Alla prima infornata

CIVILTA’ CONTADINA DI FINE OTTOCENTO  

AM PRIMA ‘NFURNATA (ALLA PRIMA INFORNATA) 

di Giulietta Livraghi Verdesca Zain

 

(…) Sul calare della sera, prima che gli usci si rinserrassero sull’intimità del desinare e il paese piombasse nel silenzio, le donne interessate a prenotarsi alla cottura del pane, si presentavano a una a una, chi a un forno chi a un altro, e come se stessero a pronunciare una parola d’ordine, annunciavano: “Ccumpagnata ti lla pruiténzia àggiu crisciutu lu lliàtu (“accompagnata dalla provvidenza ho approntato il lievito”). “Cu lla razzia ti Ddiu!” (“Con la grazia di Dio!”) rispondeva il fornaio, e subito chiedeva: “Pi quanti piézzi?” (“Per quante forme?”).

Poi, a precisazione ottenuta, si chinava a cercare fra la legna accatastata contro la parete un rametto di murtéddhra (mortella) che sfrondava lasciando sullo stelo tante foglioline quante erano le forme di pane che la donna intendeva cuocere. I rametti di mortella erano il suo promemoria: via via sommando il numero delle foglioline riusciva a meglio orientarsi sul numero delle prenotazioni, che ovviamente non dovevano superare i limiti di capacità del forno.

Pi quale ‘nfurnata?” (“Per quale infornata?”), tornava a chiedere prima di infilare il rametto in uno dei tre bicchieri allineati su una mensola e rappresentanti appunto le tre infornate che abitualmente si facevano a distanza di tre ore l’una dall’altra. Se la donna interpellata era contadina e perciò costretta a trovarsi fra i campi alle prime luci, la risposta non poteva essere che una: “Am prima ‘nfurnata, queddhra ti la Matonna” (“Alla prima infornata, quella della Madonna”).

setacci per la farina

 

La prima infornata infatti aveva luogo prima ancora dell’alba e veniva detta “ti la matonna” in rapporto a un’antica leggenda secondo la quale l’Arcangelo Gabriele, sceso dal cielo prima dell’alba ad annunziare l’incarnazione del Verbo, aveva trovato la Vergine Maria in preghiera, inginocchiata vicino a un tavolo sul quale aveva appena finito di impastare una pagnotta di pane d’orzo. L’annunzio dell’angelo aveva coinvolto anche la pasta, che, nella gioia, aveva accelerato i suoi ritmi di fermentazione; sicché, quando il fornaio era andato a prelevarla per la cottura, si era accorto ch’era già passata di lievitazione e quindi poteva considerarsi inservibile

Mma intra llu piettu la Ergine Maria

                    sintìa la ràzzia ca tutta l’ia rrinchiùta

                    puru la pasta, eddhra lu sapìa,

                    prisciàta era, filu nnacituta.

 

                   Pi quistu, a llu furnàru ja nsistùtu:

                   ‘nfurnala, tamme retta, ane sicùru,

                   ca ci la ‘nfurni no tti ttruéi pintùtu,

                   miràculu vitrai, ti lu ssicùru!

 

                   Ma in cuor suo, la Vergine Maria

sentiva la grazia che tutta l’aveva pervasa,

pure la pasta, lei lo sapeva,

contenta era, affatto inacidita.

Per questo al fornaio aveva insistito:

infornala, dammi retta, vai sicuro,

ché se la inforni non ti troverai pentito,

miracolo vedrai, te l’assicuro!

Per accontentare la Vergine, l’umile fornaio di Nazareth aveva infornato ugualmente la pagnotta, sistemandola però nell’angolo più periferico del forno, nel timore che il suo acido avesse a guastargli l’altro pane. Ma quale non era stata la sua meraviglia nell’aprire il forno! Quella pagnotta che credeva di trovare piatta e inacidita, era la più bella dell’infornata: pure essendo impastata con scura farina d’orzo si presentava bianchissima, e lievitando in modo strano aveva assunto la forma perfetta di un giglio, fra i cui petali si scorgeva un cuore segnato di croce. Una leggenda cara alle donne contadine, pronte a rivangarla con amore, quasi fosse usbergo alla loro fatica di impastare il pane a ore antelucane. (…)

 

Da “TRE SANTI E UNA CAMPAGNA”, Culti Magico-Religiosi nel Salento fine Ottocento, con la collaborazione di Nino Pensabene, Laterza, Bari, 1994 (pagg, 213-215).

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3 Commenti a Alla prima infornata

  1. Era un rito sacro quando si faceva il pane in casa. La sera prima si andava a cercare il lievito (in quei temPi non c’erano frigoriferi e allora le donne per disporre di lievito fresco se lo scambiavano), poi mia madre lo CRESCEVA cioè lo impastava con un po’ di farina e il giorno successivo era pronto per far lievitare il pane. Mentre mia madre faceva il pane non permetteva che si dicessero parole sconvenienti perchè c’era L’ANGELO. Se ciò accadeva lei si affrettava a dire “LLENDE L’ANGILU”. Quando stava per finire faceva alcune piccole forme di pane destinate ad essere regalate: LA PACE, LA MINNEDDHA, LA PUDDHICA.

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