di Massimo Vaglio
Sotto la generica denominazione di origano (Origanum spp L. 1753), si identificano delle piante appartenenti alla famiglia delle Labiate, il cui genere è costituito da una ventina di specie, quasi tutte aromatiche, alcune con caratteri erbaceo-perenni, altre costituite da arbusti sempreverdi o a foglie semi-permanenti.
I fiori sono allungati a forma di imbuto, generalmente riuniti in piccoli mazzetti e vanno a formare delle spighe; caratteristica del genere è anche la vistosa presenza di brattee che sovente accompagnano la fioritura, che avviene nella tarda primavera ed in autunno. Le foglie sono, quasi per tutte le specie, di forma ovale. L’altezza della pianta varia a seconda della specie; quelle arbustive possono raggiungere anche gli 80 centimetri di altezza, mentre quelle erbacee, sono generalmente alte dai 25 ai 50 centimetri.
Il nome Origanum, deriva dal greco “oros” (monte) e “gànàos” ( ornamento), alludendo al fatto che queste piccole labiate costituiscono un ornamento per le alture più aride e rocciose. Secondo alcune civiltà l’origano ha un’origine sacra; nell’Estremo Oriente era sacro a Shiva e Visnù e le sue piante caratterizzavano le adiacenze dei grandi templi buddisti. Come pure la presenza di un vaso di origano sulla soglia di un’abitazione era il segno che in quella casa abitava una persona religiosa e con l’interesse verso la ricerca interiore.
Secondo gli storici l’origano giunse in Grecia con Alessandro Magno, in occasione della conquista della Macedonia, non tardando a divenire ben presto sacro anche presso gli antichi Greci, secondo le cui credenze bastava carezzare le sue foglie per sentirsi confortati e ritrovare la calma, come se questo contatto li mettesse in comunicazione con le divinità.
Dalla Grecia l’origano giunge anche a Roma ove viene presto apprezzato per le sue proprietà terapeutiche e gastronomiche ben codificate da Plinio che chiama la pianta “amaracus”, dal greco “amàracos”, ossia, che emana profumo.
Nella flora italiana sono presenti diverse specie di origano la più diffusa è il cosiddetto origano comune (Origanum vulgare L.). Questo è caratterizzato da fiori rosati ed è diffuso e frequentemente coltivato in tutto il centro-nord. Una specie decisamente meno comune è l’origano cretico (Origanum onites L.), specie originaria dei paesi del Mediterraneo orientale, presente limitatamente ai territori di Catania e Siracusa.
La specie che interessa il Salento è l’origano meridionale (Origanum heracleoticum L.). In Italia è diffuso anche in Sicilia, in altri limitati contesti delle regioni a clima più caldo e nei Balcani. Il suo habitat naturale è costituito da luoghi aridi, rocciosi ed esposti a pieno sole, quali gli arbusteti mediterranei e le garighe degradate del Salento. Presenta habitus perenne, tipicamente sufruticoso, base lignificata e parti terminali erbacee; ogni sua parte è coperta da una sottile peluria biancastra e le foglie, provviste di picciolo, presentano una lamina ovata disegnata dalle nervature assai appariscenti. I fiori sono piccoli, bianchi, raccolti in infiorescenze poco affollate e costituiti da una corolla bilobata bianca lunga appena pochi millimetri. Questa specie meridionale è da considerasi l’unico e vero origano da cucina, infatti l’altra specie maggiormente diffusa ossia l’Origanum vulgare per quanto abitualmente usato nell’Italia settentrionale come aroma per la pizza, presenta tuttavia un aroma più acre e decisamente meno fine, che non lo rende adatto agli usi gastronomici, anche se, al pari di quello meridionale, può trovare utilizzazione nel campo officinale. Presenta habitus perenne tipicamente sufruticoso (base lignificata e parti terminali erbacee); ogni sua parte è coperta da una sottile peluria biancastra e le foglie, provviste di picciolo, presentano una lamina ovata disegnata dalle nervature assai appariscenti. I fiori raccolti in infiorescenze poco addensate e appiattite ai vertici sono piccoli e costituiti da una corolla bilobata bianca lunga appena pochi millimetri. Emana un aroma piacevolissimo spiccatamente aromatico e dona agli alimenti cui si accompagna un gusto piacevolmente amaro.
