di Armando Polito
SECONDA PARTE: LE TESTIMONIANZE DEGLI AUTORI LATINI
Le proprietà soporifere del papavero sono note da tempi antichissimi, perciò non fa meraviglia che esso sia presente, con tale particolare riferimento, nelle opere scientifiche e letterarie greche e latine. Comincerò da queste ultime e precisamente da Plauto (III-II secolo a. C.) e dalla sua similitudine: [Il denaro] finisce subito, come se tu gettassi semi di papavero alle formiche1.
Più fortuna ha avuto, invece, un aneddoto (da cui è nato per papavero il significato traslato di persona di grande importanza che occupa un posto di primo piano nella vita pubblica di un paese) riportato dallo storico Tito Livio (I secolo a. C.-I secolo d. C.): Presso i soldati poi, [Sesto, figlio di Tarquinio il Superbo] condividendo con loro pericoli e fatiche, elargendo il bottino con tanta generosità, aveva accresciuto il suo carisma al punto che il padre Tarquinio non era a Roma più potente di quanto lui lo fosse a Gabi. E così, quando vide che aveva radunato uomini sufficienti per ogni tentativo, mandò a Roma uno dei suoi per chiedere al padre che cosa voleva che lui facesse, visto che gli dei gli avevano concesso il potere assoluto a Gabi. A quel messaggero poiché sembrava, credo, poco credibile, nulla fu risposto a voce; il re come se volesse riflettere si recò nel giardino del palazzo seguito dal messaggero del figlio e qui passeggiando si dice che col bastone abbia percosso in silenzio le alte teste dei papaveri. Il messaggero, stanco di porre domande e non ottenere risposta, credendo che la sua missione fosse fallita, se ne tornò a Gabi e riferì quello che aveva detto e quello che aveva sentito e che il re o per ira o per odio o per congenita superbia non aveva detto una sola parola. Quando a Sesto fu chiaro che cosa il padre voleva con il suo oscuro comportamento, eliminò i più importanti cittadini discreditando alcuni presso il popolo e approfittando dell’invidia che era nutrita nei loro confronti. Molti furono uccisi direttamente, altri, contro i quali non poteva essere formulata un’accusa specifica, di nascosto. Fu concessa ad alcuni che lo volevano la fuga o furono mandati in esilio e i beni degli assenti e degli uccisi furono spartiti. Così il sentimento del male pubblico fu lenito dalla dolcezza della elargizione e della preda e dell’interesse privato finché Gabi, privata di potere e di aiuto, passò nelle mani del re romano senza alcun contrasto2.
Se la soluzione appena vista non fosse il classico cadere dalla padella (del figlio) nella brace (del padre) essa sarebbe l’ideale per risolvere i tanti problemi attuali causati dai moderni papaveri. Mi resta, però, un dubbio atroce, cioé che veramente pappa, con stabilizzazione del significato con riferimento esclusivo al mondo degli adulti (compreso il pappa in cui la forma abbreviata per pappone certamente non ha comportato una parallela riduzione della voracità), sia l’etimo di base di papavero…
In fondo, alle stesse conclusioni era giunto il testo della canzone Papaveri e papere di Panzeri3, Rastelli e Mascheroni classificatasi al secondo posto al Festival di Sanremo del 1952 nell’interpretazione di Nilla Pizzi, testo inteso da alcuni, nella sua apparente demenzialità, come allusivo agli esponenti del partito allora dominante, la Democrazia Cristiana; da quest’ultima la risposta non si fece attendere poiché i suoi comitati civici per le elezioni di quell’anno idearono un manifesto in cui campeggiavano papaveri (simboleggianti, questa volta, il Partito Comunista Italiano) svettanti in un campo di grano e attraversati da un grande paio di forbici nell’atto di tagliarli.
È meglio tornare ad un passato più remoto…
La coltivazione del papavero (è il colmo per una specie infestante…) e il suo uso culinario sono attestati da Marco Porcio Catone il Censore (III-II secolo a. C.): Se non potrai vendere la legna e i ramoscelli e non hai pietre da cui ricavare la calce, ricava dalla legna carboni e brucia i ramoscelli e i sarmenti residui nel terreno da seminare. Quando li avrai bruciati semina il papavero. E più in là: Fai le polpette così: mischia formaggio e spelta nel modo prima accennato, poi forma le polpette nel numero desiderato, metti del grasso in un recipiente di rame. Cuocile ad una ad una o due per volta rigirandole frequentemente con due bastoncelli e una volta cotte estraile; cospargile di miele, sminuzza del papavero e servile4.
