di Francesco Greco
Alla ricerca del bianco perduto. Il colore della civiltà contadina, respiro del paesaggio mediterraneo, contaminato, offuscato da una modernità retta da un cromatismo volgare nei suoi postulati estetici aggressivi e devastanti. Metafora di un individualismo esasperato che trasferisce nel telecomando l’espressione di un libero arbitrio per cui il nostro io è diluito in un allucinato nulla cioraniano che ci trasforma in cloni dalla percezione e sensibilità uguale a quella di altri.
E così, brandendo un soggettivismo cieco e folle, dipingiamo le nostre case di colori assurdi, spesso ibridati: giallo canarino, verde voltastomaco, viola, marrone-feci. Il bianco è il colore solare dell’identità, la memoria, le radici, ma anche dell’innocenza perduta, svenduta, dell’umanesimo del mondo di ieri che ci portiamo nel sangue, della socialità mite e appagante tramite l’affabulazione dolce con cui avveniva il passaggio delle esperienze e i valori, della solidarietà tra individui, famiglie, collettività nell’aspra lotta per la sopravvivenza.
Il grande pittore pugliese (è nato a Supersano) Ezio Sanapo (erede di Toma, Casciaro, Vincenzo Ciardo, ecc.), da anni porta avanti una battaglia per il ritorno a quella che Rosy Trane (Critical Food) chiama “dignità del paesaggio” e Donato Margarito (critico lettarario) “respiro del paesaggio”. L’artista rimpiange quel bianco sfavillante di cui un tempo erano dipinte le case ora che viviamo in stanze di pietre nere a causa non della quieta sedimentazione del tempo ma della pitture industriali che soffocano le pareti. Parla di “bianco violentato da colori assurdi”, di “forme architettoniche deliranti”, di “respiro soffocato del mondo contadino”. La calce era prodotta nei forni del Salento (intorno a Taurisano) ora chiusi, la vendevano girando nei paesi su carri agricoli, mentre nel profondo Nord, nel Brenta, si continua a farla in modo tradizionale e la esportano nel mondo.
“…bisogna capire che salvare il paesaggio della propria terra è salvare l’anima e quella di chi la abita (Andrea Zanzotto, poeta)”. Conscio che occorre parlarne alle nuove generazioni, l’artista porta avanti la battaglia nelle scuole, dove fa circolare un manifesto che richiama il “Regolamento edilizio dei Comuni di Terra d’Otranto e Leuca del 1899”, in cui espressamente agli articoli 16, 17, 20 e 25 si invitava la popolazione a escludere tinte che “per troppa vivezza potranno offendere la vista, od ingenerare diminuzione di luce…”. Il documento è firmato da artisti e intellettuali italiani e stranieri: Rocco Turco (Tricase), Luigi Schiavano (Taurisano), Giuseppe Pellegrino (Cutrofiano), Arnaldo Alfarano (Supersano), Vito Lisi (Miggiano), Amedeo Gualtieri (Supersano), Costantino Nuzzo (Tricase), Agostino Branca (Tricase), Francesca Trane (Ruffano), Donato Margarito (Montesano S.), Cosimo Corallo (Ruffano), Mauro Arena (Tricase), Ingrid Simon (Vienna), Donato Nuzzo (Castiglione), Francesca Lillo (Ruffano), Francesco Accogli (Tricase), Tommaso De Marco (Tricase), Paola Trono (Tricase), Luca Santoro (Taurisano), Adelaide Gerardi (Monteroni), Miriam Rifuggio (Tricase), Antonio Macchia (Specchia), Alfredo De Giuseppe (Tricase), Roberta Cirillo (Napoli), Francesco Alfarano (Supersano), Eleonora De Giuseppe (Tricase), Giuseppe Nuzzo (Ruffano), Giovanni Pellegrino (Zollino) e Giorgio Fersini (Tricase).
Domanda: Maestro, lei si chiede cosa si dovrebbe esorcizzare, la taranta o un dèmone infido portato dalla modernità e che ci fa imbruttire ciò che per secoli è stato bello e sano…
R. “Nella maggioranza dei Comuni del Salento il paesaggio urbano continua a essere sfregiato da forme architettoniche estranee alla nostra cultura, dalla colorazione esagerata delle facciate delle abitazioni, il ricorso eccessivo alla pietra a vista e le bombolette spray. Così ha subìto un trattamento opposto alla musica popolare: uniti da secoli, sono stati separati. In questo contesto oggi si balla e si suona il tamburello sullo sfondo di ciò che ci circonda, e dovremmo chiederci: cosa c’è davvero da esorcizzare?”.
