di Rocco Boccadamo
Venti dicembre, alle soglie del Natale, il primo approccio dell’inverno indossa le vesti di una giornata non solo fredda, ma anche caratterizzata da vivace vento di tramontana, mare mosso e, appena al largo, addirittura in burrasca.
In siffatte condizioni ambientali, la sosta sulla rotonda di Castro è un’autentica meraviglia. Colpiscono i vari elementi prima accennati, vale proprio la pena di soffermarsi a rimirarne l’insieme, dall’eccezionale palcoscenico si possono trarre molteplici pensieri, motivi di riflessione, ricordi, visioni e rievocazioni.
Ecco, la natura è protagonista in pieno, non meno indicativamente di ciò che accade allorquando, in un teatro cittadino, si esibiscono artisti di calibro che catturano l’attenzione e l’interesse degli spettatori.
Personalmente, bavero alzato e berretto in testa per non farmi attaccare troppo dai soffi settentrionali, trovo attraente soffermarmi a guardare la distesa.
Già, il suo colore è speciale, assolutamente non comune, come tonalità si aggira fra l’azzurro e il grigio, rispecchiando in fondo anche le sfumature in alto, ma soprattutto, la superficie, la sconfinata coperta è increspata di strisce, ghirigori, accavallamenti di bianco, evidente effetto del trascinamento operato, dai refoli decisi, sullo strato liquido: talmente espressiva, la contingente situazione del nostro Canale, da sembrare quasi un’eco di immagini, voci provenienti dalla profondità e vogliose di proferire o suggerire qualcosa.
La prima sequenza nella memoria è fatta di un piccolo gozzo di legno recante sulla fiancata la denominazione carina di “Davide”, non proprio comune da queste parti. A imbracciare i remi del legno, un signore di mezza età, da poco pensionato, il quale sembra usare il veicolo acquatico alla stregua d’una bicicletta, vi monta dentro ogni giorno che il tempo lo consente, a prescindere dalle stagioni.
E’ comunissimo notarlo nei pressi del molo frangiflutti o a ridosso del Pizzo Mucurune in tutti i mesi dell’anno, in particolare il sabato e la domenica, unico soggetto in servizio, gli altri operatori che si pongono a disposizione dei turisti e visitatori per escursioni in barca esercitano, in genere, da giugno a settembre/ottobre, mentre l’armatore di ”Davide” è fisso, mai che manchi, remi in mano e muovendo lentamente il piccolo pegno, d’incitare e di richiamare i turisti a passeggio sulla banchina esterna del molo foraneo, invitandoli a raggiungerlo sulla barchetta, al Porto vecchio, sua base di partenza e di rientro. Precisa ad alta voce “a prezzi modici”, si sa che le sue sono gite brevi, un quarto d’ora, venti minuti, d’altro canto il nocchiero non si avvale di motore, bensì soltanto della forza delle sue braccia d’anziano, però è egualmente bello scorgere sparuti gruppi di visitatori/utenti a bordo del risicato gozzo “Davide”.
Una seconda immagine che, nonostante il passare del tempo, rimane incancellabile, è quella di un bel barcone, con, al timone, un’altra figura tipica di qui, Vincenzo. Decisamente più giovane del precedente personaggio ma non in grandissima forma dal punto di vista della salute, sempre cordiale affabile e disponibile, egli si avvale di un potente entrobordo per il suo “stozzo” intitolato “Nina”, che mena i turisti sino alle grotte Zinzulusa e Romanelli o a Porto Miggiano, giacché il motore, appunto, consente di coprire discrete distanze. Col suo modo di parlare, calmo, quieto, lento, quasi cantilenante, Vincenzo fornisce, agli ospiti, sommarie e tradizionali illustrazioni sui tratti e i dintorni della costa e del paesaggio di Castro.
Vincenzo è permanentemente di colorito scuro, nero, tanto che A., quando capita di incontrarlo, è indotta a sostenere che, secondo lei, non è italiano, che, magari ha origini indiane, laddove però di indiani, da queste parti, non é che ne siano capitati molti nei secoli, essendo semmai approdati gruppi di turchi, i quali, invero, nulla hanno a che vedere con il colorito di Vincenzo.
Ma Vincenzo è un personaggio unico e basta. Fa un certo contrasto vederlo con indosso la cotta bianca, nell’atto di servire Messa nella ex cattedrale di Castro, e però quest’ultimo ruolo rientra nell’accennata disponibilità dell’uomo a trovarsi con la gente, per la gente.
