di Maura Sorrone
Recentemente, gli studi sulla scultura in legno, sostenuti da numerosi interventi di restauro, ci hanno permesso di aggiungere ulteriori tasselli allo sterminato e immenso patrimonio di opere presenti sul territorio salentino; ed è proprio grazie a ciò che altri nomi si aggiungono a quelli dei più conosciuti artisti del legno, svelando intrecci e legami che i documenti finora conosciuti avevano solo suggerito.
È proprio il restauro delle opere che può compensare le lacune documentarie, permettendo, spesso a distanza di molto tempo, di chiarire importanti vicende stilistiche1.
Negli ultimi anni, si è cercato di utilizzare al meglio le nuove tecnologie nel campo della diagnostica2, ma quando ciò non risulta possibile, anche solo un corretto intervento di restauro può permettere una lettura omogenea dell’opera e il più delle volte salvarla dall’incuria e da metodi di scarsa manutenzione utilizzati di frequente in passato.
Tra i casi più noti ci sono le vicende artistiche di scultori come Nicola Fumo e Giacomo Colombo, ai quali spesso, vengono attribuite opere sulla base di una somiglianza stilistica con opere certe, dimenticando però che tale somiglianza è frutto di restauri poco corretti. Ciò ha portato ad accrescere inevitabilmente il catalogo di alcuni artisti a scapito di altri, ancora poco conosciuti, che meritano le dovute attenzioni.
È il caso di Giovanni Antonio Colicci3, scultore di origini romane, documentato negli anni 1692 – 17404, autore di due opere in legno custodite ancora oggi a Nardò, negli ultimi anni recuperate e ripulite da interventi che ne occultavano il valore.
Prima di soffermarci sulle due opere in questione è necessario spendere alcune parole sul Colicci e sulle vicende che lo avvicinarono all’ambiente napoletano.
Il nostro artista, sembra appartenere ad una famiglia di intagliatori romani, che negli anni Novanta del XVII secolo, lavorano nell’Abazia di Montecassino collaborando alla realizzazione del coro ligneo della basilica5.
In questi anni i lavori nel cantiere cassinate impegnano importanti artisti napoletani, tra cui Luca Giordano, Francesco Solimena e Francesco De Mura; dunque la famiglia Colicci era già ben inserita nell’ambiente artistico napoletano; infatti come ha evidenziato Filippo Aruanno, già nel 1699, Giovanni Antonio Colicci realizza due angeli che reggono uno stemma per la Chiesa degli Incurabili di Napoli6.
I documenti pubblicati da Gian Giotto Borrelli7 testimoniano, inoltre, Giovanni Antonio attivo a Napoli a partire dal 1712 come scultore de legnami8, perfettamente inserito nella società napoletana.
E dalla sua bottega sita ante largum Archiepiscopalis Ecclesia9 due anni più tardi, nel 1714, partirono le due belle statue, quella della Madonna Assunta (fig. 1) e il busto di San Filippo Neri (fig. 2) che giungeranno a Nardò per volontà del Sanfelice10. Dunque un’ incarico illustre per il Colicci, al quale, proprio in questi anni, verranno commissionati arredi lignei per monasteri e chiese, e diverse statue, tra cui quella di San Benedetto per la badessa del monastero di San Giovanni a Capua11.
Tutto questo mentre Antonio Sanfelice aveva già dato inizio all’opera di restyling dell’intera diocesi salentina.
Scontato ricordare l’attività di grande mecenate che il vescovo intraprese, i cui segni, ad ogni modo, sono tuttora visibili12. Interessante porre attenzione sui rapporti del vescovo – committente con gli artisti che da Napoli inviavano le proprie opere nella provincia salentina. A tal proposito, ricordiamo che intenso doveva essere il rapporto del vescovo Sanfelice, tramite il fratello, con Francesco Solimena o comunque con artisti della sua cerchia13, che fruttò alla città di Nardò diverse opere. Proprio questa potrebbe essere la stessa strada che ha portato Giovanni Antonio Colicci, a ricevere degli incarichi da parte del vescovo Sanfelice, mediante l’intervento, anche in questo caso, del fratello architetto14, al quale forse, come ipotizza Borrelli, spetta il disegno delle due opere neretine15.
