di Rocco Boccadamo
Ho appena trascorso una “due giorni” speciale e, almeno per me, assolutamente inconsueta: da mane a sera, a stretto, diretto e ravvicinato contatto con la natura, anzi, trovo questa immagine pertinente e indicativa, affaccendato nel suo seno.
In concreto, mi sono personalmente dedicato alla raccolta delle olive, dagli alberelli, ancora giovanissimi ma già con i primi frutti, messi a dimora circa tre anni fa alla “Marina”, una serie di gradoni, in pendio, fatti di terra, scogli e roccia.
Strumenti per tale lavoro, le mani, con l’ausilio, soltanto, di un piccolo, apposito pettine, e due teli a rete predisposti ai piedi delle piante: procedura, questa, indubbiamente lenta, ma che dà il vantaggio di raggranellare frutti integri e senza la minima contaminazione.
A parte l’obiettivo materiale sopra descritto, la prolungata permanenza alla “Marina” si è rivelata un autentico toccasana per la mente e per lo spirito: nel completo, quasi irreale, silenzio circostante, tranne le sgranature lievi dell’attrezzo lungo i rametti e tra foglie e ovetti bruni, unicamente il fragore, il rombo pieno e forte e lo schianto delle onde del mare, carico di scirocco, in sequenze incessanti e appena intervallate, tra l’approssimarsi e il raschiamento dei fondali bassi e l’immediatamente successivo infrangersi contro le rocce, dure, forti e antiche, della scogliera che caratterizza questo tratto di costa.
Un suono possente, un frastuono impetuoso, percepiti, però, senza fastidio, assimilati, accolti nell’interiore. E, soprattutto, dotati di un’eccezionale proprietà o principio attivo, alla stregua di vero e proprio disinquinante e disintossicante dai riverberi impuri della quotidianità.
Insomma, traducendo in fatti, dal primo mattino sino al tramonto, e bissando, è successo come se si fosse cancellata e scomparsa, dissolta e dileguata, dall’almanacco dispiegato negli occhi e dai cassetti chiusi della memoria, qualsiasi traccia o eco di veleni, contrasti, crisi e crisette, gossip, pettegolezzi dilaganti all’orizzonte a ogni piè sospinto, rispetto ai quali, purtroppo, non è normalmente possibile restare estranei e indenni.
Chi più ne ha, più ne metta: dall’affare “Ruby” con annesso Bunga Bunga, alle case sospettate e deprecate di qua e di là, all’immondizia, alle mareggiate e alle esondazioni.
Risultato, negli appena trascorsi martedì e mercoledì, mi sono sentito un altro, senza esagerare, una sorta di miracolato. So bene che non sempre è tempo e si ha agio di raccogliere olive alla “Marina”, nondimeno, secondo saggezza sempre valida, vale intanto un “carpe diem”.
La semplice rievocazione della breve parentesi agricola, da estro, a chi scrive, di fissare sullo scenario anche un secondo particolare: nelle ore mediane, all’innocuo ruggito marino, si sono accompagnati, tenui, dolci e melodiosi, i cinguettii di diffusi gruppi di uccellini, specialmente di pettirossi dalla inconfondibile macchia che suscita una particolare simpatia, che, nel periodo corrente, vanno a nozze cibandosi con gli abbondanti, minuscoli frutti bruni del mirto, oltre a godersi, come ulteriore leccornia, il sapore delle sparute olive che, inevitabilmente, sfuggono alla raccolta e restano a giacere su fazzoletti di terra rossa.
Perdonami ma manca la descrizione del pranzo che penso facevi anche in campagna, manca la descrizione del sapore che senti in bocca quando mangi pane un pò raffermo accompagnato solo di olio, pomodore e sale,
e dulcis in fondo assaggi anche mezzo bicchiere di rosso.
Tutto diventa poesia, “le guance prendono fuoco, il cuore batte più forte, l’orchestra degli uccellini t’accompagna nel lavoro, il vento asciuga il sudore, con la mente assopori già il nuovo olio.”
con simpatia salvatore calò
davvero bello il tuo scritto. grazie per averci fatti partecipi di momenti meravigliosi che solo la natura sa donare. Come voi amo il contatto con la nostra meravigliosa natura salentina e torno a viverla sempre quando posso. Inserisco un mio scritto e spero di riuscire anch’io a trasmettere le dolci sensazioni che la natura regala a chi la ama e la rispetta.
” Con gli occhi del cuore osservo lo stagno, quello stagno che tante volte mi ha visto bambina gettare un sasso nel centro per sentire il tonfo e vedere l’acqua schizzare e frangersi in mille goccioline ridenti che ripiombavano liete e frizzanti come risa di monelli mentre i cerchi nell’acqua s’allargavano, s’allentavano fino a lambire i miei piedi.
Ora sto qui e osservo con gli occhi del cuore e col cuore negli occhi. Non getto più sassi nell’acqua, ma in silenzio ascolto il silenzio dello stagno mosso dal vento che rapido corre sull’acqua disegnando rivoli, riccioli capricciosi che s’increspano si tendono e più in là scompaiono, mentre un altro boccolo si profila e un altro si srotola ancora e ancora senza fine.
Rimango qua silente nel non silenzio della natura che fiata, mi sussurra tra i sassi zufolando negli anfratti , accarezzando il mio viso le mani, vibrando dolci note tra i miei capelli arruffati.
Lieve sussurri, mormorii tra fuscelli secchi e verdi e melodie inenarrabili tra gli steli dei giunchi che poco più in là danzano un motivo senza fine.
E va il vento, continua a scompigliare i miei capelli e i ciuffi d’erba aridi, le spine, i timo, i lentischi, i mirti gli olivastri. A folate giunge improvviso, poi si cheta, s’accoccola tace e mi fa percepire del mare l’urlo imperioso e imperante.
Quest’atmosfera silente m’inebria, lo sguardo vaga leggero mi riscuote, repentino, il cinguettio di alcuni uccellini che si sforzano controvento a volare; rasentano sfiancati lo stagno e vanno a posarsi poco più in là e cinguettano e chiamano gli altri al riparo.
Il vento continua a fuggire s’altalena su un cardo dal ciuffo vermiglio che spunta dai sassi del mio rifugio segreto. A tratti s’intrufola e scompiglia anche il pelo di Lupetta che col muso posato sulle zampe sonnecchia ai miei piedi; ogni tanto apre gli occhi controlla, sorride e s’accomoda meglio a oziare. Se ne sta anch’essa come me distesa su un prato di pratoline ridenti che danno brio e colore a questo nuvolo cielo e a quest’atmosfera d’inverno. Insieme oziamo mentre il mare continua a schiantare sugli scogli le onde accompagnato dal vento che fuggente trasporta con sé anche i miei pensieri.
maria grazia presicce
Una piccola sinfonia in onore della natura con i suoi frutti e le sue stagioni. Una semplice e umile confessione di un uomo che si confronta con l’immensità che lo accompagna nel percorso terreno, sia essa fatta di alberi o di mare, e riscopre la parte migliore di sè illuminando, a sua volta, quella più indefinita e meccanica. Ci vuole poco per essere uomini, molto di più per esserne fieri e coscienti.