di Maria Grazia Presicce
Ecco cosa restava…
Come allora Lisa si aggrappò alla maniglia, ma adesso solo per non dimenticare. La strinse forte nella mano fino a farsi male, mentre i ricordi repentini e irruenti riaffioravano:
“ Lisa! Vai in casa, prendimi il gomitolo rosso che sta nel cesto vicino al telaio”.
Lisa si avviava: ”Nonna, la porta è chiusa…non riesco ad aprirla…”.
“ Dai che ci riesci!… non farmi lasciare il lavoro…”.
Lisa vicino alla porta provava ad aprirla, dapprima spingendola con la spalla, sperando cedesse poi, visto che era proprio serrata da dietro, cercava in tutti i modi di arrampicarsi sulla scanalatura in basso alla porta, per riuscire infine a infilare la mano nel portellino e tirare il saliscendi che serrava la porta dall’interno.
“ Allora Lisa? ” Insisteva la nonna, vedendo che non arrivava col gomitolo.
“ Nonna ci sto provando, ma non ci arrivo ad aprire…”.
“ Eh Lisa! Dove non si arriva con la forza, si adopera l’ingegno (1). Ascolta, t’insegno come devi fare. Tieniti, con la mano destra, alla maniglia della porta senza il finestrino poi, puntellati con i piedi sulla scanalatura in basso alla porta “cu lu farcunceddhu” (2) e con l’altra mano reggiti all’imboccatura del finestrino, infila la mano e tira indietro lu manese (3). Vedrai che si aprirà.-
“Nonna, qual è la mano destra? “
“ Ma Lisa! Quella con cui prendi il cucchiaio … “
Lisa si guardava le manine poi, scrupolosamente, eseguiva ciò che la nonna consigliava ed effettivamente riusciva, senza molta difficoltà, ad aprire la porta e trionfante portare alla nonna il gomitolo rosso.
“ Hai visto com’è semplice riuscirci quando si adopera l’ingegno? L’hai richiusa la porta, non è vero? E, il finestrino lo hai accostato per non far entrare le mosche?”.
“ Sì, sì, nonna”, assicurava Lisa e correva ai suoi giochi sul terrazzo adiacente alla casa, mentre la nonna continuava il suo lavoro a maglia col gomitolo rosso che Lisa le aveva portato.
Tornando ai giochi, Lisa cercava di capire cosa fosse “quest’ingegno” che la nonna le aveva detto di applicare. Lei, non aveva applicato nulla, aveva eseguito tutto con le sue mani.
“ Bah! Chissà cosa sarà mai” si diceva. Non osava chiederlo, però; per la nonna era scontato che lei lo conoscesse.
Dio! Una vecchia maniglia inchiodata su un riquadro di legno fradicio e tanti ricordi piovevano, inondando il cuore di Lisa.
Si trovava ora, Lisa, di nuovo là, sul terrazzo della masseria dei nonni, aggrappata ad una maniglia arrugginita per non perdere il filo, il filo dei ricordi e i ricordi scorrevano vividi e le mani serrate sulla maniglia piano piano allentavano la stretta e l’accarezzavano ed un’ondata di commozione la pervadeva scuotendola intimamente.
Lisa guardava il pezzo di porta, ne osservava le rughe che il tempo aveva tracciato. Tracce, solchi profondi che narravano storie. Tante storie. Chissà, quali traversie aveva sopportato. Chissà cosa aveva visto, con chi aveva vissuto, dopo che Lisa era andata via ed ora… ecco cosa rimaneva della porta della sua infanzia.
La porta scardinata, violata, non esisteva più, ridotta a pezzi era stata bruciata.
Nel camino se ne potevano vedere ancora alcuni frammenti; tizzoni mezzi bruciacchiati e carboni e cenere! Sarà servita per riscaldare chissà quali membra, di chissà quale uomo, di chissà quale razza…
Restava intatto, però, questo sconnesso riquadro con la maniglia bene infissa nel legno. Una parte dell’intera parte,…la parte centrale.…Il cuore con la maniglia. Ecco, il cuore era nelle mani di Lisa e viveva ancora e palpitava insieme al suo.
“ Mah! Chi lo sa perché, questo pezzo non è stato bruciato “ si chiese Lisa, e cominciò a fantasticare come al solito. La sua fantasia fervida si perdeva tra mille congetture. Divagava perdendosi nelle “carrareddhe” (4) del presente e del passato, cercando di dare un senso, una spiegazione. Sempre così, doveva ad ogni costo dare un significato alle cose e alle situazioni.
Chissà! Un fuggiasco…un assassino…un evaso…un povero cristo senza casa, senza patria forse, si sarà rifugiato in questo luogo abbandonato…nella casa dei suoi ricordi, nella casa della sua infanzia.