L’uso del papavero in cucina (e non si tratta di una cena qualsiasi ma di quella passata alla storia per il nome del padrone di casa) è confermato da Petronio Arbitro (I secolo d. C.): Inoltre nel vassoio degli antipasti c’era un asinello in bronzo di Corinto con sopra un basto che era pieno da una parte di olive nere, dall’altra di bianche. Sulla sua groppa c’erano due piatti sui cui orli era stato inciso il nome di Trimalchione e il peso dell’argento (esibizionismo da arricchito!). Ponticelli saldati insieme reggevano dei ghiri (pur roditori, saranno squisiti…5) cosparsi di miele e di papavero6. Va detto, però, che proprio all’inizio della stessa opera il papavero è citato come elemento culinario ma con implicazioni più profonde, com’è naturale che avvenga in una similitudine e con sorprendenti agganci al principale problema della scuola: la difficoltà di essere al passo con i tempi e il non saper coniugare il concreto e l’astratto: Credo che i ragazzi a scuola rimbecilliscono poiché non sentono e non vedono nulla di quello che abbiamo in uso, ma pirati che stanno in agguato sul lido con catene, tiranni che scrivono editti con i quali ordinano ai figli di tagliare la testa dei propri padri, responsi dati per placare un’epidemia e che impongono di sacrificare tre o più vergini, bolle di parole ricoperte di miele e tutti i detti e i fatti quasi cosparsi di papavero e sesamo7. Da questo punto di vista pare che duemila anni siano trascorsi invano e che quello dell’insegnante (mi distendo per primo io sulla graticola…) sia ancora anni luce lontano dal giungere ad essere, più che un mestiere, un’arte.
Dalla cucina e, se si vuole, dalla scuola, alla cura di bellezza con Publio Ovidio Nasone (I secolo a. C.-I secolo d. C.): Vidi chi pestava umidi papaveri dalla gelida linfa e se ne spalmava le delicate guance8; poi oggetto di un tenero ricordo in un’elegia dedicata alla morte di un pappagallo: Una noce era il tuo cibo e i papaveri causa di sonno e una semplice goccia d’acqua ti placava la sete9; elemento rituale nella festa di nozze (Veneralia) che si celebrava il 1° aprile: Né ti rincresca bere il (succo di) papavero dal niveo latte e il miele che scola dai favi spremuti: quando Venere venne condotta in sposa dall’ardente marito lo bevve; da quel momento fu sposa10; conforto di una dea (Cerere) per la figlia rapita: Ella poco prima di entrare nell’umile casa raccolse dal campo un esile papavero. Si dice che mentre lo raccoglieva se ne cibò dimentica dell’effetto e che l’imprudente saziò una lunga fame11; quasi simbolo della dea Notte: Frattanto scende Notte con la placida fronte cinta da un papavero e porta con sé i neri sogni12. Diventa, ancora, metaforico oggetto di poesia anche la sua natura infestante: Quante conchiglie hanno le spiagge, quanti fiori i ridenti roseti, quanti granelli di seme ha il soporifero papavero, quante belve alimenta la selva, quanti pesci nuotano tra le onde, quanti uccelli solcano l’aria, altrettante sventure opprimono me13; per chiudere, descrivendo la morte di Giacinto, con una similitudine cara, come vedremo a molti autori antichi e moderni: come le viole, il fiero papavero e i gigli dai ritti petali, se da qualcuno nel giardino sono spezzati immediatamente appassiti abbassano il flaccido capo, non si reggono e guradano con la cima la terra, così giace il volto che muore e la testa è oppressa dal suo stesso peso e giace sull’omero14.
E Publio Virgilio Marone (I secolo a. C.) così fa dire a Didone che già pensa al suicidio e che per rassicurare la sorella Anna finge di aver deciso di ricorrere alla magia: Vicino al confine dell’Oceano ed al sole che tramonta vi è l’estrema regione degli Etiopi dove il grandissimo Atlante ruota sulle spalle l’asse unito alle ardenti stelle: da qui mi fu indicata una sacerdotessa del popolo dei Massili, custode del tempio delle Esperidi e che dava cibo al drago e conservava sull’albero i sacri rami spargendo umido miele e soporifero papavero15.
Ancora sulla natura infestante: Bruciano (il campo) i papaveri aspersi del sonno del Lete16. Infine prima una lapidaria nota sulla sua delicatezza: …e il gracile papavero…17 e poi la similitudine (che anticipa di qualche anno quella appena vista in Ovidio) che forse ispirò ne I promessi Sposi al Manzoni una analoga per il celeberrimo episodio della madre di Cecilia18: come quando languisce morendo il fiore purpureo reciso dall’aratro o il papavero dallo stanco stelo19 .
Il nostro papavero non sembra avere una grande considerazione nel contemporaneo Quinto Orazio Flacco (ma forse la colpa è del miele sardo…), pur essendo stato sfruttato per una similitudine inserita in un brano trattante un argomento importante come la poesia: Come in un banchetto gradevole una melodia stonata, un profumo pesante e il papavero col miele sardo danno fastidio (il pranzo si poteva tenere senza di loro), così la poesia, nata e creata per la gioia dell’animo, se si allontana un po’ dall’eccellenza, precipita20.
Fugace è il cenno di Giunio Moderato Columella (I secolo d. C.) ma estremamente interessante per una curiosa inversione concettuale, quasi una giustificazione innocentifica per chi ne fa uso: …il papavero in grado di fermare il sonno che va via21 (per il papavero in grado di propiziare il sonno).
E in Silio Italico viene poeticamente celebrato come l’elemento iconografico d’obbligo nella rappresentazione del dio Somnus: (Il Sonno) esegue rapido l’ordine e nel curvo corno porta attraverso le rapide tenebre i risanatori papaveri22.
