di Giorgio Cretì
Era andato al bosco dello Scravasciu per tagliare qualche ramo di alloro da mettere come sfondo al presepio che stava costruendo con i bambini in un angolo della cantina, tra la catasta della legna e l’angolo della capra. Lo costruiva lì per due motivi: primo perché quello era l’unico spazio disponibile e poi perché in cantina non c’era mai freddo.
Il supporto era costituito da due casse da tabacco vuote, affiancate e poste contro la parete coperta in molti punti dal salnitro, bianco come zucchero, che, a causa dell’umidità, affiorava dalla pietra. Certi ciocchi di ulivo, massicci e pesanti, si prestavano molto bene per l’architettura della parte montagnosa del paesaggio e, una volta sistemati, venivano ricoperti con carta ricavata da vecchi sacchi di cemento, spruzzata con calce e tempera di vario colore. La stessa architettura prevedeva anche la grotta verso la quale si spostavano le statuine rappresentanti i Magi che venivano da lontano, i pastori, i contadini e gli artieri con le loro umili botteghe. La parte piana veniva ricoperta con il velluto, il muschio, pure raccolto nel fitto del bosco dello Scravasciu ed un frammento di specchio, ben camuffato, serviva a dare l’idea di un laghetto o di un fiumiciattolo presso cui venivano piazzati gli armenti. I Magi viaggiavano a dorso di cammello e giungevano dal sentiero tra le montagne sullo sfondo del quale, tra le frasche dell’alloro, si intravedevano alcune palme da dattero, abbozzate su carta da imballaggio azzurrina. Sopra una grossa radice nodosa e contorta, che era servita per ricavare la forma della grotta, era già piantata una stella di latta che cominciava ad arrugginire.
Era tornato a casa con i rami di alloro ed aveva trovato i bambini che armeggiavano per conto loro con i ciocchi di legna, con una certa difficoltà. Montò sulle casse e sistemò tutto in modo ben saldo, servendosi anche di qualche chiodo. Si divertiva a fare queste cose con i figli ed a volte bisticciava con loro perché dimostravano troppo spirito di iniziativa.
Da quando era tornato da militare lavorava un suo pezzo di terra per le provviste di casa e, di tanto in tanto, quando lo chiamavano, andava a fare l’autista per gente che aveva un camion o un’automobile.
Ora che in campagna c’era poco da fare, avevano tutti un po’ di tempo in più da dedicare ad attività ludiche.
La porta della cantina era chiusa perché fuori soffiava una gelida tramontana, molto fastidiosa prendeva d’infilata la via.
“Raffaele”, chiamò la moglie dall’esterno, “aprite che ho tutt’e due le mani occupate”.
“Corri”, disse Raffaele al più grande, “aiuta tua madre”.
Il bambino corse su per i gradini, aprì la porta e prese dalla madre una bracciata di foglie di cavolo che buttò subito alla capra; la quale iniziò ad ingollarle con avidità.
La moglie di Raffaele scese in cantina chiudendosi dietro la porta. L’ambiente era illuminato fiocamente da una lampadina da quindici candele, attaccata ad una treccia di filo elettrico ingiallito ed impolverato che pendeva dalla volta a botte.
“Bambini”, disse la donna, “non muovetevi di qua che fuori ballano le streghe. Che bello! Bravi! Compare Armando”, disse ancora, “ha detto che vi da le pigne”.
Posò a terra una sporta che aveva infilata per i manici ad un braccio, si tolse dalle spalle una sciarpa nera lavorata a maglia e, per qualche minuto, si tenne le mani intirizzite sotto le ascelle. Poi si mise a lavorare al telaio.
“E il Saracinu vi regala le arance”, disse Raffaele scendendo dalle casse. Le montagne erano terminate.
“Il velluto lo mettiamo noi” disse il bambino più piccolo.
Tutt’e due erano eccitatissimi per l’opera che stavano compiendo ed anche per le festività in arrivo che, comunque, qualcosa portavano, comunque i purcidhuzzi e le pittule di cui erano, come tutti i bambini, molto ghiotti.
La famiglia era tutta lì, compresa la capra che ora si era messa sdraiata nel suo angolo e ruminava le foglie di cavolo che prima aveva ingordamente divorato.
“Trajola?!”, chiamò da fuori Nunzio Bruficu. Trajola era il soprannome di Raffaele che di cognome faceva Carluccio.
“Entra”, gli gridò Raffaele.
