di Massimo Vaglio
Se si domandasse ad un bambino salentino cos’è il miele, nella stragrande maggioranza dei casi si sentirebbe rispondere: è una sostanza dolce che si consuma a Natale con i dolci tradizionali e poi si tiene nella dispensa in caso di raffreddore, dolore di gola… Questo è purtroppo il marginale ruolo a cui, nonostante una leggera, recente inversione di tendenza, questo mobilissimo prodotto è ormai relegato nella maggior parte delle famiglie salentine. Eppure, questa è terra di grande tradizione apistica come testimoniato già dalla toponomastica di paesi come Melendugno (dono miele) e Melissano con l’ape inequivocabilmente immortala sull’arma civica. Inoltre, nonostante la maggior parte sia stata smantellata o distrutta dalla balorda furia vandalica di questi ultimi decenni, percorrendo la campagna salentina è ancora frequente imbattersi in degli alveari di pietra. Proprio così, gli alveari di pietra, come le torri columbarie e gli ancora meno noti puddhrari (pollai), sono un’altra delle peculiarità salentine, se ne trovano nelle masserie, nei giardini, nei curtali e nei dintorni delle antiche dimore di campagna, tanto in quelle gentilizie quanto in quelle contadine.
Hanno generalmente una struttura modulare essendo costituiti da diverse arnie in gergo: ocche, ucche o vucche, queste sono dei parallelepipedi in calcarenite locale lunghi 75 centimetri e con i lati minori che misurano 35 centimetri, questi sono stati resi cavi all’interno per tutta la lunghezza lasciando il bordo, dello spessore di circa cinque centimetri. Tre dei quattro lati interni si presentano perfettamente lisci, in quanto diligentemente intonacati, mentre un lato, quello che doveva costituire il soffitto dell’arnia si presenta grezzo, onde offrire un sicuro appiglio ai favi. I due lati rimasti aperti venivano rinchiusi con due lastre di pietra, una delle quali munita di due fori consentiva l’entrata e l’uscita delle api. Le operazioni di apertura delle arnie, per l’estrazione del miele e la pulizia delle stesse venivano fatte rimuovendo la lastra opposta a quella con i fori. Nel territorio di Salve esiste il più grande di questi alveari, l’Aparo Valentini un’ imponente originalissima struttura dotata pure di torre colombaia. Ancora nella metà dell’Ottocento queste arnie villiche costituivano l’unico mezzo per produrre il miele, ma nella seconda metà dello stesso secolo queste vennero bollate di irrazionalità da Alfonso Castriota Scanderberg autore nel 1876 di un trattato sull’allevamento razionale delle api e promotore di campagne di informazione miranti a convincere i possidenti di Terra d’Otranto all’utilizzo delle più razionali arnie a telini estraibili e dell’uso di un pratico ed igienico smielatore. Ciò nonostante, molte arnie di pietra sono rimaste in funzione sino alla metà del secolo scorso ed anche oltre, le ultime sono state forzosamente dismesse a causa della varroa un parassita di nuova introduzione che ha reso impossibile l’allevamento in questa forma.
Gli antichi scrittori georgici concordano tutti nel testimoniare tanto l’abbondanza di questa produzione, quanto la sua grande qualità riconosciuta e apprezzata anche nei mercati più importanti ed esigenti dell’epoca, un’eccellenza attribuita dal gastronomo Vincenzo Corrado come da altri autori alla cospicua presenza di timo.
Tale eccellenza è stata di recente avallata dai ricercatori di una prestigiosa università tedesca che hanno compiuto un’indagine su tutti i mieli europei, dall’analisi dei campionamenti effettuati durante le fasi di monitoraggio è emersa scientificamente la superiorità del miele salentino in termini di qualità organolettica e concentrazione di sostanze nutritive, in particolare di antiossidanti e di sali minerali.
Come mi riferisce Luciano Erroi apicoltore, conduttore di 800 arnie in regime di agricoltura biologica, oggetto anch’egli del monitoraggio: in tutti i mieli salentini (non solo nei suoi), non sono stati inoltre rilevati residui contaminanti, evidentemente assenti o comunque ben al di sotto della soglia minima rilevabile.
Le ragioni del primato del miele salentino, ricercate dagli stessi studiosi in un successivo sopralluogo, sono state attribuite al particolarissimo microclima locale, fortemente influenzato dal mare e dai venti, che determina anche le peculiari associazioni vegetazionali.
La legislazione italiana vieta assolutamente l’uso di antibiotici nella cura delle malattie delle api, cosa consentita in quasi la totalità delle altre nazioni. Vale dunque sempre la pena scegliere il miele italiano e ancora di più quello salentino.
Per esattezza bisognerebbe più correttamente parlare di mieli declinando la parola al plurale, tra quelli salentini possiamo distinguere due tipologie di millefiori: primaverile ed estivo. Il primo deriva dalla ricca fioritura di essenze erbacee, caratterizzato dalla colorazione chiara e dolcissimo. Il millefiori estivo scaturisce invece dalla fioritura delle essenze della macchia mediterranea e della gariga, di colorazione più scura del precedente, ha sapore marcato, molto piacevole e spiccate proprietà balsamiche.
