Sono un ragazzo di ieri e, insieme, un comune osservatore di strada; alla fine d’ogni anno, raccolgo i pensieri, le impressioni, le opinioni e le immagini che, man mano, si affacciano e/o mi circondano.
E’ qui allegata la foto della copertina dell’ultimo volume “Quando il gallo cantava la mattina” appena dato alle stampe, insieme con la prefazione, curata, al solito, dall’amico prof. Ermanno Inguscio.
Quando il gallo cantava la mattina
Questa raccolta di scritti di Rocco Boccadamo si apre, secondo la consueta scansione dei contributi pubblicati nell’arco di un anno solare, dal 9 aprile al 21 dicembre 2011, e con il consueto sottotitolo Lettere ai giornali e appunti di viaggi, con il racconto di una prigionia subita da un italiano in Tunisia nel Secondo Conflitto mondiale.
Nell’incipit di questa formula scrittoria, che il lettore ha già gustato da qualche anno, vi è la sintesi della visione prospettica di un mondo, che parte dal promontorio dell’antica Castrum Minervae, nel Salento, ma si allarga nel mare Mediterraneo (e alle sue popolazioni rivierasche) a proporre temi di scottante attualità per tutti.
Quella prigionia, dunque, vissuta dal militare Gino, in terra straniera e con modalità quasi amicali, offre il destro all’autore per un’apertura di carattere interculturale ai fini di una riflessione su grandi temi che lo appassionano, il divario Nord Sud, il villaggio globale, l’economia dei mercati, ecc. Una prigionia, che riporta per forza di cose ad un contesto di vicissitudini belliche, ma stranamente vissuta in mezzo a una popolazione mite, composta da discendenti degli antichi punici, storici nemici di Roma: i tunisini, ieri ospiti di compare Gino, oggi emigranti in massa a causa della “primavera araba”, che ha scatenato l’incendio politico-sociale in tutto il mondo islamico del Nord Africa (Libia, Egitto, Tunisia, ecc.). Ed è il mare Mediterraneo ad unire ancora una volta, più che a dividere, persone, mentalità e consuetudini di mondi apparentemente lontani e diversi.
A spiegare il titolo, è lo stesso Boccadamo, quando scrive: Il percorso esistenziale era un tempo poggiato su scansioni naturali, accettate, condivise: fra esse il primo posto alle nascite, i matrimoni e, presto o tardi, il commiato dalla vita terrena.E tale affermazione rischia solo per un momento di qualificarlo come un laudator temporis acti: un giornalista con la mente al passato e con gli occhi chiusi al presente. Così evidentemente non è.
Il mondo ideale e di affetti di Boccadamo, invece, si sviluppa con realistica lucidità, pur nel groviglio intricato del quotidiano, nell’alveo meraviglioso della vita, accettata con la nascita, riproposta con l’amore coniugale, interrotta con la morte. Ecco perché in tutto ciò che scrive l’autore, spesso affiorano l’amore per la natura e il mito dell’infanzia, l’amore sponsale-parentale ed amicale, il rimpianto per persone ormai scomparse, peggio se prematuramente. Egli sembra voler esorcizzare, nell’attività scrittoria, la negatività della morte con la riproposizione del ricordo del bene fatto da quanti hanno creduto nella vita (specie genitori e amici) e dal nugolo di nipotini, la cui vitalità è benaugurale toccasana contro l’inesorabile volgere del tempo. In tale visione delle cose, anche la stessa morte si tramuta in un semplice “commiato”, un temporaneo “addio”, un “arrivederci”, che prelude ad una concezione ottimista-fideista dell’esistenza umana. L’augurio di un ritorno al chicchirichì, deve configurarsi come viatico di ottimismo per affrontare gli alti e bassi del presente… E le stesse terribili contraddizioni della società dell’intero pianeta possono essere superate soltanto con il dovere dell’impegno comune. Ciascuno nel proprio ambito, in famiglia, nei campi, nelle fabbriche, negli uffici, nelle istituzioni. Non c’è economia o società in crisi che possano fare a meno della necessità dell’impegno ad ogni livello. Concezione della vita non certo di un burocrate annidato dietro una scrivania, ma di una persona abituata a rimboccarsi le maniche di fronte all’individuazione dei problemi di ogni giorno…Oggi non si ode più il canto del gallo: può sembrare un paradosso, ma succede come se l’esordio, il debutto di ciascun nuovo mattino avesse perduto l’applauso di incoraggiamento più schietto e sincero…
Il prorompente canto del gallo, nell’illustrazione iconografica della copertina di Carlo Colella,imperversa nella composizione cromatica e nella dimensione spazio-temporale, quasi a farsi “re” del paesaggio circostante, circoscritto in un orizzonte, luogo dell’anima dell’autore, dove il cielo, la pietra della “pajara” e la stessa “lamia” costituiscono una piattaforma-astronave da cui lanciare l’urlo di liberazione.
