di Massimo Vaglio
In più occasioni, abbiamo illustrato i formati caserecci di pasta della tradizione salentina, dalle fatidiche orecchiette, da sempre l’emblema della cucina di questa regione, alle ormai parimenti famose sagne “ncannulate” o agli arcaici maccheroncini cavati. Tutti formati che ormai vengono apprezzati anche fuori regione anche grazie all’opera di promozione svolta dalle tante dinamiche aziende produttrici.
Per quanto riguarda la preparazione casalinga di questi formati, ricordiamo che le farine vengono quasi sempre ricavate da grani duri coltivati localmente e moliti artigianalmente dai tanti piccoli molini sparsi un po’ in tutto il Salento, Non si tratta quindi di semole, ma di farine, con un vario grado di raffinazione a cui, spesso, chi preferisce un prodotto più rustico vi aggiunge ad arte una percentuale variabile di cruschello ricavato dall’abburattamento della farina dopo la separazione della crusca vera e propria.
Quella della preparazione casalinga della pasta è una pratica semplice che necessita principalmente di una buona materia prima, pochi rudimentali attrezzi e di una sicura manualità.
Il Salento, è però anche terra di rinomati opifici per la produzione industriale di pasta secca trafilata, un’attività che non scaturisce come si potrebbe pensare dall’evoluzione della preparazione casalinga della pasta. Enorme è infatti il divario tecnologico tra le due produzioni, che se si volesse fare un parallelo è come se si mettessero a confronto una carriola con una potente auto di ultima generazione. Un divario tecnologico che parte dalla produzione della semola, per produrre la quale occorrono macchinari imponenti, sofisticati e precisissimi quali i molini di alta macinazione. Piuttosto, la produzione industriale rappresenta il frutto della lenta evoluzione di un’attività che, iniziata sotto l’influenza araba, in Sicilia in quel di Trabia nel XII secolo, ben presto si diffuse in Liguria, e già nel XIV secolo era fiorente anche in Puglia.
Come attesta Vincenzo Corrado nel suo: Notiziario delle produzioni particolari del Regno di Napoli, edito a Napoli nel 1792, produzioni di pasta di qualità sopraffina si facevano nel barese in particolare ad Acquaviva delle Fonti e a Gravina, mentre nel Salento era Brindisi a detenere questo primato, con un gran numero di maestranze, soprattutto donne, impiegate in questa fiorente produzione, di cui, a suo dire, data l’eccellente qualità, si faceva larga esportazione.
Una legge murattiana del 17 luglio 1810, impose in tutto il Regno di Napoli, l’obbligo del conseguimento di una patente da parte dei fabbricanti di paste alimentari, dai registri dell’epoca si evince il gran numero di attività presenti. Nel 1840, nasce a Torre Annunziata la prima vera industria italiana delle paste alimentari, munita di innovativi torchi idraulici e di razionali essiccatoi. Sino ad allora i pastifici erano stati attrezzati di “ingegni” a vite, questa innovazione grazie alle maggiori pressioni di esercizio avrebbe di fatto consentito di impastare le semole con una minore percentuale d’acqua aumentando notevolmente la qualità della produzione.
