La nascita e le origini delle “Panare” si perdono nel tempo e sarebbe suggestivo farle risalire alle feste del fuoco che nell’antichità si svolgevano in prossimità del solstizio d’inverno tra cui quella paganissima del Sole Invitto su cui si è poi innestato Natale.
LE PANARE
di Giuseppe Corvaglia
Una storia precisa delle “Panare” sarebbe difficile da tracciare e questo lo sa bene chiunque abbia cercato con curiosità appassionata tra le carte (che non ci sono) e nella memoria collettiva della nostra comunità.
E’ innegabile che questa sia una festa propria della cultura contadina e racchiude, probabilmente, i due significati tipici di queste feste: il ringraziamento per il raccolto dell’annata e la propiziazione per il raccolto dell’anno successivo.
La nascita e l’origine delle “Panare” si perdono nel tempo e sarebbe suggestivo farle risalire alle feste del fuoco che nell’antichità si svolgevano in prossimità del solstizio d’inverno tra cui quella paganissima del Sole Invitto su cui si è poi innestato il nostro Natale.
E’ probabile che la nostra festa possa essere annoverata tra quelle che si celebravano per ottenere la benevolenza del Dio Sole e che presentavano come elemento caratterizzante il culto del fuoco come apportatore di salute, benessere, ricchezza e vita.
Le analogie sono innegabili: ad esempio il gesto rituale di raccogliere del fuoco dal falò acconciato dalle “Panare” per portarlo nel braciere di casa propria era non era solo un’esigenza dettata dalle povertà ma un vero e proprio atto propiziatorio (si diceva per devozione) con cui ogni famiglia rinsaldava i suoi legami con l’intera comunità prendendo parte alla prosperità generale.
In altri paesi sono ancora in uso oggi riti del tutto simili dove al centro delle feste invernali c’è il ceppo di Natale o “Confuoco” nome nel quale è messo bene in evidenza il legame fra i vari nuclei familiari della comunità intera.
Un significato analogo va ricercato nel legame tra le Panare e la protettrice Santa Vittoria, legame tenacemente ricercato dalla fantasia popolare fino a cambiare il martirio della giovinetta, che venne trafitta con la spada in un rogo di cui le “Panare” sarebbero il simbolo.
Ho potuto constatare ultimamente la tenacia degli sponganesi nel difendere questa versione ascoltando un adattamento che è un compromesso delle due versioni.
Il racconto ammetteva il martirio tramite la spada ma solo perché le fiamme del rogo rifuggivano dalla Santa. Non c’è che dire: proprio incorreggibili.
Certo da tempo immemorabile su tante “Panare” viene messo un ritratto di Santa Vittoria ed anche il comitato che si occupa della festa del giorno dopo in onore della Santa organizza pure le “Panare”.
Tuttavia un nesso vero e proprio non c’è e lo dimostra il fatto che ancora oggi la messa importantissima con il bacio della reliquia è in contemporanea con il corteo delle “Panare”, per cui partecipare ad una festa significa escludere l’altra. D’altra parte in una festa il cui significato preponderante è quello propiziatorio di favorire un buon raccolto è naturale che trovi spazio una Santa Protettrice così amata e venerata.
A Spongano era tradizione che il 22 dicembre, nel pieno della stagione olearia, ogni frantoio attivo preparasse queste ceste intrecciate appositamente per sostenere un peso discreto, riempiendole con sansa a “paddhrotte” e decorandole al meglio con elementi naturali o, comunque, combustibili come mandarini, arance, festoni d’edera e fiori e bandierine di carta colorata. Così acconciate venivano caricate su un carretto, almeno prima dell’avvento di camion e trattori, e portate la sera in un giro di raccolta per le vie del paese.
Ogni panara, anche se il frantoio era decentrato rispetto al percorso, aveva il diritto di uscire accompagnata dalla musica di una bandinella; la banda andava a prenderla ed essa si metteva in coda al corteo che proseguiva nella raccolta delle rimanenti.
La prima panara era ed è ancora quella della “Casa cranne” vale a dire del palazzo del barone Bacile, o più precisamente del suo frantoio; e per lungo tempo proprio piazza Bacile è stato il punto d’arrivo del corteo. Non è stato tuttavia l’unico sito utilizzato per l’occasione anzi ve ne sono stati diversi : dalla piazza principale, quando si chiamava piazza Mercato (probabilmente cambiata perché all’epoca troppo piccola) a via Fratelli Rosselli o al largo vicino al Mercato coperto in tempi più recenti.
Il numero delle panare indicava se l’annata era stata buona o grama poiché corrispondeva al numero dei frantoi in attività.
