di Gianni Ferraris
E’ bello passare una domenica mattina camminando nell’isola che c’è, anche se non si può visitare. Appuntamento alle 9 alla lega navale di Gallipoli, poi l’imbarco per il breve tragitto. Arrivando da Lecce, di Sant’Andrea si vede il faro e l’isolotto sembra un insignificante striscia di terra, in realtà con i suoi14 ettari è una piccola miniera naturalistica. Anche il faro sembra normale, basso, si tratta invece di uno dei più alti d’Europa, solo che molti suoi fratelli sono messi su alture, Sant’Andrea ha un’altitudine massima di due metri s.l.m., quindi l’illusione ottica lo rende bassotto. E’ un po’ la storia dei tacchi alti come trampoli, “slanciano”, lui più sportivamente indossa mocassini bassi. Ah i proverbi, “l’apparenza inganna”.
Certo che avere un amico come Antonio, gallipolino doc e kajakista per vocazione, è un privilegio. Parlai con lui della voglia di visitare l’isola e lui è riuscito nell’intento. Per molti anni mettere piede su quel pezzo di terra era interdetto, le ragioni del parco protetto contano. L’isola fa parte del parco naturale gestito in qualche modo, non sempre bene, come spesso succede. Le non scelte amministrative e burocratiche spesso rendono impossibile fruire di beni dal valore immenso, magari con un turismo controllato, guidato, accompagnato che sarebbe anche un valore aggiunto per i comuni. Certo che è più facile aggiungere parcheggi blu per fare cassa, anziché compiere piccoli slanci di fantasia. Impedire la visita a certi luoghi è come se qualcuno acquistasse un Van Gogh e lo facesse seppellire con lui per averlo nell’eternità. E’ successo in Giappone, ahinoi. Che poi a Sant’Andrea sia tutto finto è evidente. Ci sono pure scritte con lo spray sul faro, insomma, come diceva qualcuno “pannicelli caldi”.
L’isola di sant’Andrea è il regno del gabbiano corso, lì nidifica e si riproduce. Purtroppo abbiamo visto molte carcasse di uccelli: “Il gabbiano corso si nutre solo di pesce, il pesce contiene piombo e avvelena” dice la nostra guida, il mare in fondo è una discarica a cielo aperto: combustibili per imbarcazione, inquinamenti di varia natura e via dicendo. Il gabbiano corso è endemico del Mediterraneo, individua i luoghi per nidificare e riprodursi, qualche coppia, chissà quando, è sbarcata sull’isolotto che è diventato meta preferita. Nel sud solamente qui succede, poi in Corsica e negli arcipelaghi toscani. In estate ce ne sono molti perché sono più stanziali, in inverno sono più liberi perché i piccoli si sono resi autonomi e si muovono più agilmente.
Poi ci sono i gabbiani reali, quelli con il becco giallo, sono più tenaci e meno raffinati nel cibo, mangiano ogni cosa, soprattutto si sono adattati alle discariche dove trovano cibo in abbondanza. Così vivendo stanno diventando un vero problema per l’ecosistema, si moltiplicano senza pudore.
Sant’Andrea è considerata dalla Comunità Europea un habitat ideale anche per la salicornia, un altro ottimo motivo per proteggerla. La “civilizzazione” ha distrutto moltissima vegetazione in giro per il Salento ricoprendola con manti di asfalto e parcheggi, qui invece c’è una vera e propria prateria di salicornia che sopravvive perché tenace, l’acqua è salata, lei se ne nutre riuscendo ad espellere il sale. Molti insetti e piccoli molluschi si rifugiano nell’erba e diventano cibo per i migratori. Un esempio di catena alimentare raffinatissimo. Come diceva qualcuno: “la natura era un equilibrio perfetto, poi è arrivata la variabile impazzita: l’uomo”.
Pochissime le specