Gedik Ahmet Pascià il rinnegato cristiano che divenne Gran Visir alla corte di Mehmet II il Conquistatore
di Romualdo Rossetti
Il nome di Gedik Ahmet Pascià (… – Edirne, 18 novembre 1482) è tristemente ricordato in terra d’Otranto per la ferocia con la quale il 14 Agosto del 1480 ordinò ai suoi uomini di decapitare gli 800 prigionieri idruntini sul colle della Minerva, dopo aver fatto stuprare fanciulle, sgozzare inermi uomini di fede, donne, vecchi e bambini, abbattere ed insozzare i più importanti luoghi di culto cristiani come la chiesetta di San Pietro, la cattedrale e l’antico cenobio basiliano di San Nicola di Casole, segare in due il comandante della guarnigione cristiana Francesco Zurlo, e fatto impalare il boia Berlabei che colpito dal coraggio e dall’eroica e soprannaturale morte di Primaldo Pezzulla, il primo degli ottocento martiri, si era rifiutato di decollarne altri.
Ma chi era in realtà Gedik Ahmet Pascià? Secondo alcune fonti il comandante in capo dell’armata turca conosciuto anche con gli appellativi di Giacometto o Gedik lo sdentato pare non fosse altro che uno dei tanti rinnegati cristiani di origini serbe o greco-bizantine che si erano votati per codardia alla causa dell’Islam. Altre fonti invece, lo dichiarano di discendenza albanese visto che durante una manovra bellica si rifiutò di prendere parte ad una ritorsione nei confronti della città di Scutari che molti cedettero fosse la sua città d’origine. La sua folgorante carriera politica ebbe sicuramente inizio in ambito militare quando in qualità di stratega riuscì a sconfiggere l’ultimo karamanide che ostacolava l’avanzata di Mehmet II in Anatolia, principato islamico che resisteva alle mire espansionistiche degli Ottomani da più di duecento anni.
La sua vittoria contro i Karamanidi nel 1471, permise all’Impero della “Sublime Porta” di conquistare la strategica regione costiera che si affacciava sul Mediterraneo e che aveva reso prospere con le sue rotte commerciali e vie carovaniere le città di Silikke, Mennan ed Ermenek. Ebbe anche numerosi scontri con la flotta veneziana stanziata nel Mediterraneo orientale e fu inviato nel 1475 dal Sultano ottomano Mehmet II a dar manforte al Khanato di Crimea contro le forze genovesi che lo assediavano da tempo. In Crimea conquistò le città di Sudak, Balaclava e Caffa insieme a molte altre fortezze e roccaforti genovesi. Per opera sua capitolarono il Principato di Teodoro con la sua capitale Mangup e le regioni costiere della Crimea. In un’occasione mise in salvo inoltre, Mengli I Giray, il Khan di Crimea dagli attacchi dei Genovesi. Conquistò al soldo del suo sultano la Crimea e la Circassia. Nel 1479 il Sultano Mehmet II gli ordinò di porsi alla guida della flotta ottomana nel Mediterraneo nella guerra contro il Regno di Napoli ed il Ducato di Milano.
Durante questa campagna, si appropriò delle isole di Cefalonia, Santa Maura (Leucade) e Zante (Zacinto).
Dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453, Mehmet II volle considerarsi il legittimo erede dell’Impero Romano, cosa che gli fece credere di poter intraprendere la conquista della penisola italiana per riunire i territori romani sotto la sua dinastia. Dopo un tentativo non riuscito di strappare l’isola di Rodi ai Cavalieri dell’Ordine dell’Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme, nel 1480 riuscì a conquistare la città portuale di Otranto.
Nel frattempo, nel 1474 Gedik Ahmet Pascià, uno dei primi fra coloro che avevano istruito i Turchi sull’arte della navigazione, era stato da nominato dal suo amato sultano Sadrazam (supremo Visir, carica che terrà fino al 1477) successivamente retrocedette alla carica di “Sançak Bey”, ovvero governatore del sangiaccato di Valona.
La flotta messagli a disposizione per la conquista dell’Italia era imponente. Stando alle varie fonti storiche pare fosse composta da un numero compreso tra le 70 e le 200 navi nominalmente capaci di trasportare tra i 18.000 e i 100.000 uomini: cifre però queste non storicamente confermate ed in continua oscillazione. Per approssimazione, la flotta doveva disporre in fatto di navi da guerra di 90 galee, 40 galeotte e altre 20 navi, per un totale quindi di circa 150 imbarcazioni. È ipotizzabile che la flotta turca trasportasse un esercito di 18.000 uomini. Presa Otranto ordinò ai suoi uomini svariate incursioni lungo la penisola salentina ai danni di numerosissimi villaggi e casali non trascurando di attaccare però città di notevoli dimensioni come Galatina che sotto i suoi assedi rovinò il 7 febbraio del 1481.