L’autore scientifico che certamente ha dedicato maggiore attenzione alle proprietà medicinali della nostra pianta è Aulo Cornelio Celso (I secolo d. C.). Trascurerò i numerosi passi in cui il papavero (le foglie, il succo crudo, fritto o bruciato) entra come componente più o meno privilegiato nella preparazione di unguenti e colliri, limitandomi a quelli in cui funge da protagonista o coprotagonista: Il papavero è estremamente atto ad indurre il sonno23; (contro il mal di testa) giova pure il pane applicato col papavero o con la rosa o con la biacca o con la spuma d’argento24; (contro il delirio febbrile) se restano svegli, certi stimolano il sonno dando da bere acqua in cui sia stato cotto il papavero o il giusquiamo…parecchi, bollita la capsula del papavero, con quell’acqua riscaldano ripetutamente il viso e il capo. Asclepiade disse che tutto questo era assolutamente inutile poiché spesso induceva il letargo25; (contro i calcoli della vescica): lo stesso effetto producono anche le olive bianche e il papavero nero assunto con miele26; (contro le malattie articolari): se il dolore è accentuato bisogna bollire nel vino le capsule del papavero e mescolarle con un unguento a base di rosa; oppure sciogliere insieme la medesima quantità di cera e di grasso suino e mescolare poi il tutto con vino; e, quando la parte su cui è stato applicato è calda, va tolto e subito va fatta un’altra applicazione….Se il dolore non consente di fare applicazioni la parte non gonfia va riscaldata con una spugna prima messa in acqua calda nella quale siano state bollite o capsule di papavero o la radice del cocomero selvatico; poi bisogna applicare sulle articolazioni zafferano con succo di papavero e latte di pecora27; sono emollienti il rame bruciato, la terra di Eretria [hanno questo nome due città, una in Tessaglia, l’altra in Eubea), il nitro, la lacrima del papavero28; …anche del papavero selvatico, quando già è maturo per la formazione della lacrima, se ne può prendere quanto sta in una mano, metterlo in un vaso e versarci acqua fino a ricoprirlo e farlo così bollire. Quando è ben cotto viene spremuto ed estratto e con quell’estratto si mescola una pari misura di vino passito, si lascia bollire finché non assume la consistenza della feccia. Quando si è raffreddato se ne fanno pillole della grandezza di una fava nostrale, che hanno un molteplice uso. Infatti procurano il sonno assunte da sole o con acqua, eliminano il mal d’orecchi con l’aggiunta di una modica quantità di succo di ruta e di vino passito, risolvono le coliche sciolte nel vino, fanno rientrare le infiammazioni della vulva miste ad unguento di rose con l’aggiunta pure di un po’ di zafferano; e applicate con acqua sulla fronte frenano il catarro che altrimenti scenderebbe negli occhi29.
L’excursus di questa puntata si conclude con Plinio (I secolo d. C.), che inizia esaltando le proprietà sbiancanti di questa pianta: (Le toghe di lana) spesse sbiancate col papavero hanno un’origine più antica essendo state nominate dal poeta Lucilio nel Torquato30; C’è pure tra i papaveri una varietà da cui le lenzuola traggono un candore particolare31. Non mancano note di carattere più specificamente agricolo, culinario, botanico e medico: Ci sono alcune (erbe) che accompagnano il seme delle altre; il papavero infatti si semina insieme col cavolo e con la portulaca e la rucola con la lattuga. Tre sono le specie del papavero che si semina: il bianco, il cui seme tostato si serviva presso gli antichi col miele come seconda portata; si serve anche sulla crosta del pane rustico su un letto formato da un uovo che vi è stato sparso e la crosta inferiore si condisce con sedano e con nitella che sa di farro; la seconda specie è quella del papavero nero, dal cui fusto inciso si ricava un succo latteo. I Grechi chiamano la terza rohea, i nostri erratico; nasce spontaneamente, soprattutto nei campi insieme con l’orzo, simile alla rucola, alto un cubito, con un fiore rosso che cade precocemente, cosa da cui ha preso pure il nome dai Greci. Delle altre specie di papaveri che nascono spontaneamente diremo quando parleremo di medicina. Che i papaveri fossero in onore presso i Romani ne è sempre indizio Tarquinio il Superbo che abbattendo la testa ai papaveri più alti nel giardino davanti ai messaggeri mandati dal figlio diede quella risposta sanguinaria con l’ambiguità del gesto32; Catone sul papavero così tramanda: brucia nel campo da seminare i rametti e i sarmenti residui. Quando li avrai bruciati lì semina il papavero. Quello selvatico è molto in uso cotto nel miele contro le malattie della gola ed ha potere sonnifero pure quello coltivato33; (contro l’angina) facilissimamente si mescolano tre dracme di anice e due di papavero col miele nella grandezza di una fava e si assumono tre volte al giorno34; Abbiamo parlato di tre generi di papavero che si semina e abbiammo detto che avremmo parlato di altri di papavero che nasce spontaneamente. Il calice del bianco che si semina si pesta e si beve nel vino per conciliare il sonno. Il seme cura l’elefantiasi. Dal papavero nero nasce una sostanza soporifera dopo aver inciso il fusto, quando ingrossa, come consiglia Diagora, quando è fiorito, come consiglia Iolla, alle 9 di un giorno sereno, cioé quando la rugiada su di esso si è asciugata. Prescrivono che l’incisione avvenga sotto il capo e il calice e che il capo non sia inciso in un’ altra specie. Anche questo succo come quello di ogni erba si mette nella lana, o se è poco, sull’unghia del pollice, come si fa con quello della lattuga, e ancor più nel giorno successivo poiché è essiccato. Il succo del