di Daniela Lucaselli
Natale è alle porte: l’aria di festa si respira nelle strade e in tutti i quartieri di Taranto. Si rinnova l’antica usanza della novena in onore dell’Immacolata, compatrona della città, assieme a San Cataldo, dal 1711.
L’antica statua della Vergine, custodita nella chiesa di San Michele nella città vecchia, viene accompagnata, il 29 novembre, in processione nella basilica di S.Cataldo per l’inizio della novena in suo onore, che si conclude il 7 dicembre. In qualche vicolo o largo, come ad esempio largo san Nicola, alcuni vecchi altarini ripristinati e qualche statuetta dell’Immacolata recuperata, fanno rivivere ai fedeli un’antica devozione. Le note del popolarissimo inno (versi e musica sono di un autore ignoto) “O Concetta Immacolata” e delle litanie, opera di un compositore laico, in onore della Santissima Vergine, invadono soavemente e pacatamente anche gli angoli più oscuri del borgo antico. A conclusione della Novena, nel tardo pomeriggio dell’8 dicembre, la Vergine Immacolata viene festeggiata con una solenne processione, a cui partecipano con fede il clero, le confraternite, le associazioni ecclesiali ed il popolo. Un volo di colombe bianche, seguito da una batteria di fuochi d’artificio, saluta l’immagine della Madonna. La processione percorre il pendio San Domenico, piazza Fontana, via Garibaldi, discesa Vasto e piazza Castello, accompagnata dalle melodie delle pastorali natalizie, suonate dalle due bande cittadine e da fuochi pirotecnici.
La devozione dei tarantini per la Madre di Gesù ha origini antiche. La costituzione della congrega, denominata “Immacolata Concezione di Maria Santissima“, è datata infatti 14 gennaio 1578. Furono i confratelli a commissionare a Napoli la statua della Vergine, che arrivò a Taranto nel settembre del 1679 (1) e venne collocata nella cappella della Immacolata Concezione, ubicata nella chiesa di S.Francesco.
Il simulacro, dal viso dolcissimo, indossava un abito bianco con ricami dorati e un ampio mantello celeste le copriva delicatamente il corpo. Sul capo rispendeva un’aureola con dodici stelle e ai piedi erano situati il mappamondo, la luna e il serpente con la testa schiacciata dal piede di Maria.
Quest’emozione di riti centenari ha origine nella lontana notte tra il 7 e l’8 dicembre del 1710, quando Taranto fu colpita da un violentissimo terremoto. I danni furono notevoli, ma non si registrarono vittime. La popolazione interpretò l’evento, verificatosi proprio alla vigilia della festa della Vergine, come un segno divino e riconobbe la mano salvifica della Madonna sulla città. Il Primo cittadino dell’epoca, Giovanni Capitignano, si fece portavoce della volontà del popolo, che volle dimostrare la sua riconoscenza alla Vergine e l’11 luglio 1711 proclamò l’Immacolata protettrice di Taranto. Il documento di tale decisione fu redatto dal notaio Giovanni Antonio Catapano (2). Ma il patrono “principale” rimaneva, comunque, sempre San Cataldo.
Il 20 febbraio 1743, un altro evento catastrofico si abbattè sulla terra di Puglia e, anche in questa occasione, la città subì solo lievi danni, attribuendo,ancora una volta, tale miracolo alla protezione dell’Immacolata. In segno di gratitudine la città, tramite il sindaco Scipione Marrese, istituì, presso la Cattedrale, dove era custodita la statua della Madre di Gesù, un triduo votivo di ringraziamento da tenersi ogni anno nel mese di febbraio. Dopo il terremoto del febbraio del 1743 la statua della Madonna venne trasferita nel monastero delle Cappuccinelle di S.Michele, sito alla fine della Strada Maggiore nel borgo antico.
Il 3 dicembre 1769 (3) Ferdinando IV concesse l’assenso al primo statuto della confraternita.
Nel 1830 l’immagine dell’Immacolata venne rappresentata con le braccia abbassate e quasi unite ai fianchi e con le mani protese verso il basso, così come la Vergine stessa aveva indicato, in un’apparizione avvenuta, in quell’anno a Parigi, a suor Caterina Labouré, una giovane novizia delle Figlie della Carità. Nel 1868, in seguito alla soppressione dei monasteri, alla confraternita Maria SS. Immacolata fu concesso l’uso della chiesa di S.Michele, dove la statua della Madonna fu traslata ed esposta alla venerazione dei fedeli.
Il 12 dicembre del 1934 la confraternita ebbe il riconoscimento civile.
