Patù (Lecce). Veretum e il finis-terrae

di Stefano Todisco
 
 

Estremità dell’Italia, ultimo porto della Puglia meridionale, Finis Terrae così la chiamavano gli antichi: il confine della terra. Santa Maria di Leuca ed in particolare il santuario ivi fondato rappresenta il sommo limite di un promontorio che si getta tra due mari, l’Adriatico e lo Ionio, l’angolo di roccia che accoglie le onde da oriente e da occidente.

Il promontorio Iapigio detto Finis Terrae
Il promontorio Iapigio detto Finis Terrae

 

Un santuario messapico rupestre e l’inesplorato santuario di Minerva

Questo luogo, secoli prima di Cristo, divenne il posto ideale per ospitare un santuario marittimo, ricovero per i marinai che si spingevano avanti e indietro tra la Messapia (l’antico nome del Salento) e le coste italiche e greche. Sul capo di Leuca si trova Punta Ristola, sede di una grotta (la Porcinara) dove in tempi remoti si svolgevano riti in onore del dio Batas, nume maschile portatore della saetta. (1)

Il promontorio Meliso protegge un fianco della grotta ed accoglie, sulla propria sommità, i ruderi di un muraglione, unico indizio dell’antico insediamento dell’età del Bronzo. Suggestivo accesso alla Porcinara era un piccolo sentiero che tagliava il percorso di un’altra caverna, la Grotta del Diavolo, ove sono stati trovati vasi offerti alle divinità ctonie e marittime; da qui infatti si sente il rumore dei marosi sugli scogli. Superato questo antro si saliva la scalinata, intagliata nella roccia della grotta Porcinara, che permetteva di raggiungere l’acropoli attraversando l’area sacra. Il nome Batas (saettatore) è inciso sulla roccia ed è associato agli ex voto dei naviganti antichi.

L’equivalente di Zeus per i messapi era Zis ma l’aggettivo Batas potrebbe comunque riferirsi alla principale delle divinità, la cui caratteristica era quella di folgorare i nemici.

I fedeli appartenevano a più etnie: in base alla foggia dei vasi rinvenuti, gli attendenti erano indigeni messapi ma anche marinai greci che dedicarono vasi attici pregiati. Su una di queste offerte era incisa la parola “anetheke” (egli ha dedicato). (2)

Altre dediche a Leucotea e a Fortuna sono state rinvenute sulle pareti della grotta. (3)

Spesso si sente parlare del santuario della dea Minerva, costruito nel luogo ove ora è il santuario della Madonna de Finibus Terrae: la notizia, screditata dalle ricerche archeologiche, trova consensi grazie ad un reperto importante e ad una antica notizia.

Il primo è un’ara romana, custodita nella chiesa cristiana e che porta la scritta postuma:

“UBI OLIM MINERVAE SACRI
FICIA OFFEREBANTUR
HODIE OBLATIONES DEIPARAE RECIPIVNTUR”

(Traduzione: “Dove una volta si offrivano sacrifici a Minerva oggi si accettano offerte per la madre di Dio”)

Il secondo è un passo della Geografia di Strabone che cita:

“…dicono che i Salentini siano coloni dei Cretesi; presso di loro si trova il Santuario di Atena,
che un tempo era noto per la sua ricchezza, e lo scoglioso promontorio che chiamano Capo Iapigio,
il quale si protende per lungo tratto sul mare in direzione dell’Oriente invernale,
volgendosi poi in direzione del capo Lacinio…” (3)

Coi dati in nostro possesso è possibile identificare il santuario di Atena con quello di Minerva (stessa divinità, una con nome greco, l’altra in latino) ma non collocabile sotto l’attuale santuario. I greci chiamavano “Akra Iapygia” (estremità, capo, promontorio Iapigio) il capo di Santa Maria di Leuca e la descrizione di Strabone sembra collimare con la geografia dei luoghi in questione.

Il prof. D’Andria ipotizza, nel suo volume “Castrum Minervae”, che il famoso santuario sia da collocare tra Melendugno (fraz. Roca Vecchia) e Otranto (fraz. Porto Badisco), dove la natura dei luoghi potrebbe adattarsi alla descrizione dello storico greco d’età augustea.

 

Patù, l’antica Veretum messapica

Percorrendo per due km la strada che da Santa Maria di Leuca si dirige verso nord, a Patù, è possibile addentrarsi nei piccoli sentieri tra uliveti e vitigni per incappare nei ruderi dell’antico abitato messapico-romano di Veretum, poco noto e di scarso livello dal punto di vista architettonico-artistico ma di un certo interesse archeologico.

Citato sulla Tabula Peutingeriana, compare come estrema località del Salento a dieci miglia da Ugento e a dodici da Castra Minervae.