La sua bianca stanza, un covo di gentaglia, forze un ricovero per povera gente in cerca di un riparo, di un po’ di calore.
Lisa sperava che fosse stata brava gente in cerca di calore ad occupare il luogo dei suoi ricordi; per questo, considerò: avranno acceso il camino e bruciato le porte che ora erano tizzoni, carboni e cenere. Prima, però, i pezzi della sua porta avranno scaldato e colorato per un po’ il buio della notte. Le piaceva immaginare questo, un senso di gioia la pervase. Ecco, aveva trovato il senso giusto da dare al suo pensiero.
Strinse a sé il pezzo di porta con la maniglia. Di sottecchi guardò Giuliana. Era grazie a Giuliana che lei, oggi, si trovava lì. Grazie a lei Lisa aveva potuto raccogliere una scheggia d’infanzia dopo aver vagato negli stanzoni vuoti incolori silenti sporchi, pieni di tutto e… di nulla.
Insieme a Giuliana, Lisa si era avventurata con il cuore in tumulto, avanzando silenziosa in quel luogo che non vedeva da tanto tempo.
I muri scorciati sberciati sfregiati mostravano ferite verdastre da cui colava un liquido scuro che, in alcuni punti, si spandeva per poi dividersi in rivoli che si diramavano per l’intera parete annerendola e ferendola.
Le porte e le finestre rimaste, sgangherate e sbilenche, di tanto in tanto cigolavano al refolo di vento che libero s’introduceva e, come un folletto dispettoso pareva seguirle.
Una mezza porta più sbrindellata delle altre, d’improvviso sbatté rimbombando nel vuoto, facendole sussultare.
“ Il folletto, si diverte” pensò Lisa, ma non osò comunicarlo a Giuliana. Di sicuro l’avrebbe presa per matta. Ma, Lisa sapeva bene che lì, il folletto dispettoso, lu munaceddhu (5) era esistito davvero e forse s’aggirava ancora tra quelle mura infrante.
Tante volte Lisa, nelle belle serate d’estate, vicino ad un falò o sotto il chiaro di luna, era stata ad ascoltare i racconti del nonno, della nonna e della gente che viveva nella masseria: narravano di folletti che si divertivano a fare piccoli dispetti ai bambini, agli adulti ed anche agli animali.
“ Guai, se ti prende di mira!” profferiva preoccupato qualcuno. Persino ai cavalli si mormorava facessero dispetti, intrecciando di notte le loro lunghe criniere e poi, aggiungevano: alcune volte il folletto ruba la biada ad un cavallo per darla a quello da lui preferito, così il malcapitato rimasto digiuno continuava a dimagrire. “ Bisognava, allora, – suggeriva qualche altro dargli da mangiare di più durante il giorno! Così, lu munaceddru era bello e beffato!” Tutti ridevano a questa trovata che, comunque, veniva presa seriamente in considerazione.
I ricordi continuavano a riemergere impetuosi, galoppanti proprio come puledri. Lisa, però, li tenne per sé. Era certa che Giuliana non ci avrebbe creduto. Intanto, procedevano guardinghe. Si fermò sulla soglia di una stanza, l’abbracciò con lo sguardo:
–Ecco Giuliana, questa era la mia camera – indicò. – Là, contro quel muro, c’era il mio lettino di ferro battuto dipinto ocra come le porte. Lì, in fondo, si trovava la grande cassapanca, alta e scura, dove la nonna riponeva la biancheria e dove nascondeva il cioccolato. Spesso il nonno di nascosto lo prendeva e me ne dava un pezzetto. Mi raccomando acqua in bocca. – m’imponeva . – lo sai cosa succede se la nonna lo scopre! –
Il cioccolato si poteva avere solo a colazione. Nonno lo prendeva con il caffè. Era tanto goloso il nonno! Quando, però, la nonna si accorgeva che ne mancava, lo rimproverava. Io facevo finta di nulla ed egli, senza replicare, se la rideva sotto i baffi, mi faceva l’occhiolino e usciva lasciando la nonna a “ predicare” (7).
Continuarono ad esplorare la stanza.
– Guarda Giuliana… questo era il ripostiglio. Conteneva lo zinco dell’olio, la capasa (8) delle olive sotto sale, la provvista della salsa, la capaseddha (9) dei fichi secchi con le mandorle, la damigiana del vino…Vieni, vieni a vedere il giardino dei frutti che si vedeva dalla finestra della mia camera…-.