Trenta anni dopo, nascono a Bari due importanti pastifici industriali quello di Giuseppe Avella con cinque torchi idraulici Pattison di 16 HP cadauno e quello più piccolo della ditta Pasquale De Filippis. Alla fine dell’800 nella sola Bari lavorano 20 pastifici e se ne contano ben 120 nell’intera provincia. Tanti i pastifici industriali impiantati fra la fine dell’800 e i primi decenni del 900 anche nel Salento: a Corigliano d’Otranto il pastificio Vincenzo Barrotta con annesso molino a cilindri e il pastificio Pedone; a Nardò se ne contavano ben cinque, i più importanti dei quali erano il pastificio Ottorino Vaglio con annesso molino a cilindri di alta macinazione e quello di Luciano Personè; a Maglie erano presenti i pastifici Giuseppe Romano e Benedetto Cavalieri; il pastificio Filotico a Manduria e tutta una serie di altri opifici più piccoli quali il pastificio Benegiamo di Cutrofiano, il Marati di Martano, la trafileria Giannelli di Parabita …
Molti di questi stabilimenti, ampliati o sorti nel florido periodo che va dal 1918 al 1926 non avrebbero resistito alla grande depressione provocata nel “26 dalla brusca variazione del governo in tema di politica valutaria, che portò ad una rivalutazione della lira di circa il 40% rendendo così più difficile l’esportazione delle produzioni. Seguì nel “29 la più grande crisi del commercio mondiale che portò repentinamente alla contrazione di un terzo negli scambi commerciali e a dare il colpo di grazia ci pensò nuovamente il governo, avviando nel “33 una politica economica che condusse l’Italia verso l’ autarchia. Non possiamo sapere con certezza quale delle tre congiunture citate sia stata la più deleteria per l’industria pastaria salentina, quel che è certo, è che l’autarchia l’ha danneggiata pesantemente, i grani di produzione locale non sono granché adatti alla produzione di semole di qualità, in quanto anche le varietà più idonee qualila Senatore Cappelli e le Saragolle, nelle riarse terre salentine, vanno ampiamente incontro a “bianconatura” e conseguentemente danno semole con ridotta percentuale di glutine.
I grani di buona qualità prodotti nel Tavoliere delle Puglie e nelle zone collinari dell’ Abruzzo e delle Marche non sono mai stati sufficienti ad alimentare l’industria nazionale, che per raggiungere standard qualitativi ottimali ha sempre avuto bisogno dei grandi grani di forza della Russia o del Nord America.
Oggi, nel Salento i pastifici si contano sulle dita di una mano. Il più grande è il pastificio Tandoi Pellegrino a Corigliano d’Otranto, che oltre allo storico brand Pedone, produce pasta per grandi aziende commerciali qualila Barilla e pasta biologica. Fra i pastifici storici, quello mai passato di mano, è il pastificio Benedetto Cavalieri, sorto nel 1918 e portato all’eccellenza dall’omonimo nipote, riconosciuto modello per molti produttori di qualità. Ha conservato volutamente una dimensione artigianale, anche un po’ imposta dalla lentezza nella lavorazione. Si propone sul mercato con due linee: la “Terra d’Otranto” più commerciale, ma pur sempre con un ottimo rapporto qualità prezzo, e con la prestigiosa linea “Benedetto Cavalieri”, considerata da grandi esperti la migliore pasta alimentare italiana e che annovera fra gli utilizzatori cuochi stellati del calibro di Gualtiero Marchesi, Massimiliano Alajmo e Carlo Gracco.
Il segreto? – Le migliori semole del mondo, lentezza e delicatezza,“questo è il metodo”, risponderebbe con algida semplicità Benedetto Cavalieri, ormai per tutti , il “signore della pasta”. Un virtuoso esempio seguito nel solco della qualità altre aziende salentine, piccole, ma di qualità, come Italian Taste s.r.l. di Maglie, giovane realtà, che gode dell’esperienza imprenditoriale della famiglia Doria, si propone con formati innovativi, ma legati alla tradizione nelle materie prime in primis l’orzo e il farro.
Ultimo nelle dimensioni, ma certamente fra i primi in Italia per qualità è il Pastificio del Duca di Parabita, di Daniele Marsano, un’artista a tutto tondo che dopo aver lasciato il segno nella musica con ardite ed originali sperimentazioni sonore è stato rapito dal fascino della trafilatura, ove, raggiunti i parametri di eccellenza con la linea classica, sta mietendo qualificati consensi con la sua “pasta funzionale”, ovvero con tutta una gamma di formati integrati con altri alimenti: cacao amaro, vincotto, mandorle, pomodoro, vino Primitivo, vino Negroamaro, birra “Verdi Imperial Stout”… solo, prodotti eccellenti che non si limitano ad aggiungere colore, bensì gusto e nuove proprietà nutrizionali, il tutto senza compromettere il reticolo proteico e la conseguente tenuta in cottura della pasta. Nessun segreto, ma una lunga, seria e meticolosa sperimentazione, un’attitudine collaudata nella musica ed oggi votata alla ricerca del meglio, questo è il suo metodo.