Veretum - Patù sulla tabula Peutingeriana
Veretum – Patù sulla tabula Peutingeriana

Distrutto nel IX secolo dai pirati saraceni giunti a razziare le coste italiane, Veretum conserva pochissime evidenze antiche ma di chiara matrice insediativa: un pavimento sul banco roccioso mostra alcuni buchi per l’inserimento dei pali di un edificio.

pavimento antico a Veretum
Pavimento antico a Veretum

La chiesetta medievale di San Giovanni Battista è il silenzioso testimone della desolazione del luogo insieme al ben più noto monumento chiamato “Le Centopietre”: si tratta di un piccolo edificio, alto 2,6 metri e misurante 7,2 x 5,5 metri di lato, realizzato con pietre rettangolari riutilizzate dagli edifici dell’abitato pre-cristiano. (4)

Centopietre, esterno
Centopietre, esterno

Centopietre, interno
Centopietre, interno

Centopietre, interno
Centopietre, interno

Centopietre, interno
Interno della Cripta del Crocefisso a Ugento

Si è incerti, ancora oggi, sulla funzione della struttura: monumento funerario messapico o tomba di un cavaliere cristiano? Infatti un tale Geminiano, secondo una leggenda, fu araldo delle milizie cristiane accorse per ricacciare i saraceni e da questi ucciso, contrariamente alle leggi dell’ambasceria.

Sempre secondo il mito, in seguito allo scontro armato che ebbe luogo nell’877 ai piedi della collina di Patù, detta Campo Re, le forze cristiane riuscirono a sconfiggere gli invasori riprendendo il corpo del cavaliere per la sepoltura che avvenne in questo piccolo santuario litico.

Unico indizio certo sono gli affreschi che labilmente si vedono sulle pareti interne, datati al periodo bizantino (XI-XIV secolo).

Entrando nella chiesa di San Giovanni Battista è possibile vedere un cippo con l’iscrizione latina:

M. FADIO M.F.
FAB. VALERIANO
POST MORTEM
FADIVS VALERIANVS PATER
ET MINA VALERIANA MATER
L.D.D.D. (LOCVM DATVM DECRETVM DECURIONVM)

[Traduzione: Fadio Valeriano padre e Mina Valeriana madre, dopo la morte, (lasciarono) il possedimento concesso tramite decreto dei decurioni, a Marco Fadio figlio di Marco e a Fabio Valeriano.]

stele dei Fadii da Veretum
Stele dei Fadii da Veretum

La sua datazione oscilla tra I e II secolo d.C. ed è un ulteriore indizio della vivacità di un centro abitato fino all’età romana, momento in cui fu elevato a livello di municipium. È plausibile pensare che l’acropoli dell’antico borgo sia concentrata nella zona sotto l’attuale chiesetta della Madonna di Vereto, punto apicale della collina che ospita il sito in questione. (5)

Quanto al nome potrebbe collegarsi al greco (6) patos (= suolo, terreno) e non a pathos (= passione, sofferenza) come vuole la leggenda.

Qualche rudere dell’antica cinta muraria si incontra tra la vegetazione che avvolge il luogo. Il modesto successo turistico di questo centro messapico deve il fatto alla mancanza di una metodica ricerca archeologica.

muri a secco a Veretum
M
uri a secco a Veretum

 

Note

  • (1) F. D’ANDRIA, I nostri antenati, viaggio nel tempo dei Messapi, p. 39.
  • (2) ibidem, pp.39, 40.
  • (3) E. GRECO, Magna Grecia, p. 204.
  • (3) STRABONE, Geografia VI, 3, 5-6.
  • (4) M. BERNO, Salento : luoghi da scoprire, arte, storia, tradizioni, società e cultura, curiosità, p. 113.
  • (5) C. DAQUINO, I Messapi e Vereto, pp. 256-257.
  • (6) G. GASCA QUEIRAZZA, Dizionario di toponomastica: storia e significato dei nomi geografici italiani. p. 563.

Bibliografia

  • M. BERNO, Salento : luoghi da scoprire, arte, storia, tradizioni, società e cultura, curiosità, Novara, 2009.
  • F. D’ANDRIA, I nostri antenati, viaggio nel tempo dei Messapi, Fasano, 2000.
  • F. D’ANDRIA, Castrum Minervae, 2009.
  • C. DAQUINO, I Messapi e Vereto, Cavallino, 1991.
  • G. GASCA QUEIRAZZA, Dizionario di toponomastica: storia e significato dei nomi geografici italiani. Torino, 1990.
  • E. GRECO, Magna Grecia, Bari, 1980.
  • STRABONE, Geografia, VI, 3.

 

Foto e crediti

Tutte le foto sono state da me scattate, ad eccezione di quelle delle Centopietre e della stele dei Fadii.

Per le fotografie di Veretum:
http://www.lameta.net/blogsalento/?p=294

Per le fotografie de Le Centopietre:
http://www.torrevado.info/salento/cento-pietre.asp
http://www.lameta.net/blogsalento/?p=406

Info

Per raggiungere Le Centopietre e la chiesa di San Giovanni Battista si tenga come riferimento l’area tra via Rigno e via Aldo Moro.

Note dell’autore

chi scrive ha visitato il luogo nell’agosto del 2007. Purtroppo, un po’ a causa della mancanza di segnaletica, un po’ per la scarsità di fruizione turistica del luogo, questo sito non può ancora conoscere la notorietà che meriterebbe, in virtù dell’amenità del luogo e dell’antichità che qui si respira.

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