di Marcello Gaballo
Occorre tornare sulla determinazione del già citato don Giuliano Santantonio, parroco della Cattedrale di Nardò, che continua a recuperare le memorie artistiche dell’Ecclesia Mater neritina, magari sollecitato dall’appuntamento del 2013, atteso evento che celebrerà i 600 anni del massimo tempio religioso cittadino[1].
Questa volta si è restituito all’ antico splendore un dipinto raffigurante un san Bernardino da Siena[2] sul pulpito della basilica, quasi rispondendo all’appello lanciato da Milena Loiacono in un suo saggio di qualche anno fa: Un’opera da salvare: il San Bernardino da Siena attribuito a Francesco Solimena[3]. L’Autrice sottolineava “il pessimo stato di conservazione” e “al fine di arrestarne il lento ed inevitabile degrado, sarebbe auspicabile un intervento di restauro che consentisse di giungere anche ad una più approfondita conoscenza dei materiali e quindi ad una più corretta lettura del manufatto”.
Il dipinto di nostro interesse, distinto dall’altro affrescato nel 1478 sulla parete della navata sinistra e del quale si è già trattato[4], è ubicato sul dossale del solenne pulpito, addossato al quinto pilastro della navata centrale, in cornu evangelii.
La presenza in questo luogo, un tempo deputato alle predicazioni più che alla proclamazione della Parola di Dio tenuta dall’ambone[5], fu scelta dal vescovo Antonio Sanfelice[6], per tramandare ai posteri, ancora una volta, che in questo sacro tempio predicò il santo senese (*Massa Marittima, 8 settembre 1350 – +L’Aquila, 20 maggio 1444). Celebre per la straordinaria capacità oratoria e le ferventi prediche tenute in moltissime città italiane, tanto da essere ancora considerato il più illustre predicatore italiano del secolo XV, il frate Minore avrebbe predicato nella cattedrale di Nardò nel 1433, probabilmente chiamato dal vescovo dell’epoca, suo confratello, monsignor Giovanni Barella o Barlà, in carica dal 1423 al 1435.
Prima di accennare al capolavoro riemerso, forse è utile qualche cenno sul pulpito che lo ospita. Poggia questo su quattro colonne marmoree policrome, delle quali le anteriori a base circolare e le posteriori, addossate al muro, a base rettangolare. Particolarmente elaborata la tribuna, sempre in marmo policromo, con i due stemmi angolari del vescovo Sanfelice e il monogramma bernardiniano nella parte centrale, tutti e tre altorilevati. A sinistra di chi guarda una porticina d’accesso lignea, inserita nell’interruzione della tribuna, mette in comunicazione il ridotto spazio della stessa con la scala in ferro che consente di salirvi; un elemento decorativo, anche questo ligneo, riprende il controlaterale in marmo. Il dossale su cui è posto il nostro lavoro sorregge il baldacchino, sul cui soffitto è dipinto lo Spirito Santo, sotto forma di splendida colomba ad ali spiegate al centro di una raggiera.
L’eccezionalità dell’evento, ritenendo da più parti quella neritina come l’unica tappa del santo nella nostra regione, fu giustamente rimarcata dall’instancabile Sanfelice, che commissionò il lavoro ad uno dei più grandi artisti napoletani a lui coevi, il celeberrimo Solimena, che lo eseguì con pittura ad olio su marmo.
Un’epigrafe immortalava l’opera e l’autore: S. Bernardinus Senensis/ qui suis concionibus/ illustriorem reddidit/ basilicam hanc/ ad uiuum expressus[7]/ a celeberrimo Solimena/ Anno D(omi)ni MDCCXXXIV.
Marina Falla Castelfranchi[8], pur non avendo potuto visionare il dipinto per il pessimo stato in cui versava, lo ha attribuito alla maturità di Francesco Solimena. Dell’artista, ben noto al vescovo e a suo fratello Ferdinando, si conservano a Nardò almeno altre due opere: la Madonna in gloria tra i Santi Pietro e Paolo (cappella privata del vescovo) e San Michele Arcangelo, sull’altare omonimo in Cattedrale, di cui si legge la paternità in una delle visite pastorali[9].