Pasta, istruzioni per l’uso
La pasta si divide in due grandi categorie: secca e fresca. Quella secca, in base alla legge 580 del 1967, deve essere prodotta esclusivamente con semola di grano duro ed acqua. L’aggiunta anche parziale di farina di grano tenero, costituisce frode. Secondo la migliore tradizione si ottiene da semole di grano duro ricche di glutine, impastate con una percentuale d’acqua che va da 18 al 35%. Il composto viene impastato e pressato (gramolatura), poi sagomato attraverso un disco di bronzo, rame o teflon traforato in numerosissime forme (trafile). Segue il processo di essiccazione, che può essere naturale o industriale e di confezionamento. Per fare una buona scelta è bene orientarsi su paste trafilate al bronzo e sottoposte ad un processo d’essiccazione più lento e naturale possibile che salvaguarda di gran lunga la tenuta in cottura, il gusto ed i principi nutritivi che invece vengono largamente denaturati nei processi industriali ad alta temperatura.
La valutazione di qualità della pasta a crudo deve tenero conto dei seguenti fattori:
– la superficie si deve presentare uniforme, liscia, ma leggermente porosa onde permetterle di trattenere il condimento;
– spezzandola, deve emettere un suono secco e mostrare una frattura lucida e spigolosa;
– il colore deve essere giallo ambrato e omogeneo, senza puntinature evidenti, indice di lavorazioni imperfette o dell’aggiunta di farine di grano tenero;
– in cottura deve emanare un buon profumo di grano e deve essere moderatamente sapida;
– dopo essere stata scolata deve rimanere tenace ed elastica e non deve incollarsi né perdere compattezza;
– non deve disperdere amidi nell’acqua facendola divenire lattiginosa.
Vi invio pure questa gustosa poesia in vernacolo sui maccheroni del poeta salentino Francesco Morelli (Squinzano 1878-1965)
Li Maccarruni
Racoste, cernie, tregghie, jaddruzzi, cutulette
e ficatu rustutu, gnemmarieddri e purpette,
turdi allu spitu, liepri, genovese, risotti,
àunu alla cacciatora, rusbiffi, panzarotti,
òstriche, pizze rustiche, spizzatieddru, frittate
e purpi alla pignata, sardelle racanate,
satizza, sangunazzu e calamari fritti,
carne alla pizzaiola, uddratieddri suffritti,
frittura de carcioppule, prisutti, murtatelle,
minìtule allu furnu, cirveddre, mozzarelle,
su’ cose cannarute, su’ cibi te sustanza;
però nu suntu piatti, ca bbìnchianu la panza.
Su’ Pietanze pregiate pe gustu e pe sapore,
ma su’ li mmaccarruni li beddri te lu core.
Pastu nu su’ te lussu, a tutti su’ cratiti,
comu li faci faci, su’ sempre sapuriti:
a brotu, cu la sarsa, allu furnu, scarfati,
àgliu ògliu, culle sarde, te casu mpurvirati,
cu lla ricotta frisca o sckante, cu lle cozze,
misi a cocere luenghi o puru fatti a stozze.
Sempre su sapuriti: o suntu perciatelli
o zzite, menze zzite, zzitoni, vermicelli,
pinne, sciabò, cagghiubbi, làiane, bucatini,
linguine, sagne ricce, stacchiodde, filatini.
Ognunu, cu la fame, fusce ntr’alla cucina
cu llu piattu a nna manu all’autra la furcina,
ogni tantu li proa, cu vìscia la cuttura,
e, a via te ssaggi, spiccia ca scumbra la firsura.
oltre che nutrimento del corpo, anche dell’animo….
E’ sempre piacevole leggere questi piatti , specialmente se si è lontani da Lecce … Anche se li facciamo in casa , ma leggere il dialetto è a dir poco una favola … sembra quasi d’essere lì … ohi , che nostalgia :(
Come devo dire , che è un vero piacere , fare queste prelibatezze , e gustarle ! Una buona Domenica a Voi tutti che scrivete questi articoli . Sandra