papavero abbondante si addensa e compresso in pastiglie si secca all’ombra, non solo con proprietà soporifere ma se viene preso in eccesso anche mortale durante il sonno. Lo chiamano oppio. Sappiamo che così morì il padre del pretore P. Licinio Cecina in Spagna a Bilbili poiché il precario stato di salute gli aveva resa odiosa la vita; così parecchi altri. Perciò c’è un grande contrasto di opinioni. Diagora ed Erasistrato lo condannarono assolutamente come mortifero, vietando che fosse somministrato, anche perché nuocerebbe alla vista. Andrea aggiunse che non si è accecati subito da esso perché è falsificato ad Alessandria. Ma poi il suo uso non fu disapprovato per quel nobile medicamento che chiamano diacodio. Usano pure il suo seme pestato con latte in pastiglie per favorire il sonno, allo stesso modo con olio di rose contro i dolori di testa e questo viene pure istillato contro il dolore di orecchi. Si applica ad empiastro con latte di donna in caso di gotta. Così si usano pure le foglie. Allo stesso modo con aceto contro l’herpes zoster e le ferite. Io però biasimerei colui che lo aggiungesse ai colliri e molto di più in quei medicamenti che chiamano antipiretici, digestivi e antidiarroici. Tuttavia il nero viene somministrato nel vino ai sofferenti di diarrea. Le specie che si seminano sono di dimensioni maggiori, hanno il capo rotondo, al contrario di quella selvatica che lo ha lungo e piccolino ma è più efficace in ogni uso. Il decotto si beve contro l’insonnia e con la medesima acqua lavano il viso. Cresce bene nei luoghi secchi e quando piove raramente. Quando vengono bollite le stesse teste e le foglie il decotto è chiamato meconio, molto meno potente dell’oppio. La prima prova dell’oppio è nell’odore (quello sincero non può essere sopportato), poi nelle lucerne quando la fiamma risplenda pura e mandi odore solo quando si è spenta, cosa che non succede nel falsificato. Si accende pure più difficilmente e più frequentemente si spegne35. La prova di quello sincero è pure nell’acqua, poiché galleggia come nuvoletta, quando è adulterato si raccoglie in bolle. Ma la prova più eclatante sta nel sole estivo: quello sincero infatti suda e si scioglie fino a diventare come il succo fresco. Mneside ririene che si conservi ottimamente con l’aggiunta di seme di giusquiamo, altri nelle fave. Tra le specie coltivate e le selvatiche ce n’è una media, poiché nasce nei campi ma spontaneamente; l’abbiamo chiamata rhoea e erratica. Certi mangiano questo papavero subito dopo averlo colto con tutto il calice. Esso svuota l’intestino. Il decotto di cinque teste in tre emine di vino bevuto induce pure il sonno. Chiamano ceratiti una specie selvatica, nera, alta un cubito, dalla radice grossa e cortecciosa, col calicetto ripiegato come un cornetto. Le foglie sono più piccole e più sottili delle altre specie selvatiche. Il seme esile favorisce le mestruazioni; purga l’intestino nella dose di mezzo bicchiere con vino e miele.
Le foglie pestate con olio sanano l’ulcera dell’iride nei giumenti. La radice nella quantità che entra in un bicchiere bollita in due sestari di acqua fino a ridursi alla metà viene somministrata contro le malattie dei reni e del fegato. Le foglie col miele guariscono il carbonchio. Alcuni chiamano questa specie glaucio, altri paralio. Nasce infatti dove spira l’aria marina o in luogo ricco di nitro. Un’altra specie selvatica è chiamata eraclio, da altri afro, con le foglie che viste da lontano sembrano passeri, la radice molto superficiale e il seme spumoso. Da questo i tessuti traggono in estate lo splendore. Si pesta in un mortaio, utilissimo contro l’epilessia nella misura di un bicchiere di seme in vino bianco (infatti provoca il vomito), allo stesso modo per quel medicamento che si chiama diacodio e arteriace. Si prepara con centoventi teste di questo papavero o di qualsiasi altro selvatico macerate per due giorni in tre sestari di acqua piovana e nella stessa bollite; poi col succo essiccato e di nuovo cotto col miele a fuoco lento fino a ridursi alla metà. Vi hanno aggiunto dopo sei dracme di croco, d’opocistide, d’incenso, di acacia e un sestario di vino cotto di Creta. Questo medicamento però pecca di ostentazione poiché quello semplice è fatto solo di papavero e miele. Una terza specie è il titimalo (lo chiamano mecone, altri paralio) con la foglia simile a quella del lino, con il fiore bianco e con la testa della grandezza di una fava. Si raccoglie quando l’uva si sviluppa, si secca all’ombra. Il seme bevuto in mezzo bicchiere di vino al miele purga l’intestino. Il capo verde o secco di qualsiasi papavero poi applicato come cataplasmo allevia la lacrimazione. L’oppio se viene somministrato subito con vino piuttosto puro contrasta il morso degli scorpioni. Altri attribuiscono questo beneficio solo al nero, se si pestano le sue teste o le foglie36; ecco i passi in cui il papavero entra come componente di alcuni rimedi terapeutici:(I rametti del fico) estraggono le schegge ossee (applicati) con le foglie del papavero selvatico37; (Le foglie del caprifico applicate) con le foglie del papavero estraggono le ossa38; In caso di emottisi si bevono cinque tuorli crudi in un’emina di vino, in caso di dissenteria con la cenere dei loro gusci, succo di papavero e vino39; la nostra erba con i suoi poteri non poteva non chiudere in bellezza comparendo nell’arte statuaria con le implicazioni religiose che vedremo nella terza ed ultima parte dedicata agli autori greci: “Di questi [lo scultore Eufranore] è a Roma…la statua del Buon Evento che tiene nella destra una tazza, nella sinistra una spiga e un papavero40.