D. Lei sostiene che a forza di deturpare ne risentirà anche il turismo…
R. “Gli ospiti non sono attratti soltanto dal clima e dalla musica, ma anche dal paesaggio e ciò che i turisti trovano porta evidenti i segni del degrado e l’incuria dell’uomo. Essi dicono che non sappiamo conservare la bellezza, che è meglio se non tocchiamo più niente, che di danni ne abbiamo già fatti anche troppi. Nella nostra mentalità distorta, l’interesse privato prevale su quello pubblico”.
D. Di chi la colpa?
R. “Delle amministrazioni comunali, sindaci, assessori, uffici tecnici. Nei 60 anni di prima e seconda Repubblica, o sono stati incompetenti o hanno avuto altri interessi. Ma pure di geometri, ingegneri, architetti”.
D. C’è, pare di intuire, un forte elemento sub-culturale legato a un degrado complessivo, fuori e dentro di noi…
R. “Prevale una forma di anarchia, di fai da te. L’artigiano porta la mazzetta di colori, il committente guarda e punta sui più vistosi. Più forti sono più ci si distingue dagli altri: è la cultura dell’apparire senza essere. Rosso, azzurro, arancio, giallo, verde, viola. E così, quello che prima era un paesaggio unico ora è un agglomerato di singole e ibride case colorate come pacchi natalizi” .
D. Paradossalmente questa aggressività dell’uomo deriva da un benessere, o presunto tale, perché adesso sta svanendo…
R. “E’ vero: tutto ciò che la nostra povertà aveva conservato e tramandato oggi lo sta distruggendo appunto un benessere presunto. Lo stesso che ci fa credere che tutto quello che riguarda il passato è da cancellare, distruggere, come fosse una pagina amara e scomoda della nostra storia”.
D. Altrove le testimonianze del passato le recuperano…
R. “Le custodiscono gelosamente con regole scrupolosamente rispettate. Dove queste non ci sono non c’è memoria storica, tutto diviene terreno di conquista dei poteri forti, in questo caso l’industria che produce materiali chimici per l’edilizia. Il profitto non ha scrupoli né rispetto della civiltà, specialmente per quella del Sud, anche grazie all’ipocrisia delle amministrazioni locali, tutte quelle che si sono succedute, una uguale all’altra, negli ultimi 60 anni”.
D. La calce viva era un fatto culturale ma anche di salubrità…
R. “Il Sud ha perduto ogni identità e dignità, ma anche le abitudini più elementari. Imbiancare a calce significava anche disinfettare e igienizzare gli ambienti abitati: lo si faceva quasi una volta l’anno. Sono passati 60 anni e in tutto questo tempo di sporco ne abbiamo accumulato troppo: una sola mano di calce vergine non basta…”.
Grande Enzo, storico del decoro urbano, del paesaggio salentino, di volti solcati dalla fatica e di scene caratterizzanti un periodo storico ma umano, solidale e bianco all’interno dell’animo oltre che all’esterno di esso! Storico Enzo, che scrive la storia di un paese, di una campagna, di personaggi caratterizzanti quelle località, evidenziando sempre e comunque la loro umile, laboriosa e stentata esistenza, vissuta però con grande dignità! …così come,se non peggio, è stato forse costretto a viverla anche lui!
GRAZIE GRANDE ENZO: ORGOGLIO DIMENTICATO DEL SUO PAESE NATIO, SUPERSANO!!!
Complimenti a te Francesco GRECO , che hai saputo “spennellare” con tenue inchiostro di una penna che non c’è più, come quella realtà da te descritta che in troppi hanno rimosso mentre altri si vergognano di ricordarla! La vergogna dovrebbe essere quella del vergognarsi del proprio passato, delle umili origini, degli stenti vissuti ed umiliazioni subite prima di arrivare ad affermare i propri Valori e Credenze !! Personalmente sono stato sempre orgoglioso del mio passato e della grande fortuna avuta per le umili origini e per i Valori assimilati nel mio paese natio:Supersano!! Fortuna che purtroppo “altri” non hanno avuto nè avranno mai più!! Grazie Supersano per quello che mi hai dato a tal punto da farmi oggi sentire debitore nei tuoi confronti!
che bella persona che e’ lei egidio antonazzo un vero gentiluomo in estinzione purtroppo.