Vento di ponente sibilava, si schiantava sui frontoni delle chiese, intirizziva gli angioli ai palazzi, spingeva nuvolate nel paese. E alzava l’onde sopra i frangiflutti, feroce come un turco, rapinoso, acerbo fero astioso. Ormai annottava. Lui sprofondò nei vichi scuri scuri: un antro di sibille, rifugio di briganti, groviglio di ogni falso e di ogni vero, speculo del mondo, enigma, symbòlaion, cloaca sotto il cielo d’Oriente e d’Occidente. Si disse: Questa è notte di travaglio, notte di romanzeria miracolosa. Romanzeria, si disse; vorticosa: basta una figura, una passione un sortilegio, una prosa di strabilio; basta ‘l tinnito solo d’un sonaglio, ‘na diceria, sembianza di un tormento, basta una ricordanza d’altro tempo. Basta solo trascrivere le voci. Trascrivere le sorti basta: sorti decise da astri, fama o vizio, da mappe false, da oblio o memoria oppure da una storia traditora. Qui trovo fondo e sfondo, lui pensava, le materie della mia romanzeria. Avessi scoperto a vent’anni questo intrico, questa trama di vicoli, pensava. Poi si accostò agli usci e cominciò ad annotare i nomi, le preghiere, le leggende, le furie, le misture di lingue, di segreti. Annotava. All’alba tornò ai bastioni.
Disse al ragazzo: tieni è tutto qui. Mi manca solo un sogno che non ho fatto in tempo a scrivere, un sogno che non riesco a ricordare. Cercalo tu se per la tua romanzeria un sogno ti può fare utile gioco.
A mare s’era fatto fortunale.
Lo rileggo volentieri e ogni volta Antonio Errico mi fa “sognare” con le sue piccole e grandi Romanzerie.