La perizia dell’operatore Valerio Giorgino ha restituito un’opera molto interessante, che certamente sarà esaminata e descritta dagli studiosi del Solimena. Il santo, vestito di un abbondante saio minoritico e stretto in cintura dal cingolo, è raffigurato per tre quarti. Con l’indice della mano destra mostra l’oggetto, forse ligneo, che è tenuto dalla sinistra; sul fusto si innesta una cartella ottagonale su cui è inciso il trigramma IHS[10], con la croce innestata sull’asta trasversale della H e con i tre chiodi della Passione alla base delle lettere. Se nell’affresco neritino di cui si è già fatto cenno il santo viene raffigurato in età avanzata, qui invece ha una età media, con il capo leggermente volto a destra e lo sguardo verso il riguardante, quasi ad invitarlo alla contemplazione del simbolo da lui stesso ideato.
Ci auguriamo che l’azione di recupero e di restauro continui per le tante altre ricchezze di cui può gloriarsi la cattedrale neritina, così che si presenti all’appuntamento, ormai prossimo, nella sua migliore forma.
[1] https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/09/30/presentato-il-logo-per-le-celebrazioni-del-seicentenario-della-cattedrale-e-della-citta-di-nardo-1413-2013/
[2] Sul san Bernardino da Siena affrescato a Nardò si veda la relativa scheda di restauro pubblicata su “Il delfino e la mezzaluna”, a. I, n. 1 (luglio 2012), pp. 146-148. Cfr. inoltre R. Poso, La cultura del restauro pittorico in Puglia nella seconda metà del XIX secolo, in Storia del restauro dei dipinti a Napoli e nel Regno nel XIX secolo, Atti del Convengo Internazionale di Studi (Napoli, 14-16 novembre 1999), a cura di M.I. Catalano e G. Prisco, volume speciale 2003 del “Bollettino d’Arte”, pp. 273-286.
[3] In “Kronos”, n°4 (2003), pp. 145-146, Congedo Editore.
[4] https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/10/03/20-maggio-san-bernardino-un-affresco-del-santo-senese-nella-cattedrale-di-nardo/
[5] Furono le Instructiones fabricae del cardinale Borromeo a stabilire che il pulpito dovesse trovarsi in tutte le chiese, a circa metà della navata, sopraelevato rispetto all’assemblea, così che il predicatore potesse essere visto e udito da tutti.
[6] Napoletano, XXIV vescovo della diocesi, in carica dal 2/11/1707 sino al 1/1/1736, data della sua morte. Sull’attività del presule si veda anche https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/09/03/il-conservatorio-della-purita-a-nardo-e-il-vescovo-antonio-sanfelice/
[7] Da leggersi ad vivum expressus = rappresentato realisticamente, al naturale. Ringrazio Armando Polito per la corretta interpretazione.
[8] M. Falla Castelfranchi, Monumenti di Nardò dal XIII al XVIII secolo, in Città e Monastero. I segni urbani di Nardò (secc. XI-XV), a cura di Benedetto Vetere, Galatina 1986, p. 253. Del dipinto ne aveva già scritto M. D’Elia in due suoi lavori: Mostra dell’Arte in Puglia dal Tardo Antico al Rococò, Roma 1964, p. 185; La Pittura Barocca, in La Puglia tra Barocco e Rococò, Milano 1982, p. 279.
[9] La tela è in restauro e si spera che questo confermi l’attribuzione.
[10] IHS, le prime tre del nome greco di Gesù, oppure forma abbreviata di “Iesus Hominum Salvator”. Il simbolo, più tardi adottato anche dai Gesuiti, conteneva la devozione al Nome di Gesù. Venne rappresentato in moltissimi luoghi religiosi e civili, pubblici e privati, e risulta che esso campeggiasse sulle antiche porte della città di Nardò. Risalta anche sulla tribuna del nostro pulpito, inserita nel sole raggiante.