di Armando Polito
Ci lassa la ia ècchia pi lla noa sape cce llassa ma no ssape cce troa (chi lascia la via vecchia per la nuova sa quel che lascia ma non sa quel che trova).
L’Italia è il paese in cui la sostituzione di un acronimo o, se preferite, sigla, con un altro serve solo per indurre il cittadino stupido a credere che le cose siano cambiate, naturalmente, secondo chi fa ricorso a questo squallido espediente, in meglio. Non starò a tediare il lettore con un elenco che, volendo, potrebbe essere lunghissimo. Tralasciando quello del nome dei partiti sui quali, nessuno escluso, non posso perdere il mio tempo, bastino per tutti gli altri gli esempi di USL (Unità sanitaria locale) passata ad ASL (Azienda sanitaria locale) senza alcun vantaggio per l’utente, e la recentissima IMU che ha soppiantato l’ICI generando nei cittadini un orgasmo ben diverso da quello di natura sessuale.
C’è un campo, però, in cui il cambiamento crea un danno che può essere considerato astratto solo se affibbiamo la stessa etichetta alla cultura in genere; questo campo è la toponomastica.
Da sempre il nome dei luoghi ha subito cambiamenti e il loro studio diacronico è diventato col tempo via via più complicato, mentre diventavano sempre più evanescenti, sia pure in modo direttamente proporzionale alla loro età, quelli che avevano preceduto il comunemente noto, cioè il corrente.
Anche qui gli esempi da proporre sarebbero pressoché infiniti e basti per Nardò il caso dell’attuale Piazza Salandra che prima era stata Piazza del Municipio e prima ancora Piazza delle legne. Qualche volta, però, è ravvisabile sensibilità e buon cuore, perché il nuovo nome non ha soppiantato il vecchio ma gli si è affiancato grazie ad un fu, un ex, un già; un esempio, sempre per Nardò: via S. Gregorio Armeno già via Impestati. Di seguito vista d’insieme e dettaglio della segnaletica viaria.
Nella stragrande maggioranza dei casi, però, non si assiste a questa sorta di superfetazione toponomastica, ma ad una brutale sostituzione tout court che può essere indotta da una sorta di rimozione di un ricordo spiacevole (già in atto nell’ultimo esempio riportato; la zona in questione in passato fu adibita a lazzaretto) e in qualche caso a motivazioni di difficile identificazione, perché potrebbero essere frutto di una volontà di nobilitare un riferimento considerato vergognoso o, addirittura, di ignoranza bella e buona, di analfabetismo: è il caso, sempre per Nardò, dell’attuale via Scapigliari corrispondente ad una zona periferica chiamata Scapiciara perché lì vi si preparava e commerciava la scapece.[1]
Se la rimozione di cui ho parlato fin qui può essere definita di natura sentimentale, c’è, infine, quella di natura politica, che coincide, sostanzialmente, con la damnatio memoriae. In tale categoria può tranquillamente rientrare la nostra Piazza Salandra con una damnatio che ha fatto fuori le memorie precedenti ma che ha saputo preservare la sua, almeno fino al momento in cui scrivo …
Eppure, lasciando il danno fatto, basterebbe ben poco per evitare questo fenomeno che ha molti aspetti in comune con l’altro, tutt’altro che raro in Italia, di autorizzare la costruzione di nuovi edifici nelle adiacenze o addirittura al di sopra di un sito archeologico: basterebbe riservare nomi nuovi solo a vie nuove (con l’antropizzazione così spinta non mancano certo le occasioni…), conservando, così, la memoria toponomastica più antica pervenutaci, per evitare che essa inesorabilmente prima passi in secondo piano e poi scompaia del tutto, riesumata solo dagli storici locali nei loro studi. Oltretutto, sarebbe una testimonianza di quell’umiltà per la quale probabilmente e paradossalmente non pochi dei titolari dei nomi personali utilizzati avrebbero preferito essere ricordati diversamente e, nello stesso tempo, vista la smania di visibilità che contraddistingue la nostra epoca, un freno ad un probabile sviluppo del fenomeno che vedrebbe intitolata una via non ad un politico ancora vivente (e, con l’aria che tira, bella soddisfazione per il cittadino onesto!) ma, addirittura, una velina sculettante in tv o dal vivo, anzi… da viva.
Dal titolo probabilmente il lettore si attendeva chissà quali elucubrazioni (con tutta la carica ironica che spesso la voce racchiude in sé) sulla saggezza popolare che, comunque, trova qui la conferma: basta far recuperare al metaforico via del proverbio il suo significato letterale …
E poi, nonostante questo, non credo che mi si possa rimproverare che il mio commento all’antico proverbio sia stato terra terra…
Che poi l’audacia (dico audacia…) intelligente (dico intelligente…) ed onesta (dico onesta …) nel percorrere nuove vie rimanga una pietra miliare sulla strada (per restare in sintonia formale con l’argomento…) della conoscenza lo sanno tutti, anche lo scemo del villaggio, meno coloro ai quali è deputato, insieme agli altri, il compito di incentivare la ricerca e valorizzare il talento (dico talento) dei giovani (dico giovani, senza che questi ultimi, però, si abbandonino alla follia della rottamazione indistinta in nome di una discontinuità, come oggi si dice, che nemmeno intravedo … prima o poi mi devo decidere ad andare dall’oculista). Ma di tutto questo parlerò quando avrò trovato le parole adatte, anche nella loro carica volgare, per esprimere la rabbia che ho in corpo. Per ora chiudo ricordando l’altro proverbio che sotto questo punto di vista a me pare come la sapiente integrazione della prudenza (che mai tarpa le ali all’audacia consapevole) pure invocata dal primo: ci càngia e scàngia no pperde mai tièmpu (chi cambia e scambia non perde mai tempo); poi mi vengono in mente gli opportunistici cambi di casacca e il voto di scambio, e la rabbia continua a montare…non solo la mia.
* Che sublime coerenza! Prima della crisi applicava il primo proverbio comprandomi sempre la stessa marca di scatoletta e ignorando sistematicamente, per risparmiare, le ultime uscite sul mercato; da un anno buono si è messo ad applicare il secondo proverbio e cerca freneticamente la scatoletta a minor prezzo con questo risultato: la mia scatoletta di oggi è peggiore di quella di ieri ma migliore di quella di domani! Però, gli voglio bene lo stesso…
[1] https://www.fondazioneterradotranto.it/2011/05/29/toponomastica-li-mpistati-un-caso-simile-a-via-scapigliari/