Lisa e Giuliana guardarono oltre la finestra scardinata. Esistevano ancora le mura del fantomatico giardino…solo le mura…il resto era sterpaglia e abbandono e silenzio. Nemmeno gli uccellini cantavano in quella giornata umida di ottobre. Un’ondata di tristezza sommerse Lisa
– Di qua, di qua ! – intimò allora riscuotendosi. – Questa era la nostra sala da pranzo. Vedi com’è grande il camino? Oddio, da piccola mi pareva ancora più grande! Lì nell’angolo, su un tavolino, c’era la radio del nonno. Enorme, con l’occhio magico verde fosforescente. Guai a non posizionarlo bene! Finché non raggiungeva il suo preciso punto focale, si sentivano voci sovrapposte, musiche e scricchiolii vari; quando, finalmente, il nonno riusciva a disporlo esattamente, il verde fosforescente appariva in tutta la sua luminosità e squillante ci giungeva la voce del cronista che annunciava il giornale radio. Non sbagliava mai orario il nonno; era un appuntamento quotidiano quello della radio. –
“Silenzio! Sta cominciando il giornale radio, ” ammoniva con la sua voce imperiosa e la lunga pipa in bocca.
Sedeva vicinissimo alla radio, il gomito puntellato sul tavolino, la testa poggiata alla mano e in rispettoso silenzio ascoltava le notizie. A volte, però, si addormentava, sempre la pipa accesa in bocca; Lisa si meravigliava che, pur sonnecchiando, non le sfuggisse dalla bocca.
“ Nonno, ti sei addormentato! “ gli rimproverava Lisa alcune volte che rimaneva a sonnecchiare più a lungo. Egli allora si scuoteva “ ma che dici Lisa, non dormivo: ascoltavo ad occhi chiusi! “
Lei era sicura che dormisse ma non osava contraddirlo.
La radio parlava parlava, lui ascoltava o dormiva e tutti dovevano comunque fare silenzio o parlare a voce bassa perché: “ nonno sente il giornale radio!” Pareva un avvenimento di così grande importanza che tutto il resto passava in secondo piano:-“ aspetta, ne parleremo dopo il giornale radio!” “ Eh no, ora non può venire, sta ascoltando il giornale radio!”
Era il momento più importante della giornata del nonno: l’ascolto del giornale radio.
Era quello il filo magico e trasparente che legava la comunità della masseria al mondo, a quel mondo sconosciuto e virtualmente ricostruito attraverso le parole del cronista, a quel mondo invisibile che Lisa s’immaginava tutto racchiuso all’interno della radio. Così, una volta che riuscì ad eludere la sorveglianza degli adulti, decise di esplorare quel mondo fantastico chiuso nella grande scatola con l’occhio magico!
Quanto tempo, Lisa era rimasta a sognare! Tutto il tempo che il nonno ascoltava il giornale radio lei, in rispettoso silenzio, fantasticava. E lo aveva sognato davvero quel mondo misterioso e lillipuziano!
Si figurava all’interno della radio un mondo in miniatura! Immaginava piccoli omini che si muovevano senza sosta. Folletti e spiritelli curiosi che andavano in giro per il mondo, raccoglievano le notizie e poi le raccontavano attraverso la radio.
Quale fu la sua delusione quando, quel giorno, rimasta sola in casa, dopo essersi ficcata sotto il tavolino e poi sbucata dietro la radio, spiando all’interno vide soltanto un ammasso di fili colorati. Da dietro, nemmeno l’occhio magico, così bello vivido, si vedeva. Decisamente la radio era più affascinante nella parte anteriore!
– Vieni, vieni di qua Giuliana. Guarda! Vedi questi due chiodi vicino alla parete opposta del camino? Qui era appesa la grande piattera (9) di legno, dove la nonna riponeva i piatti con cui pranzavamo tutti i giorni.
I piatti erano di latta col righino blu e in terracotta col galletto al centro e intorno al bordo i fiorellini blu a cinque petali.
Dispiaceva a Lisa quando la nonna, riempiendole il piatto di minestra, ricopriva il galletto sul fondo; per rivederlo, allora, mangiava in fretta tutta la minestra.
– Ecco Giuliana, in quest’angolo c’era il lavandino di ferro col bacile di latta bianco e la brocca. – Stava all’angolo della porta d’ingresso.
Appena rientrati dal lavoro gli uomini prima di mettersi a tavola si rinfrescavano e si lavavano le mani. L’angolo in muratura è ora sberciato, non c’è più il lavandino dei sogni di Lisa, non c’è la piattera, non ci sono gli arazzi con i paesaggi veneziani e le gondole, non c’è il grande quadro del Sacro cuore di Gesù…ci sono solo i chiodi e al posto della piattera ci sono dei disegni osceni fatti con pezzi di carbone. Anche gli altri muri sono imbrattati di scritte e disegni osceni. Al posto degli arazzi e dei quadri di Santi, imperano le oscenità. Sono i graffiti moderni…dicono.
– Vieni Giuliana, andiamo fuori! –
Quasi si vergognava Lisa di far vedere a Giuliana tanto squallore e tanta volgarità. Si sentì, d’un tratto, a disagio tra quelle mura violate che sembrava la rimproverassero. Sono le mura che hanno sentito i suoi strilli di bimba, le prime risate, i primi canti stonati intonati insieme agli zii, al nonno, alla nonna.