Vincenzo, dunque, soggetto servizievole, umile, indubbiamente unico a Castro: peccato che, al pari del proprietario di “Davide”, non ci sia più.
I riverberi di bianco sulla superficie scompaginata dalla spinta del vento sembrano una serie di voci, di volti e d’immagini solo superficialmente cancellate dal tempo e dagli eventi, ma che, in realtà, quanti si sono trovati a vivere lungo le stagioni passate e lasciate alle spalle, nel loro intimo non dimenticheranno facilmente.
In proposito, il pensiero non può non andare a chi, sulle onde di questo tratto di mare, ha concluso i suoi giorni, a causa di vicende varie, per una burrasca che lo ha colto intento alla pesca, oppure in servizio, come qualche militare delle Fiamme Gialle in attività di contrasto e di controllo avverso ai tristemente noti fenomeni dell’immigrazione clandestina e dei trafficanti di vite umane, sfociati, talvolta, in epiloghi tragici.
E, poi, non è difficile immaginare che, attraverso le striature di schiuma o tra le onde sbattute dal vento, facciano capolino una serie di persone che hanno semplicemente preceduto il cronista di oggi, testimone e spettatore di una giornata di tramontana, figure riconducibili ad ambiti disparati, dai legami differenti ma, ugualmente, non meno solidi: familiari, parenti, amici, paesani, giovani e meno giovani
Tra dette figure – che, a loro volta, in tante occasioni si saranno verosimilmente soffermate a godersi lo spettacolo del mare, di Castro, di Marittima, dell’insenatura Acquaviva, delle scogliere di Porticelli – mi sovviene quella di un primo cittadino, il sindaco del comune dove sono nato, il cui nome, questa è una cosa bella, di qui in avanti sarà ricordato o scritto o letto più spesso, giacché è stato recentemente deciso di intitolargli una strada e, quindi, sia per indirizzo, sia per transito, sia per sguardi rivolti verso la relativa targa toponomastica, il suo nome ricorrerà, insomma, più spesso, per il futuro e per le generazioni che seguiranno.
Del resto, la personalità in discorso è ampiamente meritevole di restar viva nella memoria, dal momento che, a suo tempo, non è passata inosservata, anzi ha fatto molto, ha lasciato il segno in senso positivo e costruttivo.
Seguita a soffiare e a sussultare, il vento di tramontana e, a un certo punto, causa anche qualche brivido. L’osservatore di strada è nondimeno molto soddisfatto dello spettacolo cui è andato assistendo, avendo potuto cogliere, in una mattinata prenatalizia, in una particolare situazione meteorologica, fra clima freddo, vento, mare mosso, burrasca al largo e impossibilità di esercizio della pesca, una rappresentazione non comune che gli è penetrata dentro, lo ha colpito, lo ha arricchito di nuove emozioni e di nuove sensazioni.
Del resto, sul metro e lungo il canovaccio del suo abituale e costante rapporto di amore, consuetudine, vicinanza e colloquio con la natura della propria terra d’origine.
Vincenzo è morto qualche anno fa. Di lui ho trovato pochi secondi di riprese del 1994. Le ho incollate alla buona allungando i fotogrammi.
http://www.facebook.com/video/video.php?v=2006112040425
Di Vicenzu c’è in rete una bellissima foto mentre sistema il consu (palamito)
L’ho trovata:
https://plus.google.com/photos/105583090744903895951/albums/5547227506461983265/5692655882683159570
Vincenzo, o meglio Vicenzu, o ancora zi Calocchia, non si era sposato. Una grave malattia ai reni lo aveva colpito da molti anni, credo procurandogli quel colore della pelle che lo avresti detto indiano. E con gli anni, con quel colore della pelle, gli occhialini tondi e lo zucchetto in testa distinguere una sua foto da un poster di Ghandi era ormai impossibile. Dopo aver sofferto a lungo di questa insufficienza, morì per un’altra ragione. Da giovane, col suo viso regolare e con quegli occhi da Franco Nero o Alain Delon, avrà fatto sicuramente innamorare tutte le turiste salite sulla sua barca o ferme sulla banchina del porto accanto alle sue reti. Con la maturità si era avvicinato alla fede in modo fermissimo partecipando alla vita di chiesa in prima persona, portando la croce nelle processioni, servendo messa, sempre in silenzio e con discrezione, come appunto lo ricorda l’autore.
Grazie Rocco Boccadamo, per questo interessante ed entusiasmante viaggio immaginario, almeno per me in questo momento. E’ stato come prendere il largo sulla barca di Vincenzo e respirare il profumo del mare! Buon anno!