Le testimonianze numismatiche confermano, come vedremo nella terza ed ultima parte, il papavero come elemento iconografico caratterizzante anche il Buon Evento.
(CONTINUA)
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1 Trinummus, 410-411 (atto II, scena IV): Confit cito,/quam si tu obiicias formicis papaverem.
2 Ab Urbe condita, I, 54, 4-8 Apud milites vero obeundo pericula ac labores pariter, praedam munifice largiendo tanta caritate esse ut non pater Tarquinius potentior Romae quam filius Gabiis esset. Itaque postquam satis virium conlectum ad omnes conatus videbat, tum ex suis unum sciscitatum Romam ad patrem mittit quidnam se facere vellet, quando quidem ut omnia unus publice Gabiis posset ei di dedissent. Huic nuntio, quia, credo, dubiae fidei videbatur, nihil voce responsum est; rex velut deliberabundus in hortum aedium transit sequente nuntio filii; ibi inambulans tacitus summa papaverum capita dicitur baculo decussisse. Interrogando exspectandoque responsum nuntius fessus, ut re imperfecta, redit Gabios; quae dixerit ipse quaeque viderit refert; seu ira seu odio seu superbia insita ingenio nullam eum vocem emisisse. Sexto ubi quid vellet parens quidve praeciperet tacitis ambagibus patuit, primores civitatis criminando alios apud populum, alios sua ipsos invidia opportunos interemit. Multi palam, quidam in quibus minus speciosa criminatio erat futura clam interfecti. Patuit volentibus quibusdam fuga, aut in exilium acti sunt absentiumque bona iuxta atque interemptorum divisi fuere. Largitionis inde praedaeque et dulcedine privati commodi sensus malorum publicorum adimi, donec orba consilio auxilioque. Gabina res regi Romano sine ulla dimicatione in manum traditur.
3 Qualche volta è una fortuna se il lupo perde il pelo ma non il vizio: Panzeri si era già distinto durante il regime fascista per i testi ironicamente allusivi di Maramao, Pippo non lo sa, Signora illusione, Tamburo della Banda d’Affori.
4 De agri cultura, 39: Si ligna et virgas non poteris vendere neque lapidem habebis unde calcem coquas, de lignis carbones coquito, virgas et sarmenta, quae tibi usioni supererunt, in segete comburito. Ubi eas combusseris, ibi papaver serito; 80: Globos sic facito. Caseum cum alica ad eumdem modum misceto; inde quantos voles facere facito, in ahenum caldum unguen indito. Singulos aut binos coquito, versatoque crebro duabus rudibus; coctos eximito: eos melle unguito, papaver infriato, ita ponito.
5 Per chi volesse dedicarsi al loro allevamento ecco i consigli di Marco Terenzio Varrone Reatino (I secolo a. C.), De re rustica, III, 15: Glirarium autem dissimili ratione habetur, quod non aqua sed maceria locus sepitur, tota levi lapide, aut tectorio intrinsecus incrustatur ne ex ea erepere possit. In eo arbusculas esse oportet, quae ferunt glandem; quae, cum fructum non ferunt, intra maceriam iacere oportet glandem et castaneam, unde saturi fiant. Facere his cavos oportet laxiores, ubi pullos parere possint; aquam esse tenuem, quod ea non utuntur multum et aridum locum quaerunt. Hi saginantur in doliis, quae etiam in villis habent multi; quae figuli faciunt, multo aliter atque alia quod in lateribus eorum semitas faciunt et cavum, ubi cibum constituant. In hoc dolium addunt glandem aut nuces iuglandes aut castaneam. Quibus in tenebris, cum cumulatim positum est in doliis, fiunt pingues (Il luogo destinato ai ghiri si costruisce con un criterio diverso, perché non si circonda di acqua ma di muri tutti di pietre liscie o intonacati all’interno perché non possano arrampicarsi. Bisogna che dentro ci siano arboscelli che portano ghiande e nel periodo in cui non le portano bisogna gettare nel recinto ghiande o castagne perché se ne sazino. È necessario creare per loro delle cavità abbastanza larghe, dove possano partorire; basta poca acqua poiché non ne fanno molto uso e prediligono i luoghi secchi. I ghiri s’ingrassano nelle giare che molti hanno anche nelle case di campagna; quelle che fabbricano i vasai sono molto differenti dalle altre poichénei loro fianchi creano passaggi e hanno un foro attraverso il quale si mette il cibo. In queste giare gettano ghiande o noci o castagne. Al buio, dopo che sono stati messi in gruppo, ingrassano).
6 Satyricon, 31: Caeterum in promulsidari asellus erat. Corinthius cum bilaccio positus, qui habebat olivas in altera parte albas, in altera nigras. Tegebant asellum duae lances, in quarum marginibus nomen Trimalchionis inscriptum erat, et argenti pondus. Ponticuli etiam ferruminati sustinebant glires mette et papavere sparsos.