Sotto il profilo officinale le caratteristiche delle diverse specie sostanzialmente si equivalgono; il suo olio essenziale, costituito principalmente da timolo, carvacrolo e terpinene, è un potente antisettico e possiede spiccate proprietà antiossidanti nei confronti dei lipidi dei quali allunga i tempi di conservazione; non a caso, l’origano è stato, sin dall’antichità, impiegato nella concia di varie conserve alimentari.
Oltre alle universalmente riconosciute proprietà toniche e stimolanti delle funzioni digestive è oggi usato come carminativo, ovvero per la sua proprietà di limitare la formazione di aria nell’intestino, in associazione con altre droghe ad azione analoga quali la camomilla, il finocchio, la ruta e il timo.
Nel Salento la fase della fioritura si completa generalmente entro il mese di giugno, mentre in altri contesti meno torridi va da giugno a settembre.
Il termine dialettale che localmente lo identifica è “riènu” o “ariènu”, mentre la produzione più rinomata, e che trova più estimatori, è quella che si realizza nella parte sud-orientale di questa sub-regione e in particolare nel territorio di Castro e paesini limitrofi, ove operano ancora esperti anziani raccoglitori, che nella tarda primavera, ossia nel periodo che potremmo definire balsamico, perlustrano gli aridi promontori che conoscono come le loro tasche ed effettuano la raccolta delle piante cresciute spontaneamente, recidendole alla base. Queste, riunite in mazzetti e legate con refe, vengono lasciate essiccare all’ombra, in luoghi molto arieggiati, quindi vendute ai consumatori finali o ai locali rivenditori di frutta e verdura.
Per chi volesse coltivarlo, l’origano si propaga per seme; tutte le specie, inoltre, si propagano per divisione di piante, in autunno e all’inizio della stagione primaverile e per talea basale o apicale (ricavate da rami e fusti che non recano fiori), nella tarda primavera e all’inizio dell’Estate. Il terreno deve essere ben drenato, da neutro ad alcalino, povero o leggermente fertile, rigorosamente orientato a pieno sole. È difficile aggiungere qualcosa circa i suoi usi gastronomici, peraltro molteplici, che le locali massaie non conoscano di già, infatti, come aromatizzante, rientra nello stufato di ortaggi, nelle zuppe di chiocciole e di molluschi marini, nelle insalate di pomodori con cui genera un connubio difficilmente imitabile, nella “carne alla pignata” e alla pizzaiola e per finire, ma potremmo continuare ancora, è indispensabile su molte tipologie di pizze e focacce.
Involtini di melanzane
Tagliate a fette le melanzane nel senso della lunghezza, friggetele in abbondante olio, e lasciatele a perdere l’unto in eccesso su della carta assorbente. Dopodiché disponete sopra ognuna di esse una fettina di mortadella o prosciutto cotto e una listarella di cacio cavallo o di provolone. Arrotolatele e disponete gli involtini così ottenuti, ben serrati in una teglia appena unta di olio, infine cospargeteli di passata di pomodoro condita con origano, aglio tritato, sale e poco olio e poneteli in forno. Appena la superficie comincerà ad imbrunire, estraeteli dal forno e serviteli anche freddi.
Pomodori verdi sott’olio
Per preparate questa appetitosa conserva, utilizzabile come antipasto, dovrete procurarvi dei pomodori di varietà oblunga indifferentemente a bacca media o piccola. Dovrete sciacquarli, dividerli in due nel senso della lunghezza e metterli in un colapasta, spolverizzandoli man mano di sale fino. Lasciateli 3-4 ore a perdere l’acqua, gravati di un leggero peso; quindi risciacquateli con aceto, asciugateli su di un canovaccio pulito e sistemateli in vasi di vetro a strati, intervallati con capperi, tocchetti di alici sotto sale, olive verdi snocciolate, menta e aglio, infine ricopriteli di ottimo olio di frantoio. Lasciate i vasi aperti per due tre giorni, quando saranno trascorsi, controllate il livello dell’olio e procedete alla loro chiusura ermetica.