Nunzio spinse la porta ed entrò fermandosi sui primi gradini.
“Andiamo”, disse con il tono di uno che ha fretta.
“Dove andiamo?”, chiese Raffaele tanto per sapere la destinazione.
“Andiamo a Lecce con il Cistizzu a caricare certi pacchi dell’URNA(1)”, disse Nunzio.
“Ora, subito?”, chiese ancora Raffaele.
“Sì” disse Nunzio, “ha detto che andiamo subito perché i pacchi devono essere dati per Natale”.
“Meh, andate”, disse la moglie di Raffaele senza interrompere il suo lavoro, “il presepio lo finisci quando tornate”.
“Lo finiamo noi”, protestarono i bambini.
“Va bene, va bene”, disse loro Raffaele. “Allora, noi andiamo”, disse alla moglie.
“State attenti alla strada”, la donna disse mentre i due uomini erano già sulla via.
“Statti bene”, le gridò Nunzio.
Andarono a prendere il camion, un FIAT 615, e poi passarono a rilevare il Cistizzu a casa sua.
Partirono subito e quando furono all’uscita di Poggiardo trovarono uno che si qualificò come agente di polizia, fermo al lato della via con a fianco due valigie.
“Dove andate?”, il poliziotto chiese.
“A Lecce”, rispose Raffaele dal finestrino aperto.
“Per favore”, disse il poliziotto, “datemi un passaggio”.
“Non possiamo”, disse Raffaele diffidente, “il camion è collaudato solo per tre persone. Se sali anche tu e incontriamo i tuoi colleghi della Stradale prendiamo la multa”.
“Non pensarci”, disse il poliziotto, “non ti preoccupare per questo, ci sono io!”.
Disse che si trovava lì in trasferta e che voleva risparmiare i soldi del treno. S’era però fatto mettere il “visto partire” alla stazione e… Era padre di famiglia anche lui.
“Se sali anche tu”, Raffaele insistette, “la Stradale mi frega”.
“Non preoccuparti”, disse sicuro il poliziotto, “se incontriamo la pattuglia ci sono io”.
Nunzio, dal quale Raffaele attendeva un parere, disse semplicemente che non erano fatti suoi; così pure il Cistizzu. Alla fine Raffaele si fece convincere. Il poliziotto caricò le sue valigie, salì anche lui e partirono.
Tutto andò bene fino alla discesa delle mandorle, un po’ prima di Cavallino, dove era appostata una pattuglia che intimò l’alt. Raffaele rallentò, fermò il camion al lato della strada e, per dimostrarsi ligio e solerte, trasse subito dal cruscotto libretto e patente. Ma il militare in divisa, da terra, gli notificò subito che era in contravvenzione. Il poliziotto in borghese allora scese dal’camion, ma anziché avvicinarsi al collega che li aveva fermati, se ne andò diritto e imperturbabile verso l’altro militare della pattuglia, che s’era tenuto in disparte vicino alla motocicletta, e con lui entrò subito in amichevole conversazione.
“È vero”, disse Raffaele porgendo i documenti e seguendo con la coda dell’occhio quello che s’era allontanato, “è vero che il camion è collaudato per tré persone, ma io ho solo fatto un favore al tuo collega che…”.
“Non m’importa, sei in contravvenzione”, tagliò corto il militare.
“Capo… capo..”., gridò Raffaele verso il poliziotto che si era allontanato. Ma quello non sentiva.
Con lo sguardo interrogò Nunzio ed il Cistizzu e quelli gli fecero capire, anche questa volta, che loro non c’entravano: non erano loro alla guida del camion.
“Mille lire”, disse perentorio l’agente.
“Capo… capo..”., provò ancora a chiamare Raffaele, ma quello sembrava proprio sordo.
“Beh”, disse Raffaele a Nunzio, “il buonnatale l’abbiamo avuto, scarica le valigie e andiamocene”.
Nunzio non se lo fece ripetere due volte.
Raffaele pagò le mille lire, fu come se gli avessero tagliato un chilo di carne di dosso, e mise in moto il camion. Al rombo del motore e vedendo il mezzo muoversi, il poliziotto in borghese si mise a fare grandi gesti con le braccia ed a sbraitare che lo aspettassero.
“Ah sì, disse Raffaele che già ingranava la seconda marcia, ti è tornato l’udito improvvisamente? Raccogli le tue valigie e vallo a raccontare a tua madre. E cercati un altro fesso che ti porti a Lecce”.