7 Satyricon, I: Et ideo ego adulescentulos existimo in scholis stultissimos fieri, quia nihil ex his, quae in usu habemus, aut audiunt aut vident, sed piratas cum catenis in litore stantes, sed tyrannos edicta scribentes, quibus imperent filiis ut patrum suorum capita praecidant, sed responsa in pestilentiam data, ut virgines tres aut plures immolentur, sed mellitos verborum globulos et omnia dicta factaque quasi papavere et sesamo sparsa.
8 Medicamina faciei, vv. 99-100: Vidi quae gelida madefacta papavera lympha/contereret teneris illineretque genis.
9 Amores, II, 6, vv. 31-32: Nux erat esca tibi causaeque papavera somni/pellebatque sitim simplicis umor aquae.
10 Fasti, IV, vv. 151-153: Nec pigeat tritum niveo cum lacte papaver/sumere et expressis mella liquata favis:/cum primum cupido Venus est deducta marito,/hoc bibit; ex illo tempore nupta fuit.
11 Fasti, IV, vv. 531-534: Illa soporiferum, parvos initura penates,/colligit agresti lene papaver humo./ Dum legit oblito fertur gustasse palato/longamque imprudens exsolvisse famem. La lunga fame è il digiuno che aveva fino a quel momento rigorosamente mantenuto e il papavero assunto come cibo quasi un alibi per far passare in secondo piano l’inconscio desiderio di rimuovere in qualche modo (qui con uno stupefacente) il dolore. Le spighe e il papavero contraddistinguono Cerere anche nelle monete, come nel denario di Vespasiano (77-78 d. C.) qui riprodotto.
legenda: CAESAR VESPASIANUS AUG(USTUS)/CERES AUGUST(A)
12 Fasti, IV, vv. 661-662: interea placidam redimita papavere frontem/Nox venit, et secum somnia nigra trahit. Nella mitologia greca e poi in quella romana Erebo e Notte generarono Thanatos (Morte) e Ypnos (Sonno) e dall’accoppiamento incestuoso tra Ypnos e Notte nacque Morfeo. Non a caso il papavero accompagna nel mondo greco e romano le raffigurazioni della Notte, del Sonno e di Morfeo (da cui, poi, morfina, l’alcaloide estratto dall’oppio). Morfeo (in latino Morpheus) è creazione più recente rispetto agli altri, dovuta alla fine del I secolo a. C. ad Ovidio (Metamorfosi, XI, 635) e il suo nome deriva dal greco morfè=forma , figura; il dio, infatti, si mostrava ai dormienti assumendo varie forme.
13 Tristia, V, vv. 23-27: litora quot conchas, quot amoena rosaria flores,/quotve soporiferum grana papaver habet,/silva feras quot alit, quot piscibus unda natatur,/quot tenerum pennis aëra pulsat avis,/
tot premor adversis.
14 Metamorfosi, X, VV. 190-195: Ut, siquis violas rigidumve papaver in horto/liliaque infringat fulvis horrentia linguis,/marcida demittant subito caput illa vietum/nec se sustineant spectentque cacumine terram:/sic vultus moriens iacet et defecta vigore.
15 Eneide, IV, vv. 474-481 Oceani finem iuxta solemque cadentem/ultimus Aethiopum locus est, ubi maximus Atlas/ axem umero torquet stellis ardentibus aptum:/hinc mihi Massylae gentis monstrata sacerdos,/Hesperidum templi custos, epulasque draconi/quae dabat et sacros servabat in arbore ramos,/spargens umida mella soporiferumque/papaver.
16 Georgiche, I, 78: Urunt Lethaeo perfusa papavera somno. Il Lete (fiume dell’oblio dalla radice lath– del verbo greco lanthàno=nascondere) era uno dei fiumi infernali.
17 Georgiche, IV, 130: … vescumque papaver…
18 Capitolo XXXIV: E che altro ebbe a fare, se non deporre sul letto l’unica che le rimaneva, e corcarsele allato, a morire insieme?; come il fiore già rigoglioso in su lo stelo cade in un col fiorellino ravvolto ancora nel calice, al passar della falce che agguaglia tutte l’erbe del prato. Tuttavia il padre di questa similitudine è Omero che nell’Iliade (libro VIII, vv. 306-309 nella traduzione di Vincenzo Monti) così descrive la morte di un figlio di Priamo: Come carco talor del proprio frutto,/e di troppa rugiada a primavera/il papaver [nel testo originale mekon] nell’orto il capo abbassa, così la testa dell’elmo gravata/su la spalla chinò quell’infelice.
19 IX, vv. 435-436: purpureus veluti cum flos succisus aratro/languescit moriens lassove papavera collo.
20 De arte poetica, vv. 374-378: Ut gratas inter mensas symphonia discors/ et crassum unguentum et Sardo cum melle papaver/offendunt, poterat duci quia cena sine istis,/sic animis natum inventumque poema iuvandis,/si paulum summo decessit, vergit ad imum.