Per circa due secoli l’Immacolata fu venerata come Patrona “minore” di Taranto, fino a quando il 12 febbraio 1943, grazie alla proposta dell’arcivescovo Mons. Ferdinando Bernardi, la Vergine divenne “Patrona principale di Taranto insieme e come San Cataldo”. La proposta fu accettata e riconosciuta dalla Sacra Congregazione dei Riti e il 20 febbraio dello stesso anno, nella chiesa di San Michele fu deposta una lapide che “tramanda ai posteri la solenne proclamazione (dell’Immacolata) a Celeste Patrona di questa città bimare”. Ancora una volta, la città, nonostante fosse uno dei più importanti obiettivi militari, in quel periodo bellico, non aveva subito grosse perdite di vite umane tra la popolazione civile.
Oggi…
I tarantini esprimono la devozione in onore della Vergine l’8 dicembre. La vigilia, all’alba, le bande musicali girano per le vie cittadine ed eseguono le famose e suggestive pastorali. Tutti, grandi e bambini, rinnovano la tradizione iniziata con Santa Cecilia e, gustando le profumate péttole, si prodigano a completare l’albero di Natale e il presepe. In questo giorno, in passato, si usava digiunare, anche se a mezzogiorno qualcuno interrompeva il digiuno con una semplice pagnotta ovale di pasta soffice, detta mescetàre o miscetàle o miscetàte ( termine che deriva da una deformazione di vigitale, ossia della Vigilia) (4). All’imbrunire tutti si riunivano intorno alla “tavola grande” di casa per un pranzo-cena che veniva consumato in compagnia di parenti o di vicini di casa.
Ancora oggi il rito si rinnova.
Il menù è quello tradizionale e il pesce non manca mai tra le pietanze preparate la vigilia.
Frutti di mare, linguine o vermicelli con le anguille o con le cozze, mùgnele e cime di rape, capitone all’agrodolce, spigole, orate, triglie arrosto, baccalà fritto. Ai primi e secondi piatti, innaffiati con ottimi vini nostrani, fanno da contorno fenùcchie e catalogne, arricchiti da alìe, pruvelòne e marangiàne sott’olie; dolcissimi e profumati mandarini accompagnano noci, fichi secchi, mandorle, nocelle infornate e castagne d’u prèvete. Per dolce, ancora pèttole, ma stavolta cosparse di miele o vincotto. Raramente vengono preparati sanacchiùdere e carteddàte, dolci più strettamente legati alla tradizione del Natale. Non manca invece il panettone. Tra i liquori si preferiscono i whisky e i brandy, ma per i palati più delicati non mancano la crema cacao e il mandarinetto.
Terminata la cena, una volta sparecchiata la tavola, nello scenario del presepio e dell’albero di Natale, si dà inizio alla prima tombolata dell’anno e per i bambini e le donne è il momento più atteso. Al centro del tavolo un mucchietto di fave o, in mancanza di queste, anche frammenti di buccia d’arancia per segnare sulla propria cartella i numeri che vengono estratti. Interminabili le tombolate delle vigilie alle quali si pone termine solo quando agli instancabili giocatori (gli uomini generalmente preferiscono appartarsi immediatamente per il solito tressette) s’achiudèvene l’uècchie p’u suènne (5). Ed è così che si attende la magia del Natale…
Note bibliografiche:
1) A. Merodio, Istoria tarentina, Libro IV;
2) N. Caputo, Destinazione Dio, Taranto (1984), p. 301;
3) G. Blandamura, Chiesa e monastero di San Michele, Taranto (1934);
4) N. Gigante, Dizionario critico etimologico del dialetto tarantino, Manduria (1986);
5) G. Peluso, ‘A nnate ‘u Bbammine, Taranto (1982), p.24.
Bibliografia:
- N. Caputo, Quel Natale fatto in casa, Martina Franca (1988).
Le foto sono di Daniela Lucaselli
In punta di pennino, con tono delicato e suadente Daniela ci fa assaporare la magia delle antiche tradizioni sacre e profane della nostra illustre città.
Bellissime ed accattivanti le immagini dei locali frutti di mare che non possono che sollecitare la preparazione degli stessi secondo le tradizionali e succulenti ricette locali. Perchè non aprire un blog che raccolga questo
prezioso tesoro dell’ ancestrale storia culinaria cittadina?
Grazie Angelo, colgo al volo il tuo suggerimento. In queste festività quando preparerò una “nostra” pietanza, la “immortalerò” nel suo divenire e… la condividerò. Ciao.