Quando giunsero al magazzino dell’UNRRA, mentre il Cistizzu scese a parlare con il magazziniere, Raffaele soffocò a fatica un’imprecazione.
“Senti, disse poi a Nunzio, qui deve saltar fuori qualche pacco per noi, devono uscire le mille lire e anche gli interessi”.
“E come?”, gli chiese Nunzio.
“Non ti preoccupare”, disse Raffaele, “quando ti faccio un cenno, tu non parlare”.
“Ho capito”, Nunzio assentì.
Cominciarono a caricare. Raffaele stava sul cassone, Nunzio a terra ed il magazziniere passava i pacchi da dentro; era un lavoro a catena. Raffaele, man mano che riceveva i pacchi li impilava in maniera tale che ad un certo punto la catasta sarebbe crollata.
“Uno”, gridava il magazziniere.
“Uno”, ripeteva Nunzio.
“Uno”, concludeva Raffaele.
Per un po’ andò benissimo.
“Trentacinque”, ritmò il magazziniere.
“Trentacinque”, ripetè Nunzio.
“Alt alt “, gridò Raffaele rompendo il ritmo, “alt, qui sta crollando tutto”.
Tieni da una parte, spingi dall’altra, raddrizza la catasta, alla fine persero il conto dei pacchi caricati.
“Apposto, tutto apposto”, disse infine Raffaele.
“A quanto eravamo arrivati?”, chiese il magazziniere.
“A trenta”, disse pronto Raffaele.
“Sei sicuro?”, chiese ancora il magazziniere un po’ dubbioso.
“Nah!”, disse Raffaele quasi offeso, “ricontiamo tutto daccapo! “.
“No, no. Va bene”, disse il magazziniere.
E ripresero la catena con il ritmo di prima.
“Trentuno”, disse il magazziniere.
“Trentuno”, ripetè Nunzio.
“Trentuno”, concluse Raffaele.
Era fatta. Cinque pacchi da cinque chili l’uno, contenenti generi alimentari.
Ripartirono e Raffaele e Nunzio erano al colmo della contentezza. Durante il viaggio di ritorno cantarono anche.
Quando giunsero al Consorzio, il Cistizzu aveva già pronti quattro suoi perditempo per scaricare i pacchi, ma Raffaele e Nunzio si opposero e, allora, lo informarono che sul camion c’erano cinque pacchi in più.
“Ma come”, si scandalizzò il Cistizzu, “non si può! Come facciamo? Metteteli da parte”, disse deciso, “che poi li riconsegno io a Lecce. Se veniamo scoperti!..”..
“Ma che Lecce e Lecce, lo investì Raffaele, “ti dico io cosa ne facciamo. Ci mettiamo subito d’accordo senza fare troppe parole: due li prendo io per le mille lire, uno lo prende Nunzio e due rimangono a tè. E ti conviene anche, se no li prendiamo tutti noi”.
“Ma no, non si può, se reclamano da Lecce…”, tentò di dire il Cistizzu.
“Se reclamano mandali da noi. Se ti conviene è così e se no pure”, Raffaele concluse.
“Allora”, disse il Cistizzu rassegnato, “scarichiamo quelli segnati sulla bolla e gli altri li lasciamo sul camion. I miei due, passando, li lasciate a mia moglie alla bottega”.
E finì così. Va detto per correttezza che il Cistizzu aveva una bottega di generi alimentari.
Quando Raffaele tornò a casa, la moglie era ancora in cantina che tesseva ed i bambini avevano finito di sistemare il muschio del presepio.
Non trovò osservazioni da fare e li aiutò a disporre le statuine sul palcoscenico della Natività. Alla ribalta, oltre alla fila di pigne e di arance in bella vista, posero anche una boccia rossa di formaggio olandese proveniente dalla lontana Gouda.
(1) URNA – Deformazione della sigla UNRRA (United Nations Releif and Rehabilitation Administration, Amministrazione delle Nazioni Unite per il Soccorso ela Ricostruzione), corrispondente alla grande organizzazione creata nel novembre 1943 dagli alleati della seconda guerra mondiale. La sua opera di beneficienza si protrasse anche per molto tempo dopo la sua cessazione (30 giugno 1947). I paesi assistiti furono 17, ma gli aiuti maggiori furono dati all’Italia e alla Francia.
(“il Rosone” – Anno IX n. 6, 1986)