Purtroppo le sostanziose visite pastorali sono avare di notizie riguardanti i nomi degli artisti, ma è indicativo ricordare che proprio al 1714, anno di commissione delle due statue, risale il rifacimento dell’altare maggiore e l’intero presbiterio della Cattedrale che verrà dedicato alla Vergine Assunta16 mentre a San Filippo Neri, già da tempo venerato in città17, fu intitolato il Seminario diocesano18.
Questi segni testimoniano l’intenzione del vescovo di attuare un vero programma politico19, che anche per la scultura sembra seguire la stessa linea che Galante ha ipotizzato per le pitture dell’Olivieri nella chiesa della Purità20.
Chiarito a grandi linee il clima culturale e accennato ai proponimenti del Sanfelice, possiamo ora soffermarci sulle statue oggetto della questione.
Le due opere sono state di recente restaurate21, e ciò ci permette di avere una lettura omogenea dei manufatti.
L’intervento effettuato sulla statua dell’Assunta ha ripristinato quella che sembrerebbe essere la policromia originale dell’opera: la tunica rosso – arancio con piccoli motivi floreali, il manto blu che dalla spalla sinistra scende sulla figura, il copricapo color avorio a strisce rosse, che dalla spalla destra scivola con un delicato movimento sulla sinistra.
Prima del restauro la statua si presentava completamente modificata nella cromia (fig. 3 e 4), al rosso della tunica era stato preferito l’avorio, mentre uno spesso strato di sporco e vernice ossidata ricopriva l’intera superficie.
Per realizzare l’opera lo scultore ha utilizzato diversi masselli di legno, lavorati e poi assemblati insieme; con il restauro, è stato possibile constatare la situazione compromessa di tutta la struttura e capire in quali punti sono stati assemblati i pezzi (fig. 5).
L’intera figura, piuttosto grande, presenta la Vergine assisa su una nuvola circondata da teste alate di cherubini, ha le braccia aperte e lo sguardo rivolto verso l’alto.
Il pessimo stato in cui versava l’opera aveva finanche nascosto completamente la delicatezza dell’intaglio, alquanto profondo nelle pieghe del vestito e più dettagliato e minuzioso per ali dei puttini.
Sappiamo bene che, soprattutto le sculture in legno, sono dei veri e propri oggetti di culto legati alla devozione. Inoltre il legno stesso non aiuta la conservazione e così le statue nel corso dei secoli hanno subito integrazioni e ridipinture. Per questo, molte volte sembra essere inutile e dannoso tentare di riportare le opere al loro stato originario. Per esempio, sul manto blu della Vergine Assunta, si vedono delle stelle, che in origine sicuramente erano realizzate con la foglia oro, forse anche leggermente in rilievo.
Durante l’intervento di recupero della cromia, sono invece state semplicemente dipinte, perché la materia originale era andata perduta totalmente e si dovuto tenere conto del ruolo che l’opera doveva svolgere: cioè quello di essere esposta al culto dei fedeli.
Per quanto riguarda la scultura in legno, infatti, più che per altri manufatti, ci troviamo di fronte quasi sempre a dei veri e propri simulacri, ancora oggi utilizzati come tali.
Il busto di San Filippo Neri, collocato nel Seminario Diocesano, è stato restaurato dalla Soprintendenza BAAAS per la Puglia, anche in questo caso il lavoro di restauro, ha permesso di recuperare interamente la policromia dell’opera.
Il santo, vestito con una dalmatica verde, cosparsa di roselline rosse, ha al centro del petto un incavo che custodisce la reliquia. È raffigurato in una posa alquanto ieratica mentre regge nella mano sinistra il libro della Sacra Scrittura.
La totale compostezza della figura si allenta soltanto in un movimento delle pieghe, che cadono leggere, andando a coprire una parte della base realizzata in finto marmo.