– Dai! Vieni Giuliana. Usciamo!- intimò, anche se il varco non aveva più la porta. Erano rimasti attaccati gli stipiti con alcuni chiodi traballanti, ma della porta di legno nemmeno l’ombra!
Fuori Lisa si guardò intorno. Il lanternaio, al centro del terrazzo, che serviva a dare luce al frantoio nuovo, era ora rotto, invaso da un arbusto rigoglioso di fico. I muretti resistevano ancora, la colombaia era stata derubata di alcuni fregi, l’alta torre era ormai ridotta ad un ammasso di pietre informi…nessuna delle varie stanze che davano sul terrazzo aveva più la porta. Erano bocche aperte che gridavano, urlavano tutta la loro disperazione…gemevano, ma solamente Lisa sentiva i loro lamenti mentre continuava a volgere, inquieta, lo sguardo intorno.
D’un tratto con un piede aveva urtato qualcosa…aveva abbassato lo sguardo e, toh! Un avanzo di legno…un pezzo di una delle porte. Lisa lo aveva preso in mano con delicatezza come fosse di cristallo prezioso. Osservandolo ne aveva sfiorato la superficie come accarezzandolo. Un ragnetto, d’improvviso, era fuoriuscito da una fessura e smarrito era fuggito sul piano in cerca di un’altra crepa in cui nascondersi e poi alla fine si era calato attaccato al suo filo lucente. Lisa ne aveva seguita la discesa. Appena giù, il ragnetto aveva ripreso la sua corsa furibonda alla ricerca di un altro riparo. Lei aveva continuato ad osservare il suo prezioso avanzo di legno… c’era anche la maniglia di ferro arrugginito, ma immutata.
– Guarda Giuliana, è un pezzo della porta d’ingresso. Un pezzo della porta della mia infanzia….-
– Tienilo come ricordo, – Aveva suggerito Giuliana – è giusto che lo porti con te e trovi il modo di farlo rivivere. Sicuramente lo farai rivivere. – Sorrise. Lei ne era certa.
– Giusto, Giuliana. Ti prometto che rivivrà. Lo farò rivivere con tutta la sua storia. Lo riporterò al suo antico splendore.-
Era una promessa e Lisa sapeva che avrebbe fatto di tutto perché fosse mantenuta.
La promessa è promessa; e quella era più che una promessa. Era un fioretto, come quello che la nonna le ingiungeva di mantenere da bambina alla fine delle preghiere:
“ Fai un fioretto a Gesù Bambino. E… mi raccomando sforzati di mantenerlo!”
“ Che fioretto devo fare, nonna? “
“ Promettile quello che vuoi. Basta un piccolo sacrificio. Per esempio… che non mangerai il cioccolato di nascosto col nonno ”.
Lisa guardava la nonna che le sorrideva, poi faceva il fioretto e s’imponeva di mantenerlo per non scontentare Gesù che dall’alto del quadro, nella sala da pranzo, la guardava e la seguiva sempre con lo sguardo.
Ora Lisa, come allora, avrebbe mantenuto il fioretto; avrebbe fatto di tutto per dare ancora vita a quel pezzo di legno sghembo e sgretolato.
Con quella promessa nel cuore, si era avviata insieme a Giuliana uscendo da quel luogo di memorie in cui tutto le parlava di affetti, di tenerezze che avvertiva ancora impellenti sulla pelle mentre stringeva nella mano la maniglia “ti lu farcunceddhu” della porta della sua infanzia.
1 L’intelligenza
2 Con lo sportellino
3 La maniglia
4 I sentieri
5 Il folletto
6 Termine dialettale che indica il parlare con veemenza disapprovando un comportamento.
7 La giara, contenitore in terracotta
8 Piccola giara
9 La piattaia
Le coincidenze a volte… Ieri sera rivedevo , dopo più di trent’anni, “Il dottor Zivago”, oggi leggo queste Tracce di ricordi. Storie diverse ovviamente, differente la Storia ma somiglianze nel sentire. Incredibile come le esperienze dell’infanzia ci irretiscono l’animo e ce lo rendono greve, anche quando sono state belle. Forse più ancora. Ed è già qualcosa saperle raccontare perché la polvere non le ricopra del tutto, come il vecchio tavolo dove si era appreso l’ABC. Ed è già confortante recuperare l’ultimo pezzo del legno dell’uscio che ci accolse. Bello poi poterle condividerle con un’amica,che sa cogliere il significato anche dei silenzi e delle afasie emotive. L’ho rivisto fino a notte il film che già non ricordavo più .
grazie wilma! sempre belli i tuoi commenti.
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