di Massimo Vaglio
Nei riferimenti storici più datati che lo riguardano, il cacioricotta è indicato perlopiù come una prerogativa dei tarantini. G.B. Gagliardo nel suo Catechismo Agrario (1793), riferisce di come questi usassero farlo nell’estate, quando il latte delle pecore ormai gravide perdeva sostanza e diveniva inadatto alla produzione degli altri formaggi. Lo stesso, lo indica come: …giovevolissimo per i malati e i convalescenti, perché non troppo sostanzioso, né molto salso –, e ne illustra anche il singolare metodo di conservazione, in salamoia, ridotto in pezzi e posto in vasi di creta smaltata.
In una classifica sul gradimento dei formaggi pecorini italiani dei primi del “900 troviamo ai primi posti anche il cacioricotta del Salento, che, prodotto nelle masserie di questo comprensorio, alcuni intraprendenti imprenditori, avevano cominciato a commerciare con successo nei più importanti mercati d’Italia. Purtroppo la grande crisi economica del “29 e i successivi eventi bellici, avrebbero di lì a poco stroncato queste iniziative.
Il cacioricotta, la cui produzione oggi interessa l’intera Regione Puglia si presenta generalmente in piccole forme bianco candide, di forma cilindrica del diametro intorno ai 10 cm, e scalzo di circa 5 cm, recanti esternamente le impronte delle fiscelle.
Il latte viene riscaldato a fuoco diretto fino all’ebollizione. Il riscaldamento viene interrotto e la massa lasciata raffreddare fino a 40-45°C, momento in cui è addizionato il caglio (originariamente veniva utilizzato latte di fico, ovvero l’acre linfa di questa pianta). Dopo 25-30 minuti avviene la coagulazione, a cui seguono 5 minuti di rassodamento. Si procede quindi alla rottura della cagliata, fino ad ottenere una grana delle dimensioni di una cariosside di grano o poco più, mediante spino di legno (ruotolo). La cagliata, sosta sotto siero per circa 5 minuti, il tempo totale di lavorazione in caldaia è di 45-50 minuti.
Allontanato il siero, si estrae la cagliata, con l’aiuto di una schiumarola, riponendola nelle fiscelle. Parte della produzione è avviata al consumo già dopo qualche ora senza essere sottoposta a salatura. Il prodotto destinato alla stagionatura sosta nelle fiscelle per un giorno. Quindi si toglie dalle fiscelle e si sala a secco cospargendo di sale grosso entrambi i piatti. Quindi viene posto ad asciugare in locali freschi, ove raggiunge una consistenza tale, da poter essere agevolmente grattugiato, in una ventina di giorni.
Da fresco si consuma come formaggio da tavola accompagnandolo solitamente con le “meloncelle”, i meloni tradizionalmente coltivati nel Salento, di cui si consumano i frutti immaturi. Dopo una breve stagionatura, è ottimo per condire i freschi piatti estivi a base di sugo di pomodoro fresco o gli stufati d’ortaggi.
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