di Marcello Gaballo
Le sorprese che riserva la chiesa della Vergine del Carmelo a Nardò, un tempo officiata dai carmelitani scalzi, che dimoravano nell’annesso convento, poi parrocchia, sono davvero tante. I preziosi arredi, i decori, gli stucchi e le opere pittoriche presenti, ne fanno una delle tappe che non possono mancare nell’itinerario del turista, sia esso il più frettoloso e poco attento.
Di impianto cinquecentesco, ampiamente rimaneggiata dopo il funesto terremoto del 20 febbraio 1743, l’edificio ospita una bella tela raffigurante Sant’Eligio, opera del prolifico ma poco noto pittore Donato Antonio d’Orlando (Nardò, 1562 ca – Racale, 1636), la cui produzione è uniformemente distribuita in Terra d’Otranto (Muro Leccese, Copertino, Seclì, Uggiano La Chiesa, Ugento, Leverano, Martina Franca, ecc.).
Il Santo orefice (Chaptelan 588 ca. – 1 dicembre 669 d.C.) fu controllore dei metalli, maestro della zecca, poi grande argentiere sotto il regno di Clotario II, quindi tesoriere di Dagoberto I, prima di essere eletto vescovo di Noyon nel 641 (nella cui abbazia riposa il corpo). Fu assunto a patrono degli orefici, argentieri e gioiellieri, per la sua abilità di intagliatore. Prima degli ordini sacri eseguì opere di oreficeria di altissimo livello e ne erano prova i bassorilievi della tomba di S. Germain, vescovo di Parigi e i due seggi intarsiati per Clotario, ancora visibili nel 1789. Delle sue opere oggi restano soltanto, oltre ad alcune monete, un frammento di croce incastonata, conservata nel Gabinet des Médailles a Parigi.
Sant’Eligio è considerato anche patrono di quanti si servono di martelli, tra cui carpentieri, incisori, orologiai, fabbri, meccanici, calderai, minatori, attrezzisti, doratori, ma anche dei trasportatori, autisti, veterinari, sellai, produttori di finimenti, garagisti, carrozzieri, carrettieri, commercianti di cavalli, contadini, operai, braccianti.
Il dipinto di Nardò, ad olio su una tela di cm. 123×193, si ammira sul primo altare della navata a sinistra di chi entra; la presenza di questo santo collima con l’intitolazione dell’altare allo stesso.
Di aspetto giovanile, è dipinto a figura intera, in piedi, vestito in abiti vescovili; con il braccio sinistro regge il pastorale argenteo e un prezioso volume profilato in oro, mentre benedice con la mano destra.
Sui due lati sono inginocchiati i donatori, con l’abito e la croce confraternale, e subito dietro di essi una folta compagine di cittadini e nobili, tutti con lo sguardo rivolto al santo. Lo sfondo è caratterizzato dal particolare architettonico di quella che potrebbe essere una delle porte urbiche, porta San Paolo, nelle cui immediate vicinanze sorge la nostra chiesa. La presenza dello stemma civico di Nardò nella parte inferiore della tela fa pensare che tra i committenti ci sia stata anche l’universitas locale o che abbia perlomeno concorso al pagamento delle spese per realizzare l’opera.
Ad esaltare la figura del santo contribuisce il drappo del baldacchino dietro le sue spalle, in broccato nero e oro, nella cui parte superiore si legge a lettere maiuscole e dorate Sa(nc)tus Elicius. Gli arabeschi, i racemi e i fiorellini sono ripresi sulla pianeta marrone che il santo indossa su un ampio camice in seta bianca. Rifulge ovunque il dorato, che è poi una delle caratteristiche salienti della pittura del nostro, particolarmente accentuato nelle ricche bordure e profili dell’indumento e del manutergio. Dorate sono pure le scarpe, le cui punte avanzano dal bell’appiombo delle pieghe del camice, comprendendo la sigla D.A.O.P. (Donatus Antonius Orlandi Pinxit) con cui si firma l’artista.
La ricchezza decorativa è ulteriormente manifestata dai guanti gemmati, dagli anelli al secondo e quarto dito della mano sinistra, dalle pietre preziose e dal profilo della mitra.
L’ultimo restauro (eseguito da Francesca Romana Melodia nel 1997) ha ridonato splendore ai colori e specialmente alla doratura, rendendo il dipinto molto apprezzabile. Ha anche evidenziato come la tela sia stata ridotta nelle sue dimensioni originarie (probabilmente in coincidenza con i lavori di risistemazione della chiesa dopo il terremoto del 1743), con la definitiva perdita di brani pittorici che potevano narrare episodi della vita del santo. Non si spiegherebbero diversamente le tre iscrizioni sopravvissute ed ancora ben leggibili sul bordo inferiore, che narrano di miracoli accaduti per l’intercessione di Eligio.
Interessante questo lavoro del D’Orlando. con il restauro sono venuti fuori dei particolari significativi.. sono felice che abbiate citato il suo intervento a Seclì dove è presente una tela dell’artista dal titolo ‘Cristo in Gloria’… il D’Orlando? un maestro dell’arte che merita di essere valorizzato dalla critica come il suo contemporaneo Gian Domenico Catalano. Entrambi, sono protagonisti di una nuova maniera pittorica legata alla produzione di icone, che segna il passaggio dalle immagini bizantine a quelle di impronta manierista con asservimento ai principi della Controriforma. Approfondiamo.
Giovanni Colitta
Caro Giovanni
grazie per il sentito commento. Il D’Orlando è un chiodo fisso che da anni mi gira per la testa. Sarei ben felice se ci offrissi qualche tuo contributo in merito, descrivendo una tela, offrendo qualche confronto, riportando note biografiche… Mi auguro vorrai essere al nostro fianco per colmare anche questa grave lacuna, cercando di dare il giusto merito a tanta bella arte salentina, così trascurata.
I due Artisti che citi sono una pietra miliare per la pittura di Terra d’Otrando e speriamo di cuore che tu ce ne offra qualche ghiotto boccone…
Meno male che ci sei tu!!!
era doverosa la citazione sul tuo intervento su questa bellissima tela, che hai saputo riportare alla sua antica bellezza!
Voglio ricordare il lavoro sul D’Orlando realizzato dal CRSEC di Nardò qualche anno fa on la consulenza sceintifica di Marico Cazzato. E’ disponibile nella Biblioteca del CRSEC ed esiste in CD una versione digitale della pubblicazione
Sant’Eligio era un santo molto amato fra i contadini, soprattutto fra chi aveva un cavallo o un asino. Ognuno metteva una figurina nella stalla o in casa.
Perchè era stato capace di imprese impossibili (vedi quella citata nella tela dove si riporta che riattacca le zampe a dei cavalli e mentre fa questo è raffigurato, per esempio nella chiesa rupestre della Madonna della grutta a Ortelle).
Mia Nonna nei casi disperati era solita dire Santu Liggiu ne azza i fierri penso volesse dire che se un santo così capace metteva a posto i ferri del mestiere per andarsene non c’era proprio rimedio.