Al viaggio, grande strumento di conoscenza e di riflessione, fanno riferimento diversi contributi di questa raccolta: nella seconda parte del sottotitolo del volume, come detto, l’autore non rinuncia mai ai suoi appunti di viaggi. Grande spazio alla voglia scrittoria dell’autore è concesso ad una sua puntata in Cina, forse la sua prima esperienza in Estremo Oriente, compiuta nell’autunno del 2011 in compagnia della dolce consorte. Nella caotica capitale Pechino, avvolta nello smog e stritolata da un diabolico intreccio di arterie stradali, Boccadamo individua subito la generale gentilezza di tutti, la cortesia dei tassisti, il numero smisurato dei grattacieli e degli abitanti, le vie dello shopping di lusso, i saloni di bellezza, l’apertura operativa degli esercizi 24 ore su 24. Sottolinea pure la rarissima conoscenza dell’inglese o di altre lingue occidentali tra la popolazione, ad eccezione degli addetti alla reception in hotel, le elevate tariffe al ristorante e la sorprendente presenza di imprenditori o manager italiani nelle contrade dell’ex Impero Celeste. Tra le tante “gocce di positivo stupore” registrate in terra cinese, l’autore non ha paura, nell’impatto generale con lo smog, di aver fatto fatica a dialogare con le stelle, esercizio fatto spesso in terra patria, a Castro Marina, in confidenza con gli astri, nelle interminabili notti estive.
A quella stessa terra salentina di Castro, il nonno M., volontario arruolato nella Regia Marina militare e maresciallo di prima classe nel Ventennio fascista, un secondo riferimento alla Cina, di stanza in Istria (all’epoca) italiana, aveva tuttavia accompagnato, in una lunghissima crociera in Cina, Edda Mussolini e il conte Galeazzo Ciano, in rappresentanza dell’Italia presso l’Impero Celeste. Quel personaggio a tutti noto in paese, s’era poi congedato e vivere in un trullo, a ridosso della magica insenatura Acquaviva, le “Scarpe”, la “marina di Diso”, presso la Villa Meris, in un fazzoletto di marina, difesa da bassi fichi, fichidindia, viti, carrubi ed allietato da un piccolo orto coltivato a patate e ortaggi.
La stessa visione del mondo, nell’attività scrittoria di Boccadamo, non è mai miope, sebbene alcuni suoi contributi appaiano abbarbicati, per mera prevalenza contenutistica, al microcosmo di una piccola comunità come quella fatta da Marittima, Diso, Castro Marina e Andrano:“luoghi dell’anima, ma già nel sentire dell’autore,“esempi di piccola globalizzazione. Ma ciò ch’è piccolo non rimane mai tale,tutto è filtrato nella coscienza con un’attenta attività riflessiva attraverso cui esperienze e fatti si ricompongono in una coerente visione della vita. Quei piccoli centri urbani, nelle mille descrizioni di Boccadamo, non scompaiono mai nel grande mosaico della società globale, spesso costituiscono essi stessi un’illuminante lente con cui analizzare il mondo, individuare il bene nascosto e schivare le insidie tipiche di una società modernamente organizzata. Vecchie torri colombaie (palummaru), una via vecchia (per Andrano), un piccolo appezzamento di terreno (noto dell’Arciana) assurgono a monito contro i pericoli del moderno inquinamento e dell’insensata cementificazione di coste e (peggio di) siti storici. Anche in paesi abbastanza piccoli languono i processi di coinvolgimento collettivo e d’interazione allargata. Scompaiono così figure storiche di personaggi come il ciabattino, nella cui bottega s’intessevano relazioni umane, il fornaio che direttamente trasformava in pane la materia prima prelevata in casa del coltivatore, il vecchio cacciatore pur sempre pronto a salvaguardare la natura. Per non parlare dei due anziani coniugi, zi’ Franciscu (Francesco) e Pietrice (Beatrice), che amavano far dono all’autore, nel giorno dei Santi Medici (27 settembre) d’un paniere di noci novelle e di grappoli d’uva del loro pergolato. E toponimi come “Punta