A cavallo degli anni Ottanta le “Panare” hanno conosciuto un momento di scarsa partecipazione: erano infatti poche (molti dei tradizionali frantoi rimanevano inattivi con l’avvento delle moderne mulinove in grado di molire più ulive con costi più bassi) e l’entusiasmo della gente per questa festa si era ridotto in parte per l’uso smodato dei mortaretti che pure, se usati con criterio, fanno parte della tradizione.
E’ in questo periodo che un gruppo di persone, pur non facendo parte di un frantoio ma comunque pratiche del mestiere, decise di fare una sua Panara. Quello che poteva sembrare una rottura della tradizione ha rappresentato invece l’inizio di una partecipazione più attiva da parte della gente del paese.
Nel 1987 il Gruppo di Ricerca e Sperimentazione- musica popolare –, inserendosi in questo spirito nuovo, ha voluto riproporre la Panara quanto più vicina alla tradizione e l’ha acconciata su un carretto tirato dai suoi componenti, sotto la supervisione di Salvatore Bramato.
Per l’occasione il gruppo in collaborazione con il comitato per i festeggiamenti, ha intrattenuto, con il suo spettacolo di musica popolare, la cittadinanza prolungando ben oltre la festa.
Da qualche anno poi le scuole elementari hanno voluto fare le “Panare dei bambini” che sono una lodevole esperienza didattica e un’occasione per i più piccoli di partecipazione in prima persona.
Dopo quelle esperienze la festa si è andata allargando e la cittadinanza oggi partecipa sempre più attivamente sia acconciando le “Panare”, sia prendendo parte ai vari intrattenimenti che i vari comitati approntano.
In questo modo la Panara è diventata occasione di aggregazione non solo per le varie associazioni ma anche per gruppi di amici o vicini di casa. In questo sembra rivivere l’atmosfera dei tempi andati quando la competizione fra le tante persone coinvolte nel lavoro dei frantoperciò protagoniste di questa festa, poteva portare a risultati lodevoli o a vere e proprie marachelle.
La Panara, infatti non doveva spegnersi e anche dopo che era stata scaricata veniva sorvegliata durante tutta la notte poiché il farla consumare lentamente era indice di maestria.
Si doveva inoltre badare acchè qualcuno non vi gettasse dentro qualche mortaretto con le conseguenze immaginabili.
Oggi la partecipazione è cresciuta ma la maestria non è andata di pari passo: non di rado, infatti, si vedono Panare che inquinano con il loro fumo eccessivo dovuto ad una cattiva gestione della fiammella posta al centro. Il “fuochista” ha a disposizione sul carro due secchi, uno contenente pezzuole imbevute di nafta (combustibile lento) e uno con acqua: le prime servono ad alimentare il fuoco quando minaccia di spegnersi, mentre l’acqua, come si può immaginare, viene usata per temperare gli eventuali eccessi della fiamma.
Oggi l’inesperienza porta ad eccedere con la nafta e a dover correre ai ripari con l’acqua troppo spesso.
La sansa troppo umida, però, provoca a contatto col fuoco, un denso fumo che disturba la festa e può anche arrecare danni alle persone.
Una festa come questa non potrebbe trovare una collocazione migliore se non a Spongano che in passato è stato un centro dove si effettuava la lavorazione di ogni parte o residuo dell’oliva, dall’olio alla sansa, alla morchia.
Oltre ai frantoi, fino a non molto tempo fa, era operante uno stabilimento per la trasformazione della sansa, progettato dall’ing. Rizzelli, dove veniva distillata la sansa in modo da ottenere l’olio di sansa. Non bisogna poi dimenticare che la sansa veniva pure utilizzata come combustibile non solo per il riscaldamento delle abitazioni ma anche per i forni o per le “carcare” dove si ottengono le pietre di calce.
E’ poi opportuno ricordare l’attività di saponai che era diffusa a Spongano tanto da porlo in concorrenza con S. Pietro in Lamis, altro centro produttore di sapone dalla morchia o dai fondi dei recipienti dell’olio. Il sapone prodotto a Spongano si differenziava da quello di San Pietro non solo perché era duro , mentre quello era quasi liquido, ma anche per l’idrossido usato nel processo di saponificazione: nel nostro paese si usava l’idrossido di sodio (soda) mentre i nostri concorrenti usavano invece l’idrossido di potassio (putassa).
Pubblicato su Nuovo spazio del 22 dicembre 1994. Anno 12 n°11.
Si veda anche:
La competenza e la preparazione di Giuseppe Corvaglia sono insuperabili e permettono a chiunque un buon recupero della memoria storica. Complimenti!