di Fabrizio Suppressa
Tra le tante torri che svettano sulla penisola salentina, ce n’è una in particolare che racchiude nelle sue geometrie e nelle forme una raffinata eleganza. Stiamo parlando della torre federiciana, emblema dello stendardo leveranese, che da più di 700 anni domina il fiorente abitato della pianura copertinese.
Fu voluta da Federico II di Svevia, il Puer Apuliae, e ultimata nel 1220 come baluardo a difesa dell’abitato e delle coste cesarine, imperversate a quell’epoca da scorribande saracene. Fu posizionata secondo una rete di piazzeforti che proteggeva l’entroterra jonico, assieme alle fortificazioni di Mesagne, Oria e Uggiano Montefusco e collegata visivamente con il primordiale impianto svevo del futuro castello di Copertino (secondo parecchie fonti orali i due fortilizi erano collegati da improbabili gallerie ipogee).
La torre è la più alta della Terra d’Otranto, si erge per 28 metri tra le basse abitazioni circostanti, anche se, originariamente la costruzione sorgeva isolata all’interno delle mura cittadine con un profondo fossato largo alcuni metri.
Varcato l’uscio d’ingresso, posto nel poderoso basamento lievemente scarpato, si raggiunge un ambiente voltato a botte ogivale, dove lateralmente è posta una particolarissima scala a chiocciola a doppia spira (forse unica in tutto il Salento) che si sviluppa nell’anima della muratura per tutta l’altezza della torre.
Raggiunto il primo livello, non si può far altro che alzare gli occhi per ammirare le pareti interne dal colore ambrato, sino alla splendida volta a crociera dai costoloni bicromi. Questa particolarità, realizzata con l’alternarsi di conci in tufo e pietra leccese molto simile al coevo portico dei Cavalieri Templari di Brindisi, denota una chiara influenza orientale, tipica delle strutture duecentesche del Meridione d’Italia.
L’eleganza della torre risiede nelle raffinate decorazioni e nella perfetta fattura degli apparecchi murari, opere peculiari dell’architettura normanna. Come per esempio i caminetti con le deliziose foglie d’acanto, gli architravi dai precisi incastri e soprattutto le cornici delle finestre con il particolare motivo a zigzag (ornamento a “denti di sega” o a Baton-Rompus secondo Viollet Le Duc). Quest’ultima decorazione, riscontrabile anche nel santuario di Santa Maria della Lizza e nel campanile del Duomo di Nardò, è stata inspiegabilmente privata delle originarie proporzioni nel recente restauro a causa dell’inspessimento delle cornici con fasce in pietra leccese.
La torre era inoltre suddivisa in tre livelli con solai lignei, successivamente crollati o demoliti, come si desume dagli incassi delle travi nella muratura e dagli elaborati caminetti disposti quasi a mezz’aria.
Dall’ampio terrazzo, un tempo protetto da strutture in legno, la torre partecipò alla difesa dell’abitato, come ci ricorda il Marciano nel capitolo dedicato alla sua città natìa:
“Verso il 1220 Federico II vi edificò la torre, (…) acciò dalle scorrerie de’ nemici si difendesse il luogo, il quale per I’arme che si usavano in quelli tempi era fortissimo. E nell’anno 1373, o secondo il Coniger 1378, Francesco del Balzo Duca di Andria, rottosi colla Regina Giovanna I, condusse nel regno di Napoli Giovanni Montacuto capitano Bretone con seimila Brettoni ed Inglesi; ed avendo nella Puglia occupato Canosa, Minervino, Gravina ed Altamura, passò nell’assedio della città di Lecce, e nel passaggio distruggendo quanti luoghi incontrava della Regina distrusse con repentino assalto il Casale Albaro, i cui abitatori si ridussero ad abitare in questa terra.”
Ed ancora, nel 1484 resistette all’assalto dei Veneziani, che in quel periodo avevano occupato Gallipoli e i territori circostanti, mentre nel 1528 riuscì a resistere ai francesi comandati dal visconte di Lautrec.
Con il repentino passaggio delle tecniche difensive da piombante a radente iniziò il triste declino della nostra torre. Il dongione divenuto oramai un facile obiettivo delle artiglierie, fu trascurato dai vari feudatari e trasformato in magazzino per suppellettili e granaglie. Subì ulteriori sfregi quando in seguito, l’ampio locale interno fu trasformato in una vera e propria colombaia mediante l’asportazione, con un disegno a scacchiera, di alcuni conci dalla muratura.
Pericolante a metà ‘800, la torre fu “riscoperta” dai galantuomini più illustri di Terra d’Otranto, tra cui il De Simone, il De Giorgi e l’Arditi. Costoro si attivarono energicamente affinché si intraprendessero i primi lavori di consolidamento statico della volta a crociera e il riconoscimento della torre come monumento nazionale (1870).
Dobbiamo proprio alle loro azioni e alla loro tenacia se tuttora possiamo ammirare e visitare l’eleganza di questa agile costruzione svettante sopra le assolate terrazze della città dei fiori.
Bibliografia:
M. Paone, La Torre, in Tempi, uomini e cose di Leverano, Galatina, Editrice Salentina, 1985.
R. De Vita, Castelli e opere fortificate di Puglia, Bari, Adda Editore, 1974
Quali sono le motivazioni che attribuiscono la torre a Federico IO, visto che la torre non è citata fra le sue costruzioni?