Cripta della Madonna dell’Attarico, in territorio di Andrano (Lecce)

cripta Madonna dell’Attarico, esterno (ph Marco Cavalera)

di Marco Cavalera

La cripta della Madonna dell’Attarico è ubicata nel territorio del Comune di Andrano, circa 3 km a sud-est del centro abitato.

La cavità si apre nelle formazioni geologiche mioceniche e “sorge in un luogo ameno, sul dosso di un ripiano (Serra del Mito), dal quale la vista può spaziare, in un vago ed esteso miraggio, sull’azzurro cupo dell’Adriatico, su Castro, su Santa Cesaria, fino all’incurvarsi della costa verso la Palascia di Otranto ad Est e del promontorio di Santa Maria di Leuca a Sud[1].

Riguardo alla sua denominazione, nel linguaggio popolare permane l’etimologia greca Madonna du Tàricu. Si tratta di una definizione che fa riferimento all’industria della concia delle pelli, sviluppata dai “pelicani” della zona e testimoniata dalla piantumazione della “quercia vallonea”, abbondante nella zona fino a pochi decenni or sono, dalle cui bacche si ricavava l’acido tannico[2] necessario per l’industria della lavorazione delle pelli, prevalentemente di ovini e di vitelli[3] .

Queste ultime – una volta scarnite, rasate, conciate e lisciate – venivano usate dai copisti come materia scrittoria (pergamena o cartapecora) per la trascrizione di manoscritti (codici), nello scriptorium (sala adibita esclusivamente alla copiatura dei codici) dell’antico cenobio di Santa Maria del Mito, florido centro di cultura medievale gestito dai monaci italo-greci, che dipendeva dal monastero bizantino di San Nicola di Casole (a sud di Otranto).

Don Francesco Coluccia – a tal proposito – ha ipotizzato che la grotta rupestre della Madonna dell’Attarico “sarà stata utilizzata, come dimora feriale, da qualche monaco della comunità basiliana della vicinissima Abbazia di S. Maria del Mito, che durante la settimana si ritirava in vita solitaria penitenziale e contemplativa nella tranquillità e nel silenzio (sec. XI-XV)”[4].

L’ipotesi che si basa sull’etimologia del toponimo “Attarico”, che deriverebbe dal greco tarikòn (conceria), esclude la tesi che prevedeva l’origine del termine “Attarico” dal gesto materno della Vergine, immortalata nella caverna in un affresco che la raffigura nell’atto di allattare il Bambino. Questo particolare importante farebbe pensare ad una funzione originaria laica della cripta, trasformata in luogo di culto solo in un periodo successivo[5].

Fonseca, nella sua monografia sugli insediamenti rupestri medievali nel Basso Salento, descrive la Cripta dell’Attarico come “quasi del tutto naturale; l’attuale apertura, che guarda verso il mare, è stata riadattata con un muro a secco. Alcuni gradini originali conducono all’invaso sacrale. L’ambiente non sembra avere attualmente una forma architettonica ben precisa. Sono presenti due cunicoli in gran parte occlusi, uno dei quali doveva comunicare con l’esterno. Le pareti presentano numerose gibbosità e in alcuni punti sembrano esserci avanzi di pilastri non più esistenti, mentre due pilastri addossati inquadrano il corridoio che corrisponde all’accesso murato. […] Il soffitto, molto irregolare, sembra naturale anche se in vari punti si notano delle cupoline; la sua altezza media è di circa due metri. Gli arredi litoidi sono costituiti da tracce di gradino-sedile; una parte di esso è adibito attualmente ad altare – orientato ad Ovest – e alla sua destra vi è un resto di una mensa-ripiano; alcune nicchie sono ricavate nelle pareti[6].

All’interno della cripta sono presenti due affreschi, in pessimo stato di conservazione: uno riproduce una Croce, l’altro ritrae la Madonna con il Bambino e, lateralmente, due santi, di cui quello a destra tiene in mano la palma del martirio[7]. Attorno a questa raffigurazione si è sviluppato un intenso culto mariano e una leggenda sorta – probabilmente – dall’atteggiamento della Madonna di allattare il Bambino.

Si racconta, infatti, che un’umile popolana, dimorante in un casolare della contrada, non riusciva a sfamare col latte del suo seno il figlio che aveva dato alla luce. Disperata per la crescita stentata del figlioletto, chiese l’intervento della Madonna che, comparendole in sogno, le avrebbe rivelato come risolvere il problema: bisognava eliminare la biscia, annidata tra le pietre del casolare, che sottraeva dal seno della donna il latte proprio mentre dormiva.

L’allegorica vicenda si presta a due interpretazioni: una di carattere sociale e l’altra di carattere religioso. Per quanto riguarda la prima, si fa riferimento al territorio pur fertile di Andrano che, a causa dello sfruttamento dei potenti, ha sofferto la fame e la povertà[8]. A proposito della seconda interpretazione, Francesco Coluccia scrive che “la fede ha incontrato difficoltà di crescita, a causa anche di persecuzioni di vario genere, fino a quando la presenza e l’intervento dei Monaci Basiliani, con la proposta del culto della Madonna e con la catechesi, non ha portato l’annuncio della verità e la pratica di vita cristiana[9].

Nelle immediate vicinanze della grotta venne eretta la Cappella – di modestissime dimensioni – tra la fine del ‘700 e i primi anni dell’800, come chiesetta gentilizia per devozione dei Principi Caracciolo. La chiesa attuale, costruita sui ruderi della precedente, è stata inaugurata nel 1990.

 

interno della cripta (ph M. Cavalera)

 

BIBLIOGRAFIA

Cezzi F., Insediamenti rupestri e basiliani in Terra d’Otranto: l’Abazia de lo Mito e le cripte di Andrano e Castiglione, in “Andrano e Castiglione d’Otranto nella storia del sud Salento”, a cura di Cerfeda F.G., Coppola S., Moscatello L., Alessano, 2004.  

Coluccia F., Parleranno le pietre…Testimonianze di vita andranese, Tricase, 1998, pp. 27-30.

Fonseca C.D., Bruno A.R., Ingrosso V., Marotta A., Gli insediamenti rupestri medioevali nel Basso Salento, Galatina, 1979, pp. 53-58.

Pantaleo G., Dall’antica Cellino all’odierna Andrano, Galatina, 1978, p. 23.


[1]Pantaleo 1978, p. 23.

[2] Acido tannico o tannino, estratto dalla corteccia di varie querce, impiegato nella concia delle pelli con il metodo detto appunto al tannino.

[3] Coluccia 1998, pp. 27-30.

[4] Coluccia 1998, p. 27.

[5] Cezzi 2004.  

[6] Fonseca et alii 1978, pp. 53-58.

[7] L’affresco, completamente rovinato e corroso dall’umido, non permette di avanzare una datazione precisa  (probabilmente risale al XIII-XIV secolo). La croce (latina) è affrescata sul ripiano-mensa; sulla parete a N-E si notano tracce di colore (Fonseca et alii 1978, p. 54). Don G. Pantaleo, riguardo all’affresco, scrive: “entrando […] nella grotta, ci si trova di fronte a due affreschi alquanto scoloriti e qua e là picchiettati, ma dai contorni ben definiti: il primo riproduce l’immagine della Madonna, di tipo ovviamente orientale […]; il secondo rappresenta la Croce, forse innalzantesi dal Calvario, con delle figure ai lati” (Pantaleo 1978, p. 24).

[8] Pantaleo 1978, p. 28.

[9] Coluccia 1998, p. 28.

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