Le ridipinture precedenti occultavano quest’importante particolare che, com’è stato scritto, è un rimando ad una tipologia tipica di tutto il Settecento, che si vede già in un disegno del Solimena per una statua d’argento, raffigurante San Matteo22. Inoltre, anche il modo di realizzare la base a finto marmo è una pratica piuttosto diffusa nel Settecento; ritroviamo precise indicazioni a riguardo in un documento per la commissione di una statua di San Francesco di Sales scolpita da Giovanni Antonio Colicci23.
Gli studi, soprattutto negli ultimi anni, hanno ricostruito la biografia dell’artista, ampliando il catalogo con opere certe24.
Questo ci permette almeno di abbozzare e riconoscere i dettagli stilistici che egli sembra ripetere nelle sue sculture. Oltre a quel <<lieve e distaccato sorriso>>25 e ai volti ovali, ritroviamo panneggi morbidi e raffinati, che sembrano adagiarsi con delicatezza sulle immagini scolpite quasi a circondarle di grazia leggera, come per esempio nei busti di San Francesco di Paola e di San Giuseppe col Bambino conservati nella Chiesa Madre di Savoia di Lucania (Pz), e di recente pubblicati26. Qui, come già abbiamo visto nel San Filippo Neri di Nardò, lo scultore ripete la particolarità del panneggio che scende fino alla pedagna.
Anche l’intaglio della barba si ripete, nelle diverse opere, piuttosto simile con linee fitte e regolari, ma ad un esame più attento delle opere, notiamo che la maestria dell’artista permette di caratterizzare al meglio i personaggi scolpiti. Infatti, per quanto riguarda il busto di San Francesco citato in precedenza, Giovanni Antonio Colicci, oltre ad evidenziare <<la condizione di eremita del Santo con rughe profonde>>27, rende la barba con linee più nervose e ondulate che terminano in ricci mossi e vivaci, differente dall’intaglio che vediamo nella barba di San Giuseppe o di San Filippo Neri: qui entrambe le figure mostrano un intaglio della barba più regolare e ordinato.
Come abbiamo accennato in precedenza, Colicci, non è da annoverare tra gli scultori più conosciuti, per diverse vicende, tra cui la trascrizione, spesso scorretta, del suo cognome che ha generato non poche confusioni tanto da intendere la firma sul busto di Sant’Antonio da Padova (figg. 6 e 7) della Parrocchiale di Lequile28 frutto di una inesattezza nel ridipingere l’intera opera29.
Il busto del santo di Padova, è citato da Foscarini che nel 1941 ne riporta nome dell’autore e data di esecuzione30.
Purtroppo l’opera non è in buone condizioni: la delicatezza dell’intaglio è vistosamente occultata da numerose ridipinture e anche il legno è danneggiato dai tarli, per questo è difficile poter fare un confronto critico con altre opere dello scultore. Ciò nonostante, possiamo riconoscere anche in quest’opera particolari che sembrano ormai essere tipici del Colicci: il solito lembo di panneggio che scende fino al basamento, anche qui realizzato a finto marmo, e più in generale le fattezze delle mani, il volto tondo, gli occhi grandi e le pieghe morbide del saio, sebbene il tutto appesantito dalle ridipinture. Elementi che si ripetono in un’opera pubblicata di recente. Mi riferisco al San Filippo Neri di Cassano Murge, segnalato nel 2010 da Clara Gelao31.
Il santo è rappresentato qui a figura intera e sulla base sono presenti firma dell’autore e data di esecuzione.
Ad ogni modo, sembra essere giunto il momento di dedicare a Giovanni Antonio Colicci studi più ampi, per il cospicuo numero di opere firmate e datate, che permettono appunto di valutare meglio la sua crescita artistica e i contatti che egli ebbe con artisti e committenti.