21 De re rustica, X, 104: …profugos vinctura papavera somnos…
22 Punica, X, vv. 351-352: Imperium celer exequitur curvoque volucris/per tenebras portat medicata papavera cornu.
23 De medicina, II, 32: Somno vero aptum est papaver.
24 De medicina, III, 10: Iuvat etiam panis cum papavere iniectus, vel cum rosa, cerussa spumave argenti.
25 De medicina, III, 18: Si nihilo minus vigilant, quidam somnum moliuntur potui dando aquam, in qua papaver aut hyoscyamos decocta sint… Plurimi, decoctis papaveris corticibus, ex ea aqua spongia os et caput subinde fovent. Asclepiades ea supervacua esse dixit, quoniam in lethargum saepe converterent.
26 De medicina, IV, 27: Idem faciunt etiam albae olivae, et nigrum papaver cum melle adsumptum.
27 De medicina, IV, 31: Si maior est dolor, papaveris cortices in vino coquendi miscendique cum cerato sunt, quod ex rosa factum sit; vel cerae et adipis suillae tantundem una liquandum, deinde his vinum miscendum; atque ubi quod ex eo impositum est incaluit, detrahendum, et subinde aliud inponendum est… Quod si nihil superinponi dolor patitur, id, quod sine tumore est, fovere oportet spongia, quae in aquam calidam demittatur, in qua vel papaveris cortices vel cucumeris silvestris radix decocta sit; tum inducere articulis crocum cum suco papaveris et ovillo lacte.
28 De medicina, V, 15: Molliunt aes combustum, terra Eretria, nitrum, papaveris lacrima.
29 De medicina, V, 25: …etiam silvestris papaveris, cum iam ad excipiendam lacrimam maturum est, manipulus qui manu conprehendi potest, in vas demittitur, et superinfunditur aqua, quae id contegat, atque ita coquitur. Ubi iam bene manipulus is coctus est ibidem expressus proicitur; et cum eo umore passi par mensura miscetur, infervefitque, donec crassitudinem sordium habeat. Cum infrixit, catapotia ex eo fiunt ad nostrae fabae magnitudinem, habentque usum multiplicem. Nam et somnum faciunt vel per se adsumpta vel ex aqua data, et aurium dolores levant, adiectis exiguo modo rutae suci ac passi, et tormina supprimunt ex vino liquata, et inflammationem vulvae coercent mixta cerato ex rosa facto, cum paulum his croci quoque accessit; et ex aqua fronti inducta pituitam in oculos decurrentem tenent.
30 Naturalis historia, VIII, 74: Crebrae papaveratae antiquiorem habent originem iam sub Lucilio poeta in Torquato notatae.
31 Naturalis historia, XIX, 4: Est et inter papavera genus quoddam, quo candorem lintea praecipuum trahunt.
32 Naturalis historia, XIX, 53: Sunt quaedam comitantia aliorum satus; papaver namque cum brassica seritur ac porcillaca, et eruca cum lactuca. Papaveris sativi tria genera: candidum, cuius semen tostum in secunda mensa cum melle apud antiquos dabatur; hoc et panis rustici crustae inspergitur, adfuso ovo inhaerens, ubi inferiorem crustam apium gitque cereali sapore condiunt. Alterum genus est papaveris nigrum, cuius scapo inciso lacteus sucus excipitur. Tertium genus rhoean vocant Graeci, id nostri erraticum; sponte quidem, sed in arvis cum hordeo maxime nascitur, erucae simile, cubitali altitudine, flore rufo et protinus deciduo, unde et nomen a Graecis accepit. De reliquis generibus papaveris sponte nascentis dicemus in medicinae loco. Fuisse autem in honore apud Romanos semper indicio est Tarquinius Superbus, qui legatis a filio missis decutiendo papavera in horto altissima sanguinarium illud responsum hac facti ambage reddidit.
33 Naturalis historia, XVIII, 61: Cato de papavere ita tradit: Virgas et sarmenta, quae tibi usioni supererunt, in segete comburito. Ubi eas combusseris, ibi papaver serito. Silvestre in miro usu est melle decoctum ad faucium remedia, visque somnifera etiam sativo.
34 Naturalis historia, XX, 73: Facillime vero anesi drachmae tres, papaveris duae miscentur melle ad fabae magnitudinem et ternae diebus sumuntur.