Mucurune”, “Porticelli”, “Serriti”, “Acquaviva”,“Marine dell’Aia”, “Loggetta piccinna”sono luoghi e pietre palpitanti del paesaggio salentino e della sfera esistenziale dell’autore. Il paesaggio di pietra interagisce con il mare e scopre nella ricca falda freatica l’oro dell’acqua un tempo trasportato a spalla in grandi otri di terracotta (ozzi). Fichi, carrubi, vigneti (cippuni), olivastri e distese di macchia mediterranea sono le mute sentinelle tra i resti di roccia, mummificati in austeri muretti di confine. Quanto ad Acquaviva, oltre alla pajara (caratteristico trullo in pietra a tronco di piramide) ed al suo orticello, dentro cui viene custodita gran parte dei ricordi d’infanzia e di gioventù di Boccadamo, rimangono luoghi privilegiati della sua anima: una chiesa di Castro Marina l’ha visto convolare a nozze, in quel magico specchio di mare, di fronte a Castrum Minervae si aggira per tutte le estati il suo legno a vela,“My three cats”, e proprio il seno di mare di Acquaviva è assurto, nella leggendaria ricostruzione popolare, a sito sacro del recupero dei simulacri dei Santi di Diso, i Ss. Filippo e Giacomo, che nel tripudio dei soli fedeli di Diso, si sono lasciati trasportare in paese. I Santi nosci, come ancora oggi vengono conosciuti e chiamati, sono i patroni di Diso, presso cui, ogni anno,grandi celebrazioni religiose e civili ne sottolineano l’importanza, tra l’altro con la grande gara pirotecnica diurna, che richiama da tutt’Italia grande concorso di visitatori. Liaison di fede e di appartenenza identitaria, il sito La cappiddruzza, per la sosta dello storico corteo con i due simulacri recuperati, dai marosi dell’Acquaviva, attraverso le campagne fra Castro, Vignacastrisi e la destinazione finale (scelta…dai Santi Nosci) di Diso. In questo microcosmo, fatto di piccole ma forti comunità, grande è il respiro globale della gente che ci vive, un tempo con le difficoltà della civiltà contadina e l’ancestrale legame tra quotidiano e sfera del divino, oggi con l’apertura all’accoglienza dei flussi turistici e migratori, con l’attenzione alle moderne sinergie per favorire una migliore qualità della vita a livello istituzionale (Unione di Comuni) e di aggregazione sociale. Con la stessa disponibilità al viaggio, come sempre più spesso fatto da Boccadamo, che guardando (e scrivendo) con apprensione alla propria terra natia, non disdegna avventurarsi così tra i vicoli di Castro antica o di Dublino, come tra le insidie degli hutong di Pechino o nelle sicure grandi piazze di Monaco di Baviera. Non canta il gallo con il chicchirichì mattutino nelle teutoniche città tedesche o nelle metropoli della Mitteleuropa, dove il disordine è dato dalle storture dei sistemi economici e finanziari, dai macigni dell’evasione fiscale, dalla sperequazione della ricchezza e dal rampantismo manageriale; e assolutamente mortificato risulterebbe il suo verso (del gallo) anche nelle odierne città dell’Estremo Oriente, come Pechino, dove covano i mostri (per gli occidentali) del sorpasso economico, dopo quello, ormai scontato, registrato in campo demografico. Ma l’autore non ha paura di catastrofici sovvertimenti geopolitici e finanziari o di contrapposizioni di modelli culturali proposti di qua o di là da qualche intraprendente popolo in qualche parte del globo. A lui preme soprattutto che si preservi, a cominciare dalla propria patria, la dimensione distintiva di ogni realtà storico-culturale, che si perpetui l’attenzione alle realtà dei valori assoluti, propri di ciascuno (la famiglia, il lavoro, la coesistenza pacifica, la condivisione per l’umanità intera dei risultati delle ricerche in campo medico-alimentare), ma soprattutto l’intimo convincimento che l’odierna società del benessere non possa prescindere dalla constatazione della preziosità dei sacrifici e dei progressi fatti dagli antenati e dal genere umano durante la storia.
Ermanno Inguscio