Si ringrazia il restauratore Valerio Giorgino per le informazioni fornitemi riguardo il restauro della Madonna Assunta e per le foto numero 1, 4 e 5
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1 A tal proposito si ricorda il saggio di R. Casciaro, Due botteghe a confronto: intaglio e policromia nelle sculture di Gaetano Patalano e Nicola Fumo, in La statua e la sua pelle, Galatina 2007, pp. 221 – 245, p. 226 – 227: “[…] l’apporto personale dei singoli maestri è un elemento imprescindibile nella comprensione delle opere d’arte e l’individuazione di tale apporto nelle opere autografe […]è l’unico modo per risalire anche ai processi produttivi, all’organizzazione delle botteghe, alla sequenza modello – opera – copia – imitazione”.
2 R. “B. Minerva, Strati pittorici e tecniche esecutive nel restauro di alcune sculture lignee napoletane di età barocca, in Sculture di età barocca tra Terra d’Otranto, Napoli e la Spagna, catalogo della mostra, Lecce 2008, pp. 339 – 349.
3Oltre a problemi di attribuzione dovuti a restauri pesanti, il nome di Giovanni Antonio Colicci non ha avuto fortuna anche perché spesso trascritto in modo errato generando ulteriore confusione.
4 G. Filangieri, Documenti per la storia, le arti e le industrie delle provincie napoletane, vol. 5, Napoli 1891, “Colicci Domenico Antonio di Roma, scultore in legno. Operò nel 1696. Fece lavori di sculture e di intagli all’Organo della Chiesa di Monte Cassino […] . Questi aveva con sé due suoi figli, Giuseppe Salvatore e Giovanni Antonio, il quale ultimo nella sedia all’angolo destro intorno allo scudo, che un guerriero tiene levato, incise il suo nome Jo. Ant. Coliccius faciebat aetat XV.1696”, con bibliografia precedente: A. Caravita, I codici e le arti a Monte Cassino. Monte Cassino, pei tipi della badia, 1869 – 1870, vol. III, p. 391 e segg.
5 A. Caravita, I codici…,1869 – 1870, op. cit. in nota prec., Vol. III, p. 395
6 si veda A. Caravita, I codici… cit. pp. 394 – 395. Il Colicci è poi ricordato in un documento del 1722 come membro della Congregazione dell’Assunta, in G. G. Borrelli, Sculture in legno di età barocca in Basilicata, Napoli 2005, doc.37, pp. 109 – 110.
7G. G. Borrelli, Sculture in legno di età…cit. in nota prec., pp. 109-110.
8 G. G. Borrelli, Sculture…cit., doc. 36, p. 109 “Intus apotheca Gio. Antonio Coliccio sita ante largum Archiepiscopalis Ecclesia eius civitatis [Neapolis], costituiti il canonico Galeotto Gignano patrizio capuano[…] e Giovanni Antonio Colicci scultore de legnami”.
9 G. G. Borrelli, cit. in nota precedente.
10 V. Rizzo, Scultori napoletani tra Sei e Settecento. Documenti e personalità inedite, in Antologia di Belle Arti, Nuova Serie, nn.24 – 25, 1985, p. 29, doc. 11: “A Don Ferdinando Sanfelice, Ducati 15 a Gio. Antonio Celucci, a saldo e final pagamento di una Statua della SS. Vergine Assunta e un mezzo busto di S. Filippo Neri, fatte per il Vescovo di Nardò secondo il pattuito. 27 febbraio 1714”; riguardo la commissione della Statua dell’ Assunta, la notizia è riportata anche nel primo testamento del Vescovo, pubblicato da M. Gaballo, Antonio Sanfelice Vescovo della diocesi di Nardò, in M. Gaballo, B. Lacerenza, F. Rizzo, Antonio e Ferdinando Sanfelice il vescovo e l’architetto a Nardò nel primo Settecento, Galatina 2003, p. 35: “Doniamo alla nostra S. Cattedrale l’altare di marmo che abbiamo fatto lavorare in Napoli con la statua della SS. Vergine Maria Signora Nostra, che aspettiamo da Napoli…” il documento è datato 6 Marzo 1714; e ancora R. Casciaro, Ex vario rum colorum selectis lapidibus: le opere in commesso marmoreo di Ferdinando Sanfelice a Nardò, in Antonio e Ferdinando Sanfelice… cit, Galatina 2003, p. 117 (l’altare maggiore) era tutto di pietre nobili commesse di verde e giallo antico, con una statua di nove palmi della Vergine S. ma assunta in cielo” con riferimento alla Visita Pastorale del Sanfelice, anno 1719, p. 220.