Castrato a stufato
Il miglior periodo per gustare il castrato e l’agnellone in questa sub-regione è quello che va da giugno a settembre, ovvero quando le greggi pascolano nelle stoppie di frumento, nei pascoli salati o nelle riarse garighe del Salento, le cui essenze in tale periodo esalano profumi intensissimi ed hanno nelle foglie la massima concentrazione di oli essenziali, che conferiscono alle carni di questi parchi ruminanti un particolare aroma. La carne di castrato per questa preparazione si dovrà scegliere di giusta qualità ovvero non troppo grassa, ma neppure troppo magra. Fatevela spezzettare dal macellaio in pezzi piuttosto omogenei e rosolatela in un filo di ottimo olio extravergine d’oliva in cui avrete fatto rosolare qualche spicchio di aglio contuso. Unite un pizzico di origano, bagnatela con un bicchiere di vino rosato ed alzate la fiamma; fino a quando questo sarà evaporato, allungate con un poco d’acqua e aggiungete delle zucchine a dadini, preferibilmente quelle pastose della varietà locale appellata “genovese”, delle patate, ottime quelle della varietà “Sieglinde” localmente coltivate, anche queste ridotte a dadini, qualche filetto di pomodoro pelato e privato dei semi, una costa di sedano tritata finemente e un altro paio di pizzichi di origano, quindi coprite a filo con acqua, mescolate e lasciate stufare a fuoco lento sino a completa cottura.
Pezzetti cu li chiàppari
La carne tradizionalmente utilizzata per questa preparazione è la cosiddetta “carne ferrata”, come in varie zone della Puglia viene indicata la carne equina. Tagliate la carne in pezzi di circa 50 grammi, preferendo come taglio il “muscolo”, in quanto ricco di tessuto connettivo che sciogliendosi dona alla stessa particolare morbidezza e piacevolezza. Preparate quindi, una base facendo stufare a fuoco lento: cipolla, aglio, sedano, prezzemolo e peperoncino tritati finemente; e quando questi ingredienti si saranno ben amalgamati aggiungete la carne, mescolate e, quando il tutto avrà ripreso calore, sfumate con un bicchiere di vino rosato, unite qualche cucchiaio di capperi sottaceto una buona presa di origano e continuate la cottura a fuoco moderato aggiungendo acqua se necessario.
Orata al forno alla pugliese
L’orata è universalmente riconosciuta come uno dei pesci migliori e, a nostro modesto parere, l’orata dello Jonio pugliese pescata nei mesi più freddi dell’anno è il pesce più buono in assoluto, possedendo il pesce di questo mare caratteristiche di sapidità e profumo ineguagliabili, riconosciute e apprezzate sin da epoca remota. Nei mesi invernali, questi pesci, frequentatori di fondali medio bassi, accumulano, per proteggersi dal freddo, dei grassi nobili nei tessuti, il ché contribuisce a rendere le carni ancora più morbide e delicate. Per questa preparazione occorrono orate dal chilo in su; il pesce andrà diligentemente squamato, sventrato e privato naturalmente delle branchie. Versate sul fondo di una teglia un filo di olio, una spruzzatina di aceto e preparate un letto costituito da fettine di limone sbucciato e privato scrupolosamente anche della parte bianca, olive verdi in salamoia snocciolate e tagliuzzate, uno spicchio di aglio tritato, un pizzico di origano e sale. Nel ventre del pesce mettete gli stessi ingredienti del fondo e in più qualche rametto di prezzemolo; adagiate il pesce nella teglia, guarnitelo con dei riccioli di burro e fatelo cuocere in forno per quaranta minuti a 180°, bagnandolo almeno una volta con il fondo di cottura.