La presa di Otranto e le scorribande nel Salento durarono in realtà pochi mesi perché gli assedianti si trovarono, ben presto, senza vettovagliamenti e ripiegarono in Albania con l’intento di riprendere l’assedio con l’arrivo della buona stagione. La morte improvvisa di Mehmet II il 3 maggio del 1481 causata da un complotto di palazzo orchestrato con buona probabilità dal figlio Bayezid II pose Gedik Ahmet Pascià in una posizione abbastanza scomoda tanto che fu posto dal nuovo sultano agli arresti e dopo nemmeno diciannove mesi la morte del suo grande benefattore, fu fatto uccidere ad Edirne il 18 novembre del 1482.
Giulio Antonio I Acquaviva lo sfortunato “defensor fidei” di Don Ferrante d’Aragona che perse la testa per la causa cristiana
VII Duca d’Atri, I Duca di Teramo, XIII Conte di Conversano e di Castro San Flaviano e Signore di Forcella, Roseto e Padula, Giulio Antonio Acquaviva I nacque in Abruzzo nel 1425. Figlio di Antonella Riccardi Migliorati dei signori di Fermo e di Ortonae del famoso capitano di ventura Giosia Acquaviva, VI duca d’Atri.
Le famiglie di entrambi i suoi genitori appartenevano al più antico patriziato napoletano. Suo padre Giosia aveva ereditato vasti territori lungo il litorale adriatico da parte dei propri predecessori che erano scesi in Italia dalla Baviera con gli Ottoni nel corso del X secolo. Questi vasti possedimenti avevano il loro centro d’irradiazione nel feudo della città di Acquaviva Picena, graziosa città in Abruzzo Ultra, da cui la famiglia acquisì il nome a partire dal regno dell’imperatore Federico II di Hohenstaufen.Gli Acquaviva ricoprirono le più alte cariche sia in campo militare che in quello civile ed ecclesiastico. Le prime scritture risalgono al 1195 con tal Rinaldo sposato a Foresta, figlia di Lione signore d’Atri.
Gli Acquaviva parteciparono, con le proprie milizie alla Crociata del 1185 e, con propri navigli, alla guerra contro l’Imperatore d’Oriente. L’antica prossimità degli Acquaviva con la casata sveva rese inevitabile il forte contrasto con gli Angioini ed i loro vassalli. Un suo avo , Antonio Acquaviva nel 1376 riuscì a sottomettere gli Ascolani che si erano ribellati e fronteggiò con successo anche Lodovico d’Angiò tanto che per riconoscenza, re Carlo III di Durazzo lo nominò suo ciambellano donandogli i possedimenti di San Flaviano e di Montorio col titolo di Conte.Con un’abile strategia e manovra militare, nel 1390 riuscì a penetrare di notte nella città di Teramo uccidendo Antonello della Valle che dormiva nella sua dimora. Il 20 giugno del 1393 ottenne da re Ladislao di Durazzo, dietro pagamento il riconoscimento del possesso di Atri e Teramo. Suo padre Giosia intraprese la stessa strategia alleandosi con Alfonso d’Aragona nella lunga, drammatica contesa per il trono di Napoli. Per questa netta scelta di campo, egli dovette subire periodiche devastazioni delle sue terre da parte degli Sforza, alleati degli Angioini, venendo persino preso prigioniero da questi ultimi dopo la sanguinosa battaglia di Ortona del 1440. Cresciuto in un contesto così violento ed infido il giovane Giulio Antonio I non potette che farsi strada con l’astuzia e la forza delle armi, militando con onore nell’armata del principe di Taranto Giovanni Antonio Orsini del Balzo.
La sincera devozione verso il suo signore – dimostrata in molti campi di battaglia tra Marche, Abruzzo e Puglia – gli portò in dote la contea di Conversano, acquisita tramite il matrimonio che si celebrò nel 1456 con Caterina Orsini del Balzo, Contessa di Conversano, Signora di Turi, Noci, Castellana, Casamassima, Bitetto e Gioia del Colle, nonché figlia naturale del suo amato principe. Affiancando la politica del suocero, prese parte alla prima congiura dei baroni sconfiggendo il 22 luglio del 1460 presso il proprio feudo di Castello S. Flaviano le guarnigioni reali anche se non potette gioire della vittoria perché ostacolato dalle forze di Giorgio Castriota Scanderbeg. Passò poi a prendere parte all’assedio di Troia e quindi a quello di Andria insieme con Niccolò Piccinino col quale si sforzò di piegare ma invano la resistenza di Francesco del Balzo, padre di Raimondello e fedele a Ferrante d’Aragona. Presa infine la città di di Andria ma fu però sconfitto nel 1462 a Troia.