35 Sembra anticipare l’uso, insieme con quello alimentare, che nel secolo XIX si farà dell’olio di semi di papavero: Fra le tante piante da noi conosciute che producon frutto capace a dar dell’olio, che possa sostituirsi con vantaggio all’olio d’oliva, sì per il condimento dei cibi, come ancora per il consumo ordinario dei lumi, credo non esservi la più utile, e la più economica di quella del papavero grigio, varietà del papavero sonnifero comune, che dal color dei semi dirò papavero bianco. E da qualche tempo si è estesa la coltivazione di questa pianta in quasi tutta la Germania, che vedonsi immense campagne a quest’oggetto destinate; come ancora nei Paesi Bassi, e in tutto il nord della Francia…(Ippolito Matteuzzi, Olio economico di papavero grigio, in Continuazione degli atti dell’imperiale e reale accademia economico-agraria dei Georgofili di Firenze, tomo I, trimestre I, Piatti, Firenze, 1818, pag. 639
36 Naturalis historia, XX, 76: Papaveris sativi tria diximus genera, et sponte nascentis alia promisimus. E sativis albi calix ipse teritur et e vino bibitur somni causa. Semen elephantiasi medetur. E nigro papavere sopor gignitur scapo inciso, ut Diagoras suadet, cum turgescit, ut Iollas, cum deflorescit, hora sereni diei tertia, hoc est cum ros in eo exaruerit. Incidi iuvent sub capite et calice, nec in alio genere ipsum inciditur caput. Sucus et hic et herbae cuiuscumque lana excipitur aut, si exiguus sit, ungue pollicis, ut lactucis, et postero die magis, quod inaruit. Papaveris vero largus densatur et in pastillos tritus in umbra siccatur, non vi soporifera modo, verum, si copiosior hauriatur, etiam mortifera per somnos. opium vocant. Sic scimus interemptum P. Licini Caecinae praetorii viri patrem in Hispania Bilbili, cum valetudo impetibilis odium vitae fecisset; item plerosque alios. Qua de causa magna concertatio extitit. Diagoras et Erasistratus in totum damnavere ut mortiferum, infundi vetantes praeterea quoniam visui noceret. Addidit Andreas, ideo non protinus excaecari eo, quoniam adulteraretur Alexandriae. Sed postea usus eius non inprobatus est medicamento nobili, quod diacodion vocant. Semine quoque eius trito in pastillos e lacte utuntur ad somnum, item ad capitis dolores cum rosaceo; cum hoc et aurium dolori instillatur. Podagris inlinitur cum lacte mulierum – sic et foliis ipsis utuntur -, item ad ignes sacros et vulnera ex aceto. Ego tamen damnaverim collyriis addi, multoque magis quas vocant lexypiretos quasque pepticas et coeliacas. Nigrum tamen coeliacis in vino datur. Sativum omne maius. Rotunda ei capita, at silvestri longa ac pusilla, sed ad omnes effectus valentiora. Decoquitur et bibitur contra vigilias, eademque aqua fovent ora. Optimum in siccis et ubi raro pluat. Cum capita ipsa et folia decocuntur, sucus meconium vocatur, multum opio ignavior. Experimentum opii est primum in odore – sincerum enim perpeti non est -, mox in lucernis, ut pura luceat flamma et ut extinctum demum oleat, quae in fucato non eveniunt. Accenditur quoque difficilius et crebro extinguitur. Est sinceri experimentum et in aqua, quoniam ut nubecula innatat, fictum in pusulas coit. Sed maxime mirum est aestivo sole deprehendi; sincerum enim sudat et se diluit, donec suco recenti simile fiat. Mnesides optime servari putat hyoscyami semine adiecto, alii in faba. Inter sativa et silvestria medium genus, quoniam in arvis, sed sponte nasceretur, rhoeam vocavimus et erraticum. Quidam id decerptum protinus cum toto calice mandunt. Alvum exinanit. Capita quinque decocta in vini tribus heminis pota et somnum faciunt. Silvestrium unum genus ceratitim vocant, nigrum, cubitali altitudine, radice crassa et corticosa, calyculo inflexo ut corniculo. Folia minora et tenuiora quam ceteris silvestribus. Semen exile tempestivum est mensibus; alvum purgat dimidio acetabulo in mulso. Folia trita cum oleo argema iumentorum sanant. Radix acetabuli mensura cocta in duobus sextariis ad dimidias datur ad lumborum vitia et iocineris. Carbunculis medentur ex melle folia. Quidam hoc genus glaucion vocant, alii paralium. Nascitur enim in adflatu maris aut nitroso loco. Alterum e silvestribus genus heraclium vocatur, ab aliis aphron, foliis, si procul intuearis, speciem passerum praebentibus, radice in summa terrae cute, semine spumeo. Ex hoc lina splendorem trahunt aestate. Tunditur in pila comitialibus morbis acetabulo seminis in vino albo – vomitionem enim facit -, item medicamento, quod diacodion et arteriace vocatur, utilissimum. Fit autem huius papaveris aut cuiuscumque silvestris capitibus CXX in aquae caelestis sextariis tribus biduo maceratis in eademque discoctis, deinde suco siccato iterumque cum melle decocto ad dimidias partes vapore tenui. Addidere postea drachmas senas croci, hypocisthidis, turis, acaciae et passi Cretici sextarium. Haec ostentatione, simplex quidem et antiqua illa salubritas papavere et melle constat. Tertium genus est tithymalon – mecona vocant, alii paralion – folio lini, flore albo, capite magnitudinis fabae. Colligitur uva florente, siccatur in umbra. Semen potum purgat alvum dimidio acetabulo in mulso. Cuiuscumque autem papaveris caput viride vel siccum inlitum epiphoras oculorum lenit. Opium ex vino meraculo si protinus detur, scorpionum ictibus resistit. Aliqui hoc tantum nigro tribuunt, si capita eius vel folia terantur.
37 Naturalis historia, XXIII, 63: …extrahunt infracta ossa cum papaveris silvestris foliis.
38 Naturalis historia, XXIII, 64: …cum papaveris foliis ossa extrahunt.
39 Naturalis historia, XXIX, 11: Cruenta excreantibus quinque ovorum lutea in vini hemina cruda sorbentur, dysintericis cum cinere putaminis sui et papaveris suco ac vino.
40 Naturalis historia, XXXIV, 19: Huius est …Romae simulacrum Boni Eventus, dextra pateram, sinistra spicam ac papavera tenens…
prima parte
terza parte:
https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/12/30/la-paparina-il-papavero-iii-parte/