Cozze piccinne allu riénu
Le cosiddette cozze piccinne o cuzzeddhre (Euparipha pisana), sono le più piccole fra le chiocciole eduli salentine, ma anche le più visibili, infatti nel periodo estivo questi gasteropodi non si nascondono tra le pietre, né si sotterrano come le altre specie, ma si sigillano saldamente con un sottile epiframma vitreo ad un sostegno qualunque, generalmente vegetazione secca, quindi sono le stoppie i luoghi dove queste bestiole eleggono il proprio habitat preferito, sfidando il solleone, ed è lì che le potrete ricercare e raccogliere, dato che non è molto comune trovarle in vendita.
Lavatele accuratamente, accertandovi che siano tutte vive, e ponetele sul fuoco in una pentola coperte d’acqua fredda. Una decina di minuti di cottura, da quando l’acqua comincerà a bollire saranno sufficienti; durante la cottura dovete schiumarle ripetutamente, quindi scolatele, salatele abbondantemente e cospargerle con una buona presa di origano selvatico salentino (Origanum heracleonticum). Mescolatele bene lasciandole intiepidire coperte in modo che si aromatizzino. Quindi servitele accompagnate da un ottimo vino rosato del Salento fresco mettendo a disposizione provolone piccante e pane casereccio.
Alici a scapece
500 gdi alici freschissime, alcuni cucchiai di farina, 4 foglie di alloro, 1 cipolla piccola, 1 spicchio di aglio, 25 cl di olio d’oliva, 1 bicchiere di aceto di vino, 1/2 bicchiere di acqua, 1 presa di origano, 3 grani di pepe, sale
Decapitate e diliscate le alici avendo cura di lasciare la coda.
Risciacquatele con delicatezza, lasciatele sgocciolare, passatele nella farina e friggetele in abbondante olio da frittura bollente. Quando saranno dorate, estraetele dall’olio e passatele su fogli di carta assorbente, onde eliminare l’unto in eccesso. Cospargetele blandamente di sale, sistematele a strati in un recipiente di terracotta o di vetro provvisto di coperchio. Ponete quindi in una piccola casseruola mezzo bicchiere d’acqua, un bicchiere abbondante di aceto, uno spicchio d’aglio contuso, la cipolla affettata sottilmente, le foglie di alloro, una presa abbondante di origano e tre quattro grani di pepe, e lasciate sobbollire lentamente il tutto per dieci minuti.
Versate quindi la miscela aromatica sulle alici, avendo cura che ne risultino completamente sommerse. Lasciate infine raffreddare a temperatura ambiente, poi coprite il recipiente e fatelo riposare al fresco, per servire il giorno seguente.
Cucuzzata
Ingr. :1 kgdi farina di grano duro,500 gdi zucca genovese o di zucchine della stessa varietà, cipolle, olive nere in concia, pomodorini,1 dld’olio dei frantoi salentini, 2 cubetti di lievito di birra, peperoncino, origano acqua sale.
E’ una specialità originaria di Santa Cesarea Terme e dei paesini del suo interland, soprattutto di Vitigliano, che ogni anno in Agosto gli dedica un’affollata sagra. Preparate un trito con la zucca, le cipolle e i pomodorini, unitelo alla farina e impastate unendo l’olio, tutti gli altri ingredienti e l’acqua sino ad ottenere un impasto piuttosto omogeneo. Lasciatelo riposare in ambiente tiepido e senza correnti d’aria. Trascorsa qualche ora, rimpastatelo sino a renderlo perfettamente liscio, omogeneo ed elastico. A questo punto staccate dei pezzi di pasta di due- trecento grammi, formate dei panetti e poneteli in forno a legna ben caldo per una ventina di minuti.
Ottimo come sempre. Però a me la mortadella (o il prosciutto) e il caciocavallo (anche se questo e’ del sud almeno) nella cucina salentina suonano sempre strano…
Non sono un esperto ma credo che queste cose si sono diffuse in tempi tutto sommato recenti e all’inizio solo tra chi se le poteva permettere.
Non credo che i miei nonni da piccoli conoscessero la mortadella.
Poi è chiaro che tutto evolve. Recentemente ho scoperto che la moussaka greca è stata creata sono negli anni ’20 (meno di cento anni fa), ma è uno dei piatti più conosciuti e famosi della cucina greca.
http://en.wikipedia.org/wiki/Moussaka
The modern Greek version was probably invented by Tselementes in the 1920s.