Successivamente Giulio Antonio I Acquaviva negoziò un trattato di pace tra il suocero e gli Aragonesi, riuscendo ad instaurare così un buon rapporto personale con il nuovo sovrano Ferrante. Nel 1463 tale simpatia gli permise di recuperare alcuni possedimenti di famiglia a Montepagano, e di imporre alla città di Bari un esoso tributo ammontante ad oltre 4000 ducati. Nel 1463, una volta deceduto il suocero, capo ed organizzatore principale della rivolta dei baroni, passò senza preavviso dalla parte del re Ferrante d’Aragona, al quale da allora in poi serbò fede fino alla morte. Ferrante lo accolse con ogni onore, concedendogli il 30 aprile del 1469 la restituzione dei possedimenti di Atri e di Teramo, che erano stati privati a suo padre Giosia.
Nel 1473 ebbe l’incarico di scortare a Ferrara Eleonora d’Aragona, che andava in sposa ad Ercole d’Este. L’anno successivo fece parte del corteggio di Federico d’Aragona nel viaggio verso la Borgogna, per chiedere la mano di Maria, figlia di Carlo il Temerario. Il 16 settembre del 1477 accompagnò Giovanna d’Aragona da Castelnuovo alla chiesa dell’Incoronata, dove doveva aver luogo la cerimonia della sua incoronazione.
Con l’interdizione della carriera militare ai nobili, decisa da don Ferrante, il maturo condottiero si stabilì definitivamente nei suoi possedimenti abruzzesi dove pose in essere un’intensa attività artistica e culturale.Questo ritiro fu interrotto per poche settimane solo dalla guerra di Toscana del 1479. Ormai sicuro dei propri diritti feudali, Giulio Antonio I Acquaviva progettò la ricostruzione di molte località del ducato di Atri, diroccate durante le precedenti ostilità tra Aragonesi e Angioini.La prima località ad essere soggetta a tali interventi urbanistici fu la città di Conversano, dove venne ristrutturato l’antico castello medievale che fu arricchito con un’ampia torre a base decagonale e lunghe mura a scarpata, particolarmente ardite dal punto di vista ingegneristico. Il resto del maniero fu invece fortificato con parapettie bastioni a pianta cilindrica che lo fecero divenire un vero e proprio capolavoro dell’architettura militare del tredicesimo secolo. Subirono importanti restauri anche la Cattedrale e il Monastero di San Benedetto, governato spesso nei secoli seguenti da badesse appartenenti alla famiglia ducale Acquaviva d’Aragona.
Giunse poi il tempo della ricostruzione di Atri, con l’edificazione della chiesa di San Liberatore che era stata originariamente cappella votiva degli Acquaviva e l’ampliamento di quella di San Nicola.Fu però l’antico borgo di Castel San Flaviano ad assorbire le massime attenzioni del duca mecenate. Posto sul litorale adriatico dopo la famosa battaglia del Tordino del 25 luglio del 1460 tra le truppe di Francesco Sforza e quelle Niccolò Piccinino, Castel San Flaviano, la residenza degli Acquaviva, fu saccheggiata dai soldati di Matteo di Capua e ridotta in un cumulo di macerie.Invece di ricostruire la città, Giulio Antonio I preferì costruirne una nuova a settanta metri sul livello del mare vicino alla città antica romana denominata Castrum Novum Piceni.
Il 31 maggio1471 Ferrante I re di Napoli emise un proclama mediante il quale autorizzava Giulio Giulio Antonio I Acquaviva a riedificare Castel San Flaviano sul luogo che egli stesso aveva prescelto. Il nuovo nucleo prese da lui il nome di Julia e più tardi quello di Julia nova. Il progetto della cittadella fu affidato dal duca ai famosi architetti Leon Battista Alberti e Francesco di Giorgio Martini che lo terminò nel 1472, ispirandosi agli antichi modelli vitruviani ed ai nuovi criteri di prospettiva e razionalità propri dell’età rinascimentale. I lavori di edificazione si protrassero per più decenni e si presentarono come un’impresa titanica, fortemente voluta dallo stesso duca che più di una volta s’interessò personalmente dell’opera, anche con l’aiuto di persone di sua fiducia, come il suo legittimo primogenito Giovanni Antonio, e Sulpizio altro suo figlio naturale. Il centro abitato originario era racchiuso per intero entro una possente cinta muraria della forma di un quadrilatero irregolare, difeso da otto torrioni di cui uno inserito nel palazzo ducale. L’impianto dell’urbe era di tipo radiocentrico imperniato su un nucleo monumentale costituito dal Palazzo degli Acquaviva, dalla fontana pubblica e dal Duomo di forma ottagonale che dominava l’Adriatico.
