LU MUGNULU
di Massimo Vaglio
Il “mùgnulu” è una Brassicacea tipica del Salento, simile ai comuni cavoli broccoli verdi detti comunemente broccoli verdi (Brassica oleracea var. botrytis virescens L. ) di cui, secondo recenti indagini genetiche, non ancora completate, potrebbe costituire il progenitore dal quale questi ultimi sono stati selezionati. Alcuni antichi ricercatori trattano il mùgnulu come una varietà a se stante identificandola come: Brassica oleracea asparagoide Pasq.; Brassica botriytis cimosa D.C. e ne codificano almeno tre ecotipi : praecox, major e serotino. Il primo viene comunemente appellato mugnulettu, ha sviluppo più contenuto e viene tradizionalmente coltivato in terreni leggeri tendenzialmente aridi e poco fertili, la cui produzione più precoce, è limitata, ma organoletticamente molto piacevole per cui molto ricercata. Gli ecotipi major e serotino, hanno sviluppo decisamente più esuberante, in particolare il secondo che è a ciclo più tardivo.
Esigono entrambi rigorosamente terreni pesanti o comunque, freschi e fertili, le loro folte piante, di un verde intensissimo, caratterizzano infatti, gli ultimi fertili orti suburbani scampati alla cementificazione, di molti paesi del Salento. Morfologicamente, il mùgnulu è un ortaggio molto vigoroso e rustico, caratteristica che traspare già da una superficiale ispezione, il fusto infatti, appare completamente lignificato sino alle branche ha limitate esigenge colturali ed è di rapida crescita; le piante hanno portamento eretto, ma si ramificano ben presto, le foglie sono oblunghe, fortemente lobate e di colore verde più scuro rispetto agli altri cavoli. Inoltre si distingue dal broccolo verde per l’infiorescenza più piccola e meno compatta; con i singoli fiori bianchi, più grandi e con brattee fiorali più ampie.
Anche le sue caratteristiche organolettiche sono peculiari e lo fanno localmente preferire al broccolo verde comune. Numerose sono le ricette tradizionali che lo vedono protagonista, tutte miranti ad esaltare il suo sapore, più dolce e aromatico rispetto a quello di tutti gli altri cavoli. Appellato anche spuriatu, càulu pòeru, spuntature ecc… la coltivazione di quest’ortaggio è diffusa in tutto il Salento ove, conseguentemente, i quantitativi prodotti sono notevoli, anche se imprecisabili, in quanto, gran parte della produzione non passa dai mercati ortofrutticoli, ma è venduta direttamente dai produttori.
Le semine avvengono in estate in semenzaio, e le piantine una volta raggiunta l’altezza di 10-20 cm., condizione che si verifica dopo circa un mese dalla semina, vengono sfilate e trapiantate in piena terra su terreni precedentemente preparati con le usuali lavorazioni e ben concimati.
I sesti d’impianto prevedono distanze variabili a seconda degli ecotipi impiegati e quindi del prevedibile sviluppo delle singole piante, oscilla sulla fila tra i 30 e i 50 centimetri, mentre la distanza tra le fila è condizionata molto dal tipo di mezzi meccanici a disposizione in genere dagli 80 cm al metro. La produzione è costruita dai cosiddetti broccoli che sarebbero le infiorescenze in boccio, è scalare e inizia a qualche mese dal trapianto, il periodo di maggior produzione va da novembre fino a marzo – aprile.
La raccolta prevede il taglio delle infiorescenze, che man mano si formano, se queste verranno recise regolarmente, le piante ne emetteranno regolarmente di nuove sino all’arrivo dei calori estivi, quando le infiorescenze perderanno pregio in quanto fioriscono velocemente e divengono oltremodo fibrose.
A questo punto, se le piante sorgono in un terreno molto fertile, alcuni coltivatori non le estirpano, in quanto passati i calori estivi, adeguatamente potate e concimate, riprenderanno a vegetare e produrranno per un’altra stagione. La parte edibile, oltre che dall’infiorescenza, è costituita dallo stelo tenero e dalle foglie tenere presenti eventualmente sullo stesso. Le piante inoltre hanno un ciclo vegetativo molto lungo.
La galoppante globalizzazione ha negli ultimi anni tolto molto spazio a questa coltura che viene improvvidamente sostituita con nuove varietà orticole di broccolo verde acquistate già pronte al trapianto in comodi quanto inquinanti contenitori alveolari in polistirolo, spesso, ad esclusivo vantaggio delle multinazionali chimiche e sementiere.
