Giuseppe Massari e Liborio Romano: due modi di fare l’Italia unita.
Nico Perrone: L’agente segreto di Cavour
di Vittorio Zacchino
Il nome di Giuseppe Massari (1821-1884) si lega ad una inchiesta sul brigantaggio nel Mezzogiorno e al resoconto della medesima in Puglia e nel Salento nel corso del sanguinoso 1863. Nel primo quinquennio post–unitario (1861-1865) si era registrato l’avvelenamento dei rapporti tra chiesa e stato, e di quelli tra clero retrivo e cittadini, l’imbarbarimento del vivere civile, il moltiplicarsi di grassazioni brigantesche nei boschi dell’Arneo e nelle macchie del Basso Salento tra Supersano e Calimera.
Le bande di Pizzichicchio, dello Sturno, del Venneri, avevano sfidato la Guardia Nazionale, protette dal basso clero e da molti nostalgici, giungendo a uccidere il vicesindaco di Taviano Generoso Previtero e il prete don Marino Manco di Melissano.
L’inchiesta del moderato Massari, nonostante conclusioni di forte valenza sociale, era stata pressoché elusa dal governo di Torino che aveva continuato a considerare il brigantaggio meridionale appena un episodio da relegare nelle cronache criminali e da espellere dalla storia dell’unificazione italiana (Doria). Tanto che il parlamento nell’agosto 1863 aveva approvato la legge Pica che affidava la repressione del brigantaggio alle autorità militari e puniva la resistenza armata con la fucilazione immediata. Migliaia di contadini meridionali furono spietatamente giustiziati .
Nico Perrone nel suo recente libro L’Agente Segreto di Cavour. Giuseppe Massari e il mistero del diario mutilato (Palomar 2011) biografa un Massari concreto il quale, condannato a morte dal Borbone nel 1848, era esulato a Torino, per essere poi eletto deputato a Bari nelle elezioni del 1861, quindi segretario di Cavour. Al fianco del premier torinese il tarantino Massari aveva partecipato ad incontri politici importantissimi verbalizzandone i colloqui, spesso svolgendo incarichi e missioni segrete di carattere unitario per conto del Conte. In questo agile e scorrevole libretto Perrone ci dà una sobria biografia riprendendo alcuni dei leit motiv del precedente libro L’Inventore del trasformismo. Liborio Romano strumento di Cavour per la conquista di Napoli (Rubbettino 2009). In buona misura le due opere sono complementari tra di loro e gettano nuova luce sul periodo cruciale Giugno-Settembre 1860, quello che coincide con l’Unificazione e il passaggio del Regno delle Due Sicilie dalla dinastia dei Borbone a quella dei Savoia.
Torna in campo nel libretto di Perrone il presunto tradimento di Romano, il più discusso personaggio dell’Ottocento meridionale, a danno di Francesco II, dove il Massari discreto o reticente del Diario salta a piè pari il periodo 24 marzo – 18 settembre 1860, calandovi l’oblio assoluto, per una qualche presunta forma di riguardo, secondo l’autore, all’improbo conterraneo.
Si deve mettere nel conto il fatto che Cavour non aveva perdonato a Romano di avergli preferito il guerrigliero repubblicano Giuseppe Garibaldi e di aver snobbato, se non tradito, il suo piano di conquista e di annessione armata delle Due Sicilie alla monarchia sabauda, tramite la sollevazione della popolazione di Napoli affidata a Romano. Dal canto suo il ppòppeto Romano, non meno fine politico, aveva pensato bene di dover risparmiare al Mezzogiorno l’umiliazione della conquista.
Quanto al diario massariano, non pare possa parlarsi di mistero, a proposito di pagine letteralmente recise a vantaggio di qualcuno. Di chi? Perrone crede a beneficio di don Liborio che secondo lui, dopo l’Unificazione, non valeva un bel niente, e per questo gli avrebbe fatto lo sconto di tacere sulla sua condotta di trasformista e traditore. Una valutazione che è poco convincente sul piano storico. Intanto perché Romano era temutissimo per il suo trionfo elettorale in otto collegi, e naturalmente mal visto da quasi tutti i colleghi meridionali, i cosiddetti consorti devoti a Cavour e all’accogliente Torino.
Dal mio modesto punto di vista ritengo, invece, che il silenzio del diario sia stata operazione messa a punto proprio da Massari, l’unico che potesse programmarla per compiacere al proprio principale, il quale non ne sarebbe uscito affatto bene se si fosse venuto a sapere degli intrighi segreti con Romano. Altro che mutilazione per riguardo a don Liborio! La risposta ce la dà l’interpellanza “scenica” che lo stesso Massari, di concerto col suo capo, fece alla Camera, il 2 aprile 1861, intorno all’amministrazione delle province meridionali, sollevando la questione morale e sottolineando la mancanza di probità politica dell’uomo più suffragato d’Italia che si era prorogato al ministero.
A Perrone tuttavia va riconosciuto il merito di averci offerto due ritratti contrapposti di politici meridionali del risorgimento: l’uno del trasformista Romano, la testa migliore dell’ex reame il quale, grazie al successo in otto collegi alle politiche del 1861, si veniva proponendo come il più rappresentativo deputato meridionale, e in prospettiva futura come il capo di un temibile partito del Mezzogiorno. L’altro del devoto burocrate “consorte” Giuseppe Massari, funzionario onesto ma conformista gravitante nell’orbita del grande Cavour, convertito come tanti altri meridionali ad una visione sabauda, italiana, e vagamente europea. Alleggerita certo delle angosce, tensioni, amarezze di chi, come il conterraneo di Patù, tendeva a guardare più oltre ad una Italia federalistica e rispettosa delle autonomie amministrative del Mezzogiorno, e soprattutto pensosa delle sue drammatiche condizioni.
Si intravede in ogni caso in questa pagine un’Italietta di comodo, che cinicamente sacrificava i problemi del Sud al processo unitario nazionale, per poi eluderli e rinviarli all’infinito. La quale Italietta non avrebbe mai potuto onorare, ieri e oggi, un <<traditore>> della risma del meridionalista Romano. E tanto peggio per lui, se la storia lo avrebbe cementato nell’oblio. Come Sergio Reggianì nel film Il giorno della Civetta tratto da Sciascia. Cancellandolo dal Diario, Massari si era dato probabilmente il medesimo obiettivo.
In ogni caso il lavoro di Perrone serve a dimostrare ancora una volta, attraverso il confronto tra queste due diverse posizioni di patrioti salentini, che la fortuna di un meridionale di solito non riesce ad emergere se non venga adeguatamente benedetta e sponsorizzata da qualche mammasantissima. Magari di oltre Po.
(pubblicato su Presenza Taurisanese – Marzo 2012)