La cittadella, progettata per accogliere non più di un migliaio di residenti, ebbe al principio una scarsa popolazione, composta per lo più da immigrati di altri stati italiani o provenienti da alcuni paesi dell’Europa orientale. Nel primo censimento comparivano dieci Albanesi, quattro Croati non ben identificati e tre Greci mentre per quanto concerneva gli Italiani si segnalavano la presenza di ben quindici Lombardi oltre ad alcuni Veneti e Romagnoli, un Ragusino, un Marchigiano ed un solo Abruzzese. La città di Jiulia nova fu il definitivo trionfo di Giulio Antonio I Acquaviva, ormai acclamato non solo per le diverse battaglie sostenute ma anche per le grandiose opere artistiche realizzate durante il suo lungo ritiro professionale.
Uomo d’arme e d’ingegno fu utilizzato più volte da re Ferrante per i suoi fini politici. Nel 1478, riprese le armi e comandò la flotta che sosteneva l’esercito napoletano di Ferrante d’Aragona, che si era unito alla coalizione costituita dal papa Sisto IV contro Firenze e nel luglio dello stesso anno partì alla volta di Genova alla testa di una spedizione armata, in occasione della ribellione genovese contro gli Sforza, di lì attraverso la Lunigiana transitò in Toscana con Roberto Sanseverino, combattendo sotto le mura di Pisa e passando poi a sostenere nel 1479 i Senesi ribelli contro Firenze.
Una volta ritornato alla corte di Napoli per aver guidato e consigliato il duca di Calabria, fratello del re, venne insignito dell’Ordine del Ermellino. Inoltre con privilegio del Re di Napoli del 30 aprile 1479, ricevette l’onore di poter aggiungere al suo cognome il nome di Aragona e di inserire nel blasone di famiglia i colori della nobile casata regia. Una volta occupata Otranto dai Turchi di Mehmet II, fu posto a capo della prima spedizione di millecinquecento soldati mandata per recuperare la cittàportuale salentina.
Stanziatosi con le sue truppe nella piccola città di Sternatia, il 7 febbraio del 1481 saputo della caduta in mano musulmana della roccaforte di Galatina cercò di inseguire le retroguardie turche che ritornavano ad Otranto ma alla guida di un manipolo di suoi fedeli, s’impantanò nelle terre paludose e boschive nei pressi dei casali di Acquarolo (oggi località “Laccu”) e Pulsanello (oggi località “Pulisanu”) a poche miglia dai centri urbani di Muro Leccese e Giuggianello cadendo in un agguato dei Turchi che lo decapitarono in battaglia. La sua testa fu dapprima issata su di una picca e mostrata a sfregio durante gli scontri poi successivamente fu inviata a Costantinopoli come trofeo di guerra.Nonostante vari tentativi diplomatici non fu mai riportata in patria ad alcun prezzo. La leggenda racconta che una volta decapitato rimase in arcione sul suo cavallo che lo riportò privo di testa a Sternatia nel fortilizio da dove era partito con le sue truppe.A vendicarlo ci pensò il figlio Andrea Matteo, che condusse il lungo assedio delle posizioni turche nel Salento sino alla loro resa definitiva.
Il suo corpo fu sepolto, assieme a quello della moglie, nella chiesa di Santa Maria dell’Isola a Conversano, in un momumento funebre opera dello scultore galatinese Giulio Barba.
il secondo e terzo inquarto dello stemma degli Acquaviva d’Aragona è corretto, ma non il primo e quarto, che evidentemente non corrisponde allo stemma dei d’Aragona che fu concesso ai duchi di Nardò e conti di Conversano. La precisazione è doverosa visto che ci seguono molti competenti in araldica
[…] Sulla fine del duca della famiglia Acquaviva sono apparsi su questo blog due contributi. Il primo (https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/12/27/gedik-ahmet-pascia-e-giulio-antonio-i-acquaviva-bre…) privilegia la storia, il secondo […]
ci sono errori, “la nuova città di Giulia (l’odierna Gulianova) fu edifica a circa un chilometro e mezzo da Castel S. Flaviano”,
Castel S. Flaviano era invece edificata dell’antica Castrum Novum, poi divenuta Castrum divi Flaviani
[…] Gedik Ahmet Pascià, comandante dell’esercito turco, dopo 15 giorni di assalti riuscì a sfondare le difese e iniziò il massacro nella città salentina. La popolazione decise di fare un’ultima resistenza contro i pagani, in onore della fede in Cristo e dopo un’ultima battaglia davanti alla Cattedrale di Otranto, la città cadde. I turchi iniziarono un massacro tra i cittadini, prima uccidendo tutti i maschi di età superiore ai 15 anni, poi rendendo donne e bambini schiavi. […]