Mùgnuli ‘nfucati
Nettate un paio di chili di mùgnuli, e lavateli. Coprite il fondo di una casseruola un filo d’olio extravergine d’oliva e fatevi rosolare tre-quattrocento grammi di pancetta di maiale magra tagliata a tocchetti unite una grossa cipolla affettata finemente e qualche spicchio d’aglio contuso. Dopo qualche minuto unite i mùgnuli ancora grondanti acqua, qualche pomodoro pelato e tagliato a filetti, quindi salate e completate a piacere con pepe o peperoncino. Coprite la casseruola e lasciate cuocere a fuoco lento sino a completa cottura.
Fucazza di mugnuli
1/2 kg. di farina, 1 bicchiere di olio extravergine di oliva, 1 cubetto di lievito di birra, latte quanto basta.
Ponete la farina a fontana sulla spianatoia, si bagnate con il latte a piccole dosi ed impastate. Aggiungete il lievito stemperato in un po’ d’acqua tiepida e il bicchiere d’olio, continuate ad impastare sino ad ottenere un impasto morbido che, appena comincierà a formare delle bolle, porrete a lievitare in un capace recipiente in ambiente tiepido. Quando l’impasto sarà lievitato, cosa di cui sarete certi quando questo sarà raddoppiato di volume, ungete una teglia con olio di oliva e stendete il primo sottile strato di pasta su cui porrete il ripieno costituito da mùgnuli ‘nfucati (vedi ricetta precedente), mescolati con provolone o caciocavallo piccante a scagliette e olive piccole nere snocciolate. Fatto ciò, ricoprite con la restante pasta ridotta in uno strato sottile altrettanto quanto il primo, punzecchiate la superficie con i rebbi di una forchetta, pennellatela con olio e ponete a cuocere in forno caldo.
Trya cu li mùgnuli
Il formato di pasta più indicato e tradizionalmente più adoperato per la preparazione di questo piatto è la «trya» fatta in casa, ovvero una sfoglia di farina di grano duro tirata con il matterello e tagliata a striscioline, ma anche la «sagna ‘ncannulata», ovvero delle lasagne confezionate con lo stesso sistema delle precedenti, ma più lunghe e leggermente ritorte. Comunque si ottengono buoni risultati anche con formati speciali di pasta commerciale quali le lasagne ricce, le tripoline spezzate e formati similari. Per sei porzioni occorrono mezzo chilo di pasta ed un chilo di mùgnuli al netto degli scarti.
Mettete l’acqua in una capace pentola e quando arriva a bollore calate le cime di mùgnulu e salate; quando queste saranno a metà cottura calate la pasta. Nel frattempo mettete ad imbiondire in una padellina tre-quattro spicchi d’aglio in un bicchiere scarso d’olio extra vergine d’oliva e non appena questi saranno imbionditi aggiungete quattro-cinque acciughe sotto sale preventivamente diliscate e spegnete la fiamma. Scolate il tutto, ponetelo in una zuppiera e versatevi sopra il contenuto della padellina, mescolate bene, e servite. A piacere potrete aggiungere pepe o peperoncino.
Una variante, prevede l’inserimento finale di minuti tocchetti di pane casereccio raffermo, che conferiscono un tocco tipico ed originale al piatto.
Le CAMPIE (bruchi dello stesso colore delle foglie con le quali si mimetizzavano) dei MUGNULI dove sono andate a finire? Spesso mangio questi gustosi germogli con le infiorescenze dei cavoli nostrani e con meraviglia non noto più quegli antipatici bruchetti verdognoli che, malgrado mille attenzioni durante il lavaggio prima della cottura, si vedevano affiorire ben distesi nei piatti col risultato di terminare immediatamente il pranzo e di svuotare nella spazzatura l’intero contenuto del piatto, Quella era la dimostrazione che allora le verdure erano incontaminate dai pesticidi o da altre diavolerie chimiche, ora le CAMPIE sono state debellate e sono sparite. I bravi pesticidi le hanno eliminate ma LI MUGNULI TI OSCE NO TENINU CHIU’ LU SAPORE TI NA FIATA
Le cosiddette “campie”, hanno costituito un vero e proprio flagello sino ad un po’ di decenni addietro, a Nardò,l’antica devozione per San Trifone ed una chiesa dedicata a questo santo (protettore contro questa calamità), dimostrano la serietà con la quale veniva avvertito tale problema. Si tratta di piccoli bruchi di colore verde cupo che in seguito alla metamorfosi diventano le candide farfalle comunemente appellate cavolaie (Pieris brassicae). La loro presenza negli anni si è fatta sempre più rara, pratica dimostrazione della compromissione dell’equilibrio biologico.