11 G. G. Borrelli, cit… doc. 36, p. 109. Recentemente è stata pubblicata una scheda biografica del Colicci, si veda F. Aruanno,Giovanni Antonio Colicci, in E. Acanfora (a cura di), Splendori del barocco defilato, catalogo della mostra, Firenze 2009.
12 Cfr. M. Gaballo, B. Lacerenza, F. Rizzo, Antonio e Ferdinando Sanfelice, cit… Galatina 2003.
13 B. De Dominici, Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani, 1846, tomo IV, Vita del Cavalier Francesco Solimena… e de’ suoi discepoli, pp. 405 – 630.
14 L. Galante, Antonius Sanfelicius Episcopus Neritinus Quo Facilius Posteritati Commendaret Pennicillo Esprimi Curavit Anno Domini MDCCXVIII, in Saggi di Storia dell’arte,Roma 2005,pp. 281 – 287, p. 281: “Orientata verso Napoli fu l’azione di Antonio Sanfelice. Pesarono in ciò naturalmente le sue origini napoletane con le inevitabili relazioni che egli intrattenne con l’ambiente artistico della città campana […] il fratello Ferdinando, allievo di Solimena, aveva intrapreso la carriera artistica.
15 G. G. Borrelli, Sculture barocche e tardo barocche in Calabria. Un percorso accidentato, in Sculture in legno in Calabria dal Medioevo al Settecento, Napoli 2009, p.72.
16 E. Mazzarella, La cattedrale di Nardò, Galatina 1982, pp. 72 – 73 “il presbiterio era circondato la balaustra in marmo e terminava con cinque gradini marmorei[…]su ciascuno dei quali si leggeva un rigo della seguente iscrizione: Ad pedes Dominae suae et vivere vult et mori cupit Antonius Sanfelicius dictus neriton. Episcopus Beatissimae Virginis Cappellanus anno a partu Virginis MDCCXIV”; e R. Casciaro, “Ex vario rum colorum selectis lapidibus… cit., in M. Gaballo, B. Lacerenza, F. Rizzo, Antonio e Ferdinando… cit, p. 117.
17 A Nardò esisteva una chiesa dedicata a San Filippo Neri, E. Mazzarella, Per la storia degli istituti di formazione per gli ecclesiastici in Puglia: il seminario di Nardò (1674), in Studi di storia pugliese in onore di Giuseppe Chiarelli, Galatina 1974, p.493 – 525, p. 509 “la chiesa era vicina alle carceri del governatore e alla chiesa di San Giovanni Battista, esattamente nel luogo dove sorgono la chiesa e il conservatorio della Purità”.
18 E. Mazzarella, cit. Per la formazione degli istituti… in Studi di storia pugliese…, op. cit. p. 512 “si giunse al 27 febbraio 1674, quando, essendo già pronti i locali e l’occorrente per la dimora… il vescovo emise la Bolla di costruzione del seminario diocesano sotto il titolo di San Filippo Neri”.
19 Si deve ricordare inoltre, la volontà del Vescovo di riportare nelle Visite Pastorali “epigrafi, stemmi, decori e sculture rinvenute nella diocesi”. M. Gaballo, Antonio Sanfelice vescovo…, in Antonio e Ferdinando Sanfelice…, op. cit. p. 15. Dunque il Sanfelice scelse di rinnovare la diocesi, ma anche di mantenere un legame con il passato, tutelandone le tracce.
20 L. Galante, Antonius…cit p. “Più verosimile è che Sanfelice avesse ritenuto Olivieri, meglio il suo modo di dipingere, soprattutto per quel giusto tono nobilitante, idoneo a dare veste alla sua visione <<politica>> proprio per la vicinanza al Solimena, che evidentemente restava il referente culturale forte”.
