di Alessio Palumbo
Alla fine dell’800 la crisi del commercio e della produzione olearia in Puglia e l’affermarsi dei porti di Taranto e Brindisi mise in ginocchio l’economia di Gallipoli. I commerci, le attività artigianali ed industriali, come ad esempio la produzione di botti, subirono una drastica contrazione. Ciò pose fine al periodo di splendore e ricchezza vissuto dalla città tra il XVIII e il XIX. Di tale “età dell’oro” rimangono le affascinanti testimonianze di alcuni viaggiatori.
Nel 1789, agli albori della rivoluzione che avrebbe sconvolto le sorti di mezza Europa, così Carlo Ulisse De Salis Marschlins descriveva la città bella, nel suo Viaggio nel Regno di Napoli:
“Gallipoli è un paese di 7000 abitanti, con strade sporche e strette, e situato sopra una roccia che sporge nel mare […]. Quantunque non abbia né porto, né una sicura rada per le imbarcazioni, a Gallipoli si pratica il commercio più importante del Regno. Vengono di qui esportate annualmente 150.000 salme d’olio […] Gallipoli è certamente un fenomeno fra le città commerciali, ed è inconcepibile come questo fiorente commercio riesca a mantenersi” (C.U. De Salis Marschlins, Viaggio nel Regno di Napoli, Cavallino, L.Capone, 1979, pp. 148-149).
Una città inaspettatamente ricca dal punto di vista economico, dunque, ma non esteriormente. Le strade sono sporche, il porto è inesistente. Un giudizio non isolato, quello del De Salis.
Circa un secolo dopo infatti, nel 1882, Cosimo De Giorgi, esprimeva la sua ammirazione per il dinamismo della città, ma non per le sue bellezze artistiche ed architettoniche. Un vero e proprio nonsense per la città Bella:
“Il borgo di Gallipoli non ha nulla di artistico” scriveva De Giorgi “ma pure non manca delle sue attrattive, specialmente nei mesi estivi durante le bagnature. […] Ma qui invece un tumulto operoso ferve di continuo nelle officine, nelle quali si fabbricano botti di tutte le forme e dimensioni; è l’industria più lucrosa dei gallipolini! Quattro di queste vanno per la maggiore: quelle dei signori Auverny, Starace, Arlotta e Baylè. Producono in media giornalmente un centinaio tra botti, caratelli, barili, bigonce, ecc., e vi lavorano in complesso circa seicento operai. […] E l’esportazione non si fa soltanto nel contenente ma anche del contenuto, cioè di quell’oro liquido che accorre sulla piazza di Gallipoli da tutte le contrade di questa provincia oleifera per eccellenza”. (C. De Giorgi, La provincia di Lecce. Bozzetti di viaggio, Galatina, Congedo, 1973, pp.52-53).
Come accennato, la crisi di fine Ottocento segnò una brusca battuta d’arresto per il commercio oleario e per le industrie dipendenti da esso, come quella delle botti. Nel corso del Novecento, Gallipoli è cresciuta dal punto di vista demografico ed urbanistico, ma non economico. Fortunatamente però, soprattutto nell’ultimo decennio, il turismo ha sopperito a questa crisi del borgo ionico, inducendo anche un necessario recupero delle bellezze artistiche ed architettoniche della città. I viaggiatori dei nostri giorni, di conseguenza, non possono che riportare delle impressioni diametralmente opposte rispetto al De Salis ed al De Giorgi. Spariti gli opifici, tramontati i grandi commerci dell’olio, il centro storico di Gallipoli spicca agli occhi dei tanti turisti che in estate popolano i suoi vicoli, non per la ricchezza produttiva e commerciale, bensì per la bellezza delle sue corti, dei suoi palazzi sul mare, delle sue tante chiese. Se è vero che, in molti casi, il destino può ritrovarsi nel nome, Gallipoli, la città bella, sembra essersi dunque riappropriata del proprio destino.
Una cittadina sul mare un tempo famosa non tanto per la pesca quanto per l’artigianato e il commercio oleario con sue produzioni satelliti. Ha quasi dell’incredibile, ma testimonia fedelmente la natura contadina della gente del Salento, il suo attaccamento alla terra e alla sua cura. Alessio riporta giudizi storici di alcuni studiosi e senza troppi passaggi descrittivi ci regala la metamorfosi di una città agli inizi penalizzata dalla mancanza di ricami architettonici e infrastrutturali consapevoli, oggi invece ‘Perla dello Jonio’, incantevole per l’energia che le viene dal mare, dalle sue corti, dalla storia. Vorremmo tutti che la trascuratezza a cui spesso la vediamo soccombere al di fuori della stagione balneare, possa essere superata dal nostro amore di salentini e da quello della sua amministrazione politica, alla luce della necessità del recupero di ogni suo tesoro, pensiamo alla fontana in bronzo, e del significato dello splendido e fortunato nome che la fa ancora brillare.