di Rocco Boccadamo
Fine d’anno particolarmente strano, delicato e difficile per il sentire e la soglia emozionale di chi scrive.
Ciò, non per via della brumosa atmosfera che va imperversando in giro, bensì a motivo di un problema di salute, esploso in capo a una persona vicinissima per legami di sangue e affettivi.
All’apice dell’evento, il suo ricovero in ospedale per un intervento chirurgico.
Così che, il giorno fissato, di buon mattino, eccomi in un’anonima corsia a presenziare all’avvio del tragitto di speranza di una lettiga, e, lì, invero, non manca un singulto, faticosamente ricacciato in gola.
Di seguito, molte, tante ore d’attesa, sino, finalmente, al riapparire della familiare degente, in stato, è ovvio, di risicata coscienza e, però, portante, sul volto, un’immagine d’intensa e profonda sofferenza, come scolpita sui lineamenti tesi e accentuati, tale, insomma, che difficilmente potrò scordarla.
Un volto, che mi fa compiere con la mente un salto a ritroso di oltre mezzo secolo, in un analogo scenario d’astanteria ospedaliera: in quella lontana circostanza, a trovarsi tristemente coinvolta, era la persona maggiormente cara ch’io abbia avuto e della quale, da un’esistenza, avverto la mancanza a livello struggente.
Era ancora giovane, quando se n’è andata, e io, addirittura, poco più che un ragazzo.
° ° °
Questo pomeriggio, ho fatto in tempo a passare dalla marina di mia figlia, per un contatto con i giovani ulivi e per la raccolta di un mazzetto di verdure.
Occhieggiando sui cespugli di corbezzolo che delimitano il primo terrazzamento dal successivo a salire, ho scorto un paio di frutti, gli ultimi.
Pensare che, già Ovidio cantava, fra il resto, di tal genere di piante:
« Per prima fiorì l’età dell’oro, che senza giustizieri
o leggi, spontaneamente onorava lealtà e rettitudine.
[…] Libera, non toccata dal rastrello, non solcata
dall’aratro, la terra produceva ogni cosa da sé
e gli uomini, appagati dei cibi nati spontaneamente,
raccoglievano corbezzoli, fragole di monte,
corniole, more nascoste tra le spine dei rovi
e ghiande cadute dall’albero arioso di Giove. »
Basta un movimento rapido del braccio, per cogliere la coppia di bacche dal colore rosso intenso, morbide e soffici, letteralmente, poi, scivolate in bocca, ivi lasciando una scia di gusto gradevolmente speciale.
° ° °
In prossimità del tramonto, in auto sulla via del ritorno nel capoluogo, sono attratto da due contestuali, eccezionali sequenze.
Alla destra, proprio in coincidenza con il levante della rosa dei venti, il faccione della luna, quasi nella pienezza, levatasi da poco e mirabilmente sospesa giusto sul borgo di Castro: effetto, la Perla del Salento, ancor più impreziosita, nella circostanza, da quell’ideale corona.
Sul lato opposto, invece, il disco infuocato del sole, con sfumature tra il rosso e il viola, in procinto di tuffarsi e, temporaneamente, affogare in seno alla distesa blu dello Ionio.
° ° °
Appena una breve parentesi di distrazione, dopo di che il pensiero ritorna alla realtà che ha monopolizzato e va tuttora caratterizzando la volgente, ultima parte di dicembre.
Se è permesso, un “in bocca al lupo” col cuore a mia sorella.