli, anzi dei germogli di soia, anzi …
No, non sono tornato ad essere il nostalgico del buon tempo che fu. Mi chiedo solo quando rallenteremo questa folle corsa, in cui l’incedere superbo del futile e del superfluo è direttamente proporzionale alla tracotante brama del profitto e, purtroppo, all’inesorabile squallido arretramento del senso del limite, anzi, semplicemente, del buon senso.
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1 Non ha nessun fondamento filologico quanto afferma Elisa Frisaldi in Naturale è bello? La scienza dei rimedi naturali di bellezza, pag. 80: La parola rosmarino, che molti fanno derivare dai termini latini ros (rugiada) e marinum (marino), “rugiada del mattino“ [sic!], è invece di probabile origine greca e nasce da rops che significa “arbusto” e myrinõs che vuol dire “odoroso”. A parte il “marino” che diventa “mattino”, delle due voci greche messe in campo solo la prima è esistente: rops, il cui genitivo ropòs ci dice inequivocabilmente che il tema è rop– e non si capisce in virtù di quale strana assimilazione (rops>ross) e successivo scempiamento (ross>ros)la –p– del tema risulterebbe scomparsa. Quanto a myrinõs (l’accento circonflesso mi induce a credere che la vocale su cui è posto sia lunga, cioè omega e con simile terminazione di solito si è in presenza di un avverbio) la voce che più gli si avvicina è myrìnes (da myron=profumo) attestata solo nel nesso myrìnes òinos=vino dolce profumato; debbo pensare che con una arbitraria quanto superficiale operazione da questo sia stato desunto il presunto myrinõs che, oltretutto, comporta in rosmarino il passaggio –y->-a– che foneticamente non sta né in cielo né in terra. Insomma, non è il caso di complicarsi la vita a tutti i costi pure di fronte a problemi semplicissimi. E il nostro lo è e perché, come vedremo, per indicare il rosmarino i Greci usavano un nome completamente diverso e poi perché basta considerare la sola declinazione del primo componente dell’etimologia dalla Frisaldi messa in dubbio. Riporto per brevità solo il singolare, tanto tutti i casi utilizzano lo stesso tema ror– (e non rop-!). Nominativo ros (nella –s– finale conserva il ricordo del non avvenuto rotacismo, cioè il passaggio di –s– intervocalica a –r-), genitivo roris (prima del rotacismo era rosis), dativo rori (prima del rotacismo rosi), accusativo rorem (anticamente rosem), vocativo ros, ablativo rore (anticamente rose). Non è finita: più avanti si vedrà come Virgilio per indicare la nostra pianta usa semplicemente ros, Orazio, invertendo il nesso, marinus ros e Ovidio ros maris (rugiada del mare). Come può, allora, ros collegarsi all’anonimo arbusto greco e il secondo componente all’odore dopo che Ovidio ha messo in campo, senza la minima possibilità di equivoco, il mare? E buttiamo alle ortiche le testimonianze (vedi più avanti nella trattazione) dei greci Dioscoride e Galeno che ci hanno tramandato rusmarìnon come parola assolutamente latina?
2 La suggestione di questo incrocio ha propiziato l’arbitraria derivazione (si legge frequentemente in rete) di rosmarino da rosa+marina. Se così fosse in latino avremmo avuto un nominativo rosamarina e non rosmarinus, un genitivo rosaemarinae e non rorismarini, etc. etc.
3 Georgiche, II, 213: vix humilis apibus casias roremque ministrat.
4 Odi, XXIII: 13-16:…te nihil attinet/temptare multa caede bidentium/parvos coronantem marino/rore deos fragilique myrto.
5Ars amatoria, III, 691: ros maris et lauri nigraque myrtus olent…
6 Metamorfosi, XII, 410-411: ut modo rore maris, modo se violave rosave/implicet…
7 Fasti, IV, 440: Pars tyma, pars rorem, pars meliloton amant.
8 De re rustica, IX, 13: Nonnulli rorem marinum aqua mulsea decoctum, cum gelaverit, imbricibus infusum praebent libandum. Quidam bubulam vel hominis urinam, sicut Hyginus adfirmat, alvis adponunt.
9 op. cit., XII, 36: Mustum tortivum est quod post primam pressuram vinaceorum circumciso pede exprimitur. Idque mustum coicies in amphoram novam et implebis ad summum. Tum adicies ramulos roris marini lino colligatos, sed patieris una defervescere per dies septem. Deinde eximes ramulorum fasciculum et purgatum diligenter vinum gypsabis. Sat erit autem roris marini sesquilibram in duas urnas musti adicere. Hoc vino post duos menses possis pro remedio uti.
10 Naturalis historia, XXIV, 59: Est et rosmarinum. Duo genera eius: alterum sterile, alterum cui et caulis et semen resinaceum, quod cachrys vocatur. Foliis odor turis. Radix vulnera sanat viridis imposita et sedis procidentiam, condylomata, haemorrhoidas, sucus et fruticis et radicis morbum regium et ea, quae repurganda sunt. Oculorum aciem exacuit. Semen ad vetera pectoris vitia datur potui et ad vulvas cum vino et pipere, menses adiuvat, podagris inlinitur cum aerina farina, purgat etiam lentigines et quae excalfacienda sint aut cum sudor quaerendus inlitum, item convulsis. Auget et lac in vino potum, item radix. Ipsa herba strumis cum aceto inlinitur, ad tussim cum melle prodest.
11 Op. cit. , XXIV, 60: Cachrys multa genera habet, ut diximus. Sed haec, quae ex rore supra dicto nascitur, si fricetur, resinosa est. Adversatur venenis et venenatis praeterquam anguibus. Sudores movet, tormina discutit, lactis ubertatem facit.
12 Epistulae, II, 17: Gestatio buxo aut rore marino, ubi deficit buxus, ambitur…
13 Leggo in Ferdinando Alaimo, Erboristeria planetaria.Proprietà curative e simbologia delle piante, Hermes Edizioni, Roma, 2007,pag. 35: “Gli antichi Greci chiamavano il rosmarino makaerinthes, parola che deriva da makarites (beato), nome che pare risalire a Zoroastro e al suo culto solare”. Confermo l’esistenza di makarìtes, muoio dalla voglia di conoscere, lasciando da parte Zoroastro…, in quale autore o lessico è attestato il presunto derivato makaerinthes. La situazione sembra molto simile a quella verificatasi nella nota 1, solo che qui vien fuori un composto che nelle intenzioni (mi tocca riscostruire pure quelle…) dell’inventore dovrebbe essere formato dall’incrocio fra makarìtes e anthos=fiore; a parte tutte le altre considerazioni, la a di anthos ha ceduto allo strapotere della i di makarìtes?
14 De materia medica, III, 75.
15 De simplicium medicamentorum temperamentis ac facultatibus, VII, 13.
16 Nonostante il –porn finale del cognome del primo autore e la improbabile rarità di quello del secondo non si tratta di uno scherzo; basta controllare all’indirizzo:
http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/j.1750-3841.2009.01491.x/full