Gallipoli. Melodie, sapori e tradizioni, nell’attesa del Natale.

 

 

di Piero Barrecchia

Impossibile intraprendere il periplo delle mura antiche senza affacciarsi a quel balcone fantastico che è il connubio tra cielo e mare, tra natura e opera umana.

Nei tramonti si perde lo sguardo del visitatore.

Negli stessi tramonti trabocca il cuore del gallipolino che si fa prendere da nostalgie di profumi, suoni, pensieri e persone, che sono ancora nel ricordo vivo, che irrompe, come nelle narici, il vento della tramontana. In questo periodo di freddo e vento, in questo periodo caldo per il cuore, che si lascia intenerire da tradizioni sacre ed attese.

Antichi ricordi e tempi presenti, per nulla saturi di quella monotonia globalizzata.

Giorni, tra speranze e nostalgie, vissuti intensamente; giorni attesi.

I cinque Santi dell’Avvento gallipolino: Teresa “Madre”, il 15 ottobre, Cecilia, il 22 novembre, Andrea il “Pescatore”, il 30 novembre,  l’Immacolata, 8 dicembre e  Lucia, il 13 dicembre . Sono loro a scandire l’orologio dell’attesa.

Presenze discrete, che incedono lentamente tra le vie del centro storico, ondeggiando, “nnazzacando” al ritmo di una musica soave, fatta da strumenti popolari, che non varcano le soglie delle grancasse o dei teatri. Musica della pace interiore, note tradizionali ed anch’esse nostalgiche che per nulla possiedono il sangue bleu delle auliche sonate, anzi, ben si distinguono nel genere, chiamato “Pastorale”, il che è tutto dire!

Illuminate da fioche luci, le sacre statue notturne, che si affacciano per un attimo alle mura urbiche, quasi avvertissero anch’esse il vento fisico, riparando subito, virando nel labirinto delle vetuste vie.

Santi familiari da rispettare, ma che li porti perfino in tavola, perché è un giorno di festa ordinaria, un giorno di festa familiare, in cui si fa di tutto per accontentare il festeggiato preparando le sue pietanze preferite.

E’ così che il menù oscilla tra rape stufate ed il baccalà, tra i calamari appena pescati ed il decotto, tra il vino ancora novello e l’acredine delle olive incastonate nel pane delle “pucce”, tra gli aciduli capperi, le salate acciughe ed alici, un digiuno prefestivo per l’Immacolata e le immancabili “pittule” semplici o farcite con vari ingredienti, tutti previsti.

L’odore acre degli agrumi, il sapore dolce dei datteri di palma ed in preparazione gli “scajozzi” e li “purciaddruzzi”, si confonde con l’odore della colla di farina, fra mille pezzi di giornale, che le mani sapienti, modellano per preparare un posto dignitoso al Messia.

Sapori forti e vivi che collegano il gusto al cuore, mentre fuori dall’uscio tutto tace, nell’intermittenza fioca delle luci, nell’avvicinarsi e nell’allontanarsi della Pastorale, tra le “monzette” ed i “cappucci” svolazzanti dei confratelli, che, lenti incedono, recando i ceri votivi, la cui fiamma incerta tutelano con una mano. Visioni viventi dei quadri di Rembrant, tra luci profuse ed ombre non definite.

E lì, oltre il perimetro delle mura custodi, il mare circonda le isole del “Campo”, dei “Piccioni” e di “Sant’Andrea”, che nell’autonomia del suo faro, riproduce in proprio, la sua processione, nei riverberi della sua luce nelle acque marine, nel vento che ulula, nel suo stesso nome.

Lì, tra le sere del mare, dall’altura della “Serra”, si intravedono finte costellazioni, prodotte dalle imbarcazioni, mentre, i pescatori sono intenti alla cattura dei calamari, che le donne, saggiamente, sezioneranno per le “pittule”.

Giorni magici, di quella magia che ci fa riscoprire umani, mentre i presepi di cartapesta, si asciugano al vento della tramontana e prendono vita dai colori del sangue, del cobalto, del grano, della terra, della neve, del muschio.

Giorni dei semplici che donano una ricchezza interiore incomparabile.

Giorni nostri, tranquilli, di famiglia.

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