21 Rispettivamente il busto di San Filippo Neri dalla soprintendenza BAAAS di Puglia e la statua a figura intera della Vergine Assunta da Valerio Giorgino nel 2000.
22 E. Catello, Francesco Solimena e la scultura del suo tempo, in Ricerche sul ‘600 Napoletano, Saggi e documenti 2000, Rubrica per Luca Giordano, Napoli 2001, pp. 7- 17, p. 14 e fig. 10 a pag. 13.
23 G. G. Borrelli, Sculture di età…, cit. p. 110, doc. 39 “A Giuseppe Cuomo doc. dieci per esso al canonico don Nicola Rocco per alt.ti; e per esso a Gio. Antonio Colicci[…]per prezzo e final pag.to di una statua intiera fattali di San Francesco di Sales… con vestito di prelato […] e d.ta base scorniciata in ottangoli con due pezzi d’intaglio inargentati[…]ed il rimanente di color marmoresco[…]”.
24 G. G. Borrelli, Sculture in legno di età…, p. 31 e docc. Nn. 36 – 39, pp. 109 – 110;F. Aruanno, in E. Acanfora (a cura di), Splendori del Barocco…; schede opere n. 82 – 83, p. 158; biografia dell’artista pp. 277 – 278; G. G. Borrelli, Sculture barocche… cit., in Sculture in legno in Calabria… cit. p. 72; C. Gelao, Un’aggiunta alla scultura del Settecento in Puglia: il San Filippo Neri di Giovanni Antonio Colicci a Cassano Murge, in Kronos 13 speciale 2009, scritti in onore di Francesco Abbate, vol. 2, pp. 41 – 48.
25 G. G. Borrelli, Sculture barocche… cit., in Sculture in legno… cit., p. 72.
26 F. Aruanno, schede opere Nn. 82 e 83, p. 158, in Splendori del barocco… op. cit.
27 F. Aruanno, scheda op. n. 83 p. 158, in Splendori del barocco, catologo della mostra, Firenze 2009.
28 Ringrazio il parroco Don Luciano Forcignanò che mi ha permesso di vedere e fotografare l’opera.
29A. Foscarini, Lequile. Pagine sparse di storia cittadina, pubbl. a cura di Gioacchino Ruffo, principe di Sant’Antimo, con illustrazioni di Gino Bolzani, Lecce, Tip. La Salentina, 1941, in 8°, II ed. a cura di M. Paone, Galatina 1976.
30 A. Foscarini, op. cit. in nota precedente, II ed. p. 59 nota 1: Giovanni Antonio Colicci scolpì in legno nel 1726 il busto di Sant’Antonio di Padova, opera che firmò e datò (I altare a sinistra).
31 Gelao, Un’aggiunta alla scultura…, in Kronos 13/2009 op. cit. pp. 41 – 48.
La statua di S. Antonio di Padova, nella chiesa parrocchiale di Melissano, è stata scolpita anche dal Colicci? La statua non è firmata, nè datata; ma è probabile che la firma dell’artista sia stata coperta in uno dei tanti restauri. Sappiamo che mons. Antonio Sanfelice, nel corso della visita pastorale alla parrocchia melissanese, effettuata nel 1720, visitò la nuova statua di S. Antonio, con sacra reliquia. Inoltre, in occasione dell’ultimo restauro, a cura di Valerio Giorgino, è stato rinvenuto il sigillo del vescovo Sanfelice.
Non essendoci notizie documentate, purtroppo, è difficile stabilire se l’autore della statua di Melissano sia lo stesso Colicci.
Conosco l’opera da voi citata perché ne sono occupata nel 2005 per la mia tesi di laurea, ma all’epoca
non era ancora statua restaurata… speriamo che ricerche future possano chiarire la questione.
eccellente lavoro. Grazie Maura!
Grazie a voi per questo spazio davvero interessante!