Un altro miele pregiato è quello di eucalipto che presenta importanti e molteplici proprietà curative, ma che ha una marcata tendenza alla cristallizzazione.
Il pregiatissimo miele di timo arbustivo salentino (Thymus capitatus), è invece di colore scuro, odore penetrante e sapore peculiare e gradevolissimo. È un potente antisettico ed è anche un validissimo ricostituente, digestivo e stimolante.
Una notazione tecnica: le arnie salentine producono mediamente dai 12 ai 20 chili di miele l’anno, contro i 50 ed anche 70 chili che si arrivano ad ottenere in regioni come Calabria, Sicilia e Sardegna, nonché nella stessa Puglia nella zona del Gargano, tale circostanza ha fatto si che il Salento non destasse, come le altre aree elencate, gli interessi degli apicoltori del Nord, per cui è poco sfruttato ed offrirebbe, accontentandosi delle rese, una grossa opportunità per tanti giovani che volessero intraprendere questa affascinante attività.
Forse il segreto del primato dei mieli salentini si racchiude proprio nella fatidica, ineffabile equazione che sancisce che qualità e quantità sono inversamente proporzionali o per dirla al modo dei nostri vecchi nella circostanza che: il vino buono sta nella botte piccola, comunque, l’importante è imparare a ricoscere la qualità ed apprezzarla.
Modalità d’uso e conservazione
Il miele può sostituire lo zucchero in moltissime ricette, è ideale nelle preparazioni di dolci che non richiedono cottura o dove come nel caso dei nostri purciddhruzzi, viene aggiunto a cottura ultimata. Ovviamente è molto importante trovare sempre un miele che si adatta al cibo o alla bevanda, completandone il gusto o producendo un piacevole contrasto. Un’ottima bevanda dissetane si può realizzare con acqua, miele di timo salentino o di eucalipto e succo di limone. Il miele d’arancio sarà ottimo per dolcificare il tè freddo. Per quanto riguarda la cottura, la sostituzione dello zucchero con il miele richiede alcune modifiche alle ricette, dato l’apporto d’acqua presente nel miele e ove la ricetta lo prevede conviene aumentare leggermente la quantità di bicarbonato per tamponare un eccesso di acidità. La cottura di torte e biscotti onde evitare un eccessivo imbrunimento non dovrà essere molto prolungata e dovrà essere effettuata a temperatura più moderata, in quanto il fruttosio del miele caramellizza prima del saccarosio.
Nonostante il miele sia un alimento a lunga conservazione è bene ricordare che sono possibili alcune alterazioni dovute principalmente a umidità, luce e calore. Il miele, infatti è un alimenti igroscopico che tende ad assorbire l’umidità e gli odori dell’ambiente per cui deve essere conservato in barattoli sigillati ed in ambiente asciutto onde evitare possibili fermentazioni. La temperatura, influenza invece l’aroma ed i principi nutritivi, mentre al di sotto dei 10° C l’effetto è trascurabile, anzi per evitare completamente l’inconveniente della cristallizzazione, basta conservarlo a temperature al di sotto dello zero. Un dato da tenere presente alla nostra latitudine, è che due mesi a 30° degradano il miele come un anno e mezzo a 20°.
Pizzarieddhri cu lu mele
Friggete sino a dorarla, della mollica di pane di grano duro rafferma in olio di frantoio ben caldo e ponetela a perdere l’unto su di un foglio di carta assorbente. Cuocete i pizzarieddhri ( maccheroncini cavati fatti in casa) scolateli, poneteli in una scodella versatevi sopra del miele scaldato in padella, cospargete il tutto con la mollica precedentemente dorata e servite aromatizzando a piacere con cannella in polvere.
Ricotta cu lu mele
Tagliate a fette della ricotta di pecora, infarinatele, passatele nell’uovo battuto e friggetele sino a quando si presenteranno di un’invitante colorazione dorata. Servitele cosparse di miele riscaldato preferibilmente accompagnate da fettine d’arancia.
molto bello e completo l’articolo sul miele salentino.ho conosciuto una preziosa tipicità della nostra terra, che non pensavo di tale valore.Grazie e complimenti per l’impegno della redazione.
a Massimo, dopo i complimenti per l’egregio lavoro, vorrei chiedere come immagina la distribuzione degli “APARI” nel Salento Preistorico
Egregio Sig Pati, non ho assolutamente notizia di una qualche forma di apicoltura, nella preistoria salentina, ne’ mi risultano reperti archeologici o strutture in qualche modo collegabili, conto comunque di approfondire il discorso. Varie volte ho cercato di consultare studi archeologici compiuti dall’università del Salento, specie per ciò che riguarda le liste faunistiche compilate durante gli scavi in siti di diverse epoche. Purtroppo, nonostante varie richieste, non sono mai riuscito a visionarli, tanto che ormai dubito che queste liste faunistiche siano mai state compilate. Mi hai comunque messo di nuovo la pulce nell’orecchio, tornerò alla carica e magari potrò anche rispondere al tuo quesito.
Desidero sapere se il vs miele è puro!