di Rosario Quaranta
Il santuario di S. Maria della Mutata, posto a poco più di sei chilometri sulla strada che da Grottaglie porta a Martina, è dedicato alla Vergine Assunta ed è sito in quella che una volta era denominata la Foresta Tarantina, ai piedi dei monti di Martina, per cui è anche detta S. Maria in Silvis.
Una chiesa storicamente molto importante non solo per gli abitanti di Grottaglie ma anche dei paesi vicini che, in particolare la Domenica in Albis, successiva alla Pasqua, e il 15 agosto, festa dell’Assunta, vi accorrono ancora numerosi per venerarla.
Il sacro tempio, oggi affidato ai Padri Minimi di Grottaglie, è stato elevato a Santuario Mariano della città della ceramica e della diocesi di Taranto con decreto dell’arcivescovo Mons. Ferdinando Bernardi del 1 aprile 1954.
L’appellativo di Mutata è da riferirsi, secondo la tradizione, a un fatto prodigioso avvenuto nel 1359: “V’era un contrasto tra gli abitanti di Grottaglie e quelli di Martina per il possesso della detta chiesa; l’immagine della Madonna era dipinta sulla parete a Sud e guardava verso la Terra di Martina per cui i martinesi deducevano l’affermazione dei loro diritti; ma un giorno la stessa immagine venne ritrovata dipinta sulla parete a Nord guardando verso Grottaglie. Per tale repentino cambiamento è chiamata S. Maria di Mutata”.
Su tale titolo esistono, però, molte opinioni. Come spiega lo storico Ciro Cafforio nella sua monografia Santa Maria Mutata nell’ex feudo di San Vittore della mensa arcivescovile di Taranto,(Taranto 1954), è più probabile che “Mutata” si riferisca ai vari punti di riposo, di rifornimento e di cambio delle cavalcature anticamente dislocate lungo le strade e perciò il toponimo indicherebbe questa “mutazione”.
Nel 1634 l’antico tempio, risalente secondo alcuni storici al secolo X, risulta completo in tutte le sue parti, anche nella decorazione delle volte e delle pareti, come si rileva dalla data che corre sotto lo stemma dell’arcivescovo di Taranto cardinal Egidio Albornoz (1630-1637) dipinto al centro della navata maggiore, sulla porta interna dell’arco che guarda l’altare.
La facciata, molto semplice si suddivide in tre sezioni: le due laterali a superficie liscia hanno due finestre e terminano in alto a linea orizzontale. A coronamento della sezione di sinistra sorge l’edicola campanaria a vela, con due archi sotto i quali sono sospese le campane. La sezione centrale della facciata, più alta e più larga delle laterali, è animata da cinque lesene sulle quali si sviluppa un frontone triangolare con interruzione al vertice, nella quale si innesta una croce greca. La lesena di mezzo è annullata dal basso fino al capitello da due vuoti: la porta di entrata al santuario ha sull’architrave il motivo decorativo del frontone più in alto una nicchia contenente il simulacro della Vergine della Mutata in terracotta colorata.
L’interno della chiesa, escluse la sagrestia e le cappelle terminali delle navate, è a base quadrata, misurando m. 15 di lato.
La navata centrale, larga 8 m. è formata da tre campate con volte a crociera piuttosto basse e termina in fondo con l’abside sulla cui parete, in un grande armadio di legno del Seicento con intagli dorati e colorati su fondo bianco, si può ammirare il miracoloso Crocifisso risalente al secolo XV e ricordato nella visita di Mons. Brancaccio del 1577.
Ai lati sono inquadrate due piccole tele di buona fattura (sec. XVII), rappresentanti due episodi della passione: Gesù legato alla colonna e Gesù con la canna. Armadio e pitture sono della prima metà del Seicento.
Nella navata laterale, a sinistra entrando in chiesa, si eleva il primo altare, sul quale era collocata un’antica tela del primo Settecento riproducente la Vergine del Carmelo tra San Lorenzo e S. Francesco di Paola, trafugata alcuni anni fa. L’ultimo altare della navata sinistra, in origine intitolato a Santa Barbara, ospitava un grande quadro della martire e venne fatto dipingere da D. Antonio Ettorre nei primissimi anni del Settecento; venne poi rimosso per ospitare un quadro di San Ciro del Solimena, sostituito a sua volta con altro quadro raffigurante sempre S. Ciro, del pittore grottagliese Ciro Fanigliulo. Tutti questi quadri sono stati, purtroppo, rubati.
Nella navata destra, sotto la prima campata, s’innalza l’altare con la statua di S. Giuseppe in pietra calcarea dipinta, a grandezza naturale, in atto di condurre per mano il Bambino Gesù (sec. XVIII).
Fra i due pilastri che seguono, si apre una nicchia in cui fino a qualche anno fa si conservava una piccola e interessante statua romanica della Vergine in pietra bianca (sec. XII o XIII), ritrovata nei primi anni del Novecento sotto l’altare maggiore; recentemente restaurata è sistemata attualmente nella chiesa madre per motivi di sicurezza.
L’altare della Mutata s’innalza sotto l’arco estremo del braccio trasversale della croce. E’ sormontata da una trabeazione che poggia su quattro mezze colonne, due a destra e due a sinistra; al centro di queste, incassato nel muro è l’antico affresco risalente al periodo bizantino e più volte ritoccato della Madonna miracolosa.
La volta del tempio è in massima parte vivacemente affrescata da un ignoto pittore locale del primo Seicento, anche se l’opera risulta manomessa da infelici recenti interventi.
Notevole la cupoletta dell’altare della Vergine, tutta dipinta con l’apoteosi di Maria attorniata da stuoli di angeli e di santi. Nei ventagli sono dipinti i quattro evangelisti; intorno all’attico si aggira una lunga teoria di santi; nella calotta la Vergine Assunta, tutta raccolta in sublime e umile preghiera, è dipinta in atto di ricevere sul capo la corona da Dio Padre e dal Divino Figlio, mentre in alto volteggia lo Spirito Santo sotto forma di colomba
Segue sotto la terza campata l’altare dedicato a S. Cataldo (sec. XVIII) e quello di S. Francesco De Geronimo (metà sec. XIX).
Il pavimento maiolicato è formato da quadrelli verniciati di argilla con ornati geometrici o di foglie e fiori a colori uniti e decisi, tra i quali dominano il giallo, il celeste e il rosa su fondo bianco. Il manufatto, produzione dell’industria figulina locale, è di grande importanza, perché dimostra l’evoluzione e la continuità dell’arte ceramica grottagliese. Si possono individuare, infatti, pezzi e tipologie di epoca diversa (secc. XVII – XIX).
Ai piedi della Vergine della Mutata in questo chiesa, come è riportato nella visita pastorale del 1577 di mons. Lelio Brancaccio arcivescovo di Taranto, e come si ricordava in una tela conservata una volta e poi trafugata dalla sagrestia della chiesa di S. Francesco di Paola, l’eroe grottagliese Pietro D’Onofrio depose il vessillo che in battaglia aveva sottratto ai turchi in una battaglia avvenuta nei pressi di Rossano nel 1575. In seguito a quella vittoria egli ebbe il titolo di sergente maggiore e introdusse, nel giorno della sua festa, il “proelium iocosum”, ossia una finta battaglia dei cristiani contro i turchi.
Una battaglia commemorativa che si tenne fino al 1788, quando venne abolita per ordine di Mons. Capecelatro. Venne così tramutata in una più semplice “scamiciata” che si è tenuta fino al 1935.
In onore della loro protettrice, i Grottagliesi fecero realizzare a Napoli nel 1777 una splendida statua d’argento, opera di Lorenzo e Tommaso Telese, che si custodisce nella chiesa delle le monache clarisse.
Peccato per i quadri rubati di cui ci sono vaghe citazioni in alcuni libri. Ma ci sono foto o fonti su questi dipinti ?
santuario bellissimo…veramente bello. questo poteva essere un luogo x attirare migliaia di fedeli-turisti se fossè aperto tutto l’anno e se era circondato di ristoranti…hotel…bancarelle e altro intrattenimento… PECCATO VERAMENTE, poteva essere qualcosa di buono x il turismo e tanti posti di lavoro.
Il nome del cardinale arcivescovo di Taranto indicato come “Egidio” è errato. Il nome corretto è Gil Carrillo de Albornoz. Egidio Albornoz infatti è vissuto tra il 1310 e 1367 e non è stato mai arcivescovo di Taranto
Lo stemma cardinalizio presente nel santuario in effetti appartiene al cardinale Egidio Albornoz che però non fu mai arcivescovo di Taranto. l’Emblema dell’arcivesco di Taranto, Gil Carrillo Albornoz, oltre ad essere “interziato in banda” (come quello di Egidio) nel quarto superiore e in quello inferiore riporta l’emblema della Castiglia. E’ presumibile che chi ha voluto rendere omaggio al cardinale arcivescovo di Taranto ha preso un sonoro abbaglio, riproducendo lo stemma di un cardinale vissuto 3 secoli prima e che non ha avuto rapporti con la cittadina ionica
Leggo soltanto ora i due commenti di Franco e volentieri rispondo per confermare la correttezza di quanto da me esposto nell’articolo a proposito del cardinale Egidio Albornoz arcivescovo di Taranto, e cioè che egli:
1. Fu effettivamente alla guida della diocesi tarentina nel periodo 1630-1637.
2. Il suo nome è senza dubbio quello di Egidio Carillo Albornoz.
3. Nessun abbaglio è stato preso da chi nel 1634 ha voluto rendere omaggio al cardinale arcivescovo di Taranto, in quanto si riferisce a un personaggio realmente vissuto che attraverso i suoi vicari ha governato la sede di Taranto, come attestano molti documenti dell’Archivio Storico Diocesano di Taranto e dell’Archivio Capitolare di Grottaglie.
4. L’Egidio Albornoz cardinale e arcivescovo di Taranto, pertanto, è realmente un illustre personaggio omonimo a quello cui Franco si riferisce, vissuto nel XIV secolo.
Per altre notizie su questo personaggio cfr.:
Italia sacra sive de Episcopis Italiae, et insularum adjacentium, rebusque ab iis praeclare gestis … opus singulare, provinciis XX distinctum … auctore D. F. Ughello, Tomus IX, Romae Apud Sebastianum Coleti, 1662, col. 203; qui sono riportate lo stemma e le note seguenti: AEGIDIVS Carillus Card. Albernotius Hispanus Tarentinus Archiepiscopus renunciatus est anno 1630. 23 Septembris. Praefuit sed non resedit, annis 7 ac libere nuncium remisit. Romae defunctus die 20 Decembris 1649. sepultusque est in parva sed devota Ecclesia S. Annae in Quirinali. Inoltre:
O. SANTORO, Cronotassi episcopale della Chiesa di Taranto, in Taranto: la Chiesa / le chiese, a cura di Cosimo Damiano Fonseca, Mandese editore, Taranto 1992, pp. 137-138 (con bibliografia); e per quanto riguarda Grottaglie: R. QUARANTA, Archivio Capitolare di Grottaglie, in “Studi Salentini”. Rivista fondata da Pier Fausto Palumbo, a. LXXIX / 2002, Lecce 2004, pp. 40, 169, 258.