di Nicola Morrone
Durante le nostre peregrinazioni nei luoghi istituzionali della cultura (musei, archivi, biblioteche) ci e’ capitato nei giorni scorsi , auspice un fortunato riferimento bibliografico, di rinvenire un antico codice, ritenuto dagli studiosi ormai definitivamente perduto, al pari di tanti altri importanti documenti relativi alla storia di Manduria. Si tratta di un codice manoscritto, conservato nell’Archivio di Stato di Lecce, precisamente nel Fondo “Intendenza di finanza, Platee dei Monasteri soppressi”. E’ un volume cartaceo, di cm. 25,5 X 37 , composto di 115 carte numerate, alcune delle quali bianche, in discreto stato di conservazione, intitolato ”Campione, Codice et Inventario maggiore di tutti stabili, et annui censi, che possiede il Venerabile Convento del SS. Rosario, seu della Pace dell’Illustrissima Religione di Santo Domenico, della Terra di Casalnovo”. In concreto, il volume manoscritto è una “platea” (o inventario, o stellone, o cabreo, nelle diverse denominazioni), cioe’ lo strumento fondamentale di cui si dotarono nei secoli i monasteri allo scopo di ricostruire con precisione il patrimonio posseduto, e di poter garantire un corretta ed efficace amministrazione di beni di diversa provenienza, che soprattutto nei secoli XVII e XVIIII iniziarono ad arricchire i monasteri stessi, e soprattutto per prevenire eventuali usurpazioni a danno dei beni posseduti, che , spesso distribuiti su ampie superfici territoriali, erano difficili da controllare.
Il documento in oggetto, come ogni “platea” monastica, descrive con estrema precisione (naturalmente per un arco di tempo limitato, cioè grosso modo il sec. XVIII) i diversi beni immobili posseduti, costituiti per lo più da fabbricati (abitazioni e masserie) e beni fondiari (orti, vigneti e uliveti). Ancora vengono descritte nel codice le donazioni fatte a vario titolo, i pesi delle messe annue per legati pro-anima effettuati in favore del monastero, con l’annotazione puntigliosa della notizia dei relativi istrumenti notarili.
Il ritrovato “Campione” del Convento dei Padri Domenicani di Manduria (che allora si chiamava ancora Casalnuovo), visionato verosimilmente, prima della nostra scoperta, dal solo Tarentini (che lo utilizzo’ per la redazione del relativo capitolo della sua Manduria Sacra uscita nel 1899) è un documento estremamente interessante, non solo perchè permette di ricostruire, al pari di tutte le Platee conventuali , la storia economica di un’importante istituzione monastica in un preciso ambito territoriale (nel nostro caso quella domenicana, fondata in Casalnuovo alla fine del sec. XVI e soppressa agli inizi del sec. XIX), ma anche perchè fornisce, non di rado, oltre a un preciso ragguaglio storico-giuridico sulla fondazione dell’istituzione stessa, utili notizie relative alla fabbrica del Monastero e della Chiesa ad esso pertinente.
E proprio con il desiderio di “spigolare” qualche notizia relativa alla storia architettonica ed artistica della Chiesa del Rosario ci siamo in verita’ accostati a questo ponderoso documento, che non ha mancato di fornirci poche, ma utilissime indicazioni in tal senso.
Il compilatore del Codice manoscritto, l’anno di conclusione del lavoro (parziale, poiche’ il codice e’ stato puntualmente aggiornato nel corso dei decenni del sec. XVIII) ed alcune curiosita’ sono precisati nella carta 1 v, in questi termini: ”Nell’anno 1697 questo libro fu scritto e finito dal Dottor Ottavio Marrazza di questa terra [Casalnuovo], con grandissima fatiga. Il medesimo ha difeso d’Advocato questo Convento per anni trenta gratis, percio’ supplica li R.di Padri e fratri a questo Convento assignati, e venturi, che si degnino pregare Dio per la salute dell’anima sua, di sua moglie e dei suoi discendenti. Amen”.
Nella pagina successiva è riportato, in transunto (cioè in copia), un documento di fondamentale importanza, cioe’ la Bolla episcopale di fondazione del Convento. Traducendola (e’ scritta interamente in latino), si apprende che in data 11 Novembre 1572, sotto il pontificato di Papa Gregorio XIII, il vescovo di Oria Mons. Bernardino de Figueroa, arcivescovo di Oria-Brindisi (la separazione tra le due diocesi avverra’ piu’ tardi, precisamente nel 1591) concesse ai frati dell’Ordine Domenicano il consenso di costruire un convento nei pressi della chiesa di San Giorgio, fuori dalle mura di Casalnuovo, dalla parte della tramontana (cioè a nord). Rientra nella logica dell’ordine domenicano il fatto di costruire fuori le mura della città: francescani e domenicani, in quanto ordini mendicanti e “borghesi”, si insediano storicamente appunto nel borgo, cioè fuori dalla citta’ murata.
Oltre alla preziosa Bolla di fondazione (che, come gia’ detto, il Tarentini utilizzo’ nella compilazione della sua ancor oggi fondamentale opera sulla storia religiosa di Manduria) nel codice manoscritto da noi ritrovato c’e’ anche una sintetica descrizione della Chiesa del Rosario e del Convento, cosi’ come era possibile verificare alla data di compilazione del documento, cioe’ nel 1697.
La Chiesa risulta suddivisa in una decina di cappelle, pressappoco corrispondenti a quelle attuali, ciascuna caratterizzata dalla dedicazione a un santo, e identificata dal relativo altare. E ad ogni cappella corrispondevano uno o piu’ legati pii , cioe’ obblighi di celebrare un certo numero di messe a vantaggio dell’anima di un defunto, solitamente un membro del patriziato cittadino, che lego’ cosi’ per sempre il suo nome alla chiesa dei Domenicani. E proprio sulla base dei patronati delle singole cappelle, puntigliosamente indicati nella platea, attraverso un confronto con gli stemmi nobiliari ancora oggi collocati sul fastigio dei singoli altari, si puo’ verificare la rispondenza dei dati d’archivio alle informazioni che la configurazione attuale degli altari medesimi suggerisce, e tentare cosi’ una ricostruzione storica dei patronati nobiliari rispetto ad una delle piu’ importanti chiese della Manduria moderna.
Rispetto alla problematica storico –artistica, il codice manoscritto e’ comunque , in generale, piuttosto laconico (a differenza, per esempio, del Campione della chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, o di quello della Chiesa Matrice, che descrivono minuziosamente altari ed arredi), tranne che per la Cappella di San Vincenzo Ferrer, di cui e’ indicata in dettaglio la vicenda artistica ed architettonica. E’ quest’ultimo, evidentemente, il dato storico –artistico piu’ interessante che emerge dalla lettura dell’intero manoscritto, che ci permette di stabilire un vero e proprio punto fermo riguardo la costruzione di un altare , ancora oggi esistente, e del suo corredo pittorico.Alla carta 14 v del codice si legge infatti , circa la cappella di San Vincenzo Ferrer, che fu “eretta nell’anno 1702 dall’Eminentissimo Cardinal Ferrari di Casalnuovo, con un capo altare di pietra di Lecce lavorata, con un quadro di San Vincenzo, e sopra, un altro della Vergine.” Questa indicazione cronologica sincrona fornita dall’anonimo compilatore ci permette di stabilire con certezza, cioe’ su base documentaria, che uno dei due meravigliosi altari di pietra leccese della chiesa del Rosario fu realizzato nel 1702, e nel medesimo anno furono realizzati i due dipinti che lo corredano, che tra l’altro sono tra i piu’ belli ( e qualitativamente sostenuti) di tutto il patrimonio pittorico mandurino. La data delle’esecuzione del dipinto della Predica di San Vincenzo Ferreri , opera del noto pittore Francesco Trevisani da Capodistria (1656-1746), fatta risalire da studi recenti al 1705 circa , va quindi anticipata di tre anni.
Risulta al tempo stesso definitivamente precisata al 1702 la data di esecuzione del dipinto della Madonna col Bambino, di ambito romano marattesco, che occupa il fastigio del medesimo, pregevolissimo altare barocco. Il documento, purtroppo, non precisa chi furono gli artefici del suddetto altare barocco in pietra leccese; a questo proposito, a meno di ulteriori, fortunati ritrovamenti documentari, per il momento solo un serrato confronto stilistico-tipologico potra’ permettere di attribuire, in via ipotetica, quest’imponente opera ad una precisa maestranza di scalpellini leccesi operante comunque tra i secoli XVII e XVIII.
In ultimo, il “Campione” non manca di precisare, alla carta 2v, il numero dei consacrati presenti nel Convento domenicano alla meta’ del ‘700: nel 1760 erano in servizio al Rosario di Manduria tredici frati e cinque laici.
Alla fine della nostra breve disamina, occorre comunque spiegare perche’ un documento come quello da noi esaminato, approntato per le esigenze di un ente ecclesiatico, si trovi collocato in un fondo archivistico “estraneo” quale quello della Intendenza di Finanza di Terra d’Otranto, poi confluito, con altri documenti di natura amministrativa e contabile, nell’Archivio di Stato di Lecce. Invero, dopo essere stato detenuto dal Monastero dei Domenicani, il codice manoscritto, in seguito alla soppressione dell’Ordine Domenicano stabilita dalla legge murattiana del 7 Agosto 1809, n. 448 (che faceva seguito al decreto del 13 Febbraio 1807, ordinante la soppressione degli ordini religiosi benedettini possidenti con le loro affiliazioni) e’ stato incamerato , con gli altri beni del convento, nel Demanio dello Stato. Gli uffici finanziari statali che si sono occupati dell’amministrazione dei beni dei conventi e monasteri, interessati dalle soppressioni murattiane e risorgimentali, hanno rilevato il codice manoscritto, che e’ stato poi, dopo successivi passaggi, traferito all’intendenza di Finanza di Terra d’Otranto. Da questa e’ stato poi versato all’Archivio di Stato di Lecce, in cui attualmente si trova ed e’ liberamente consultabile, insieme alle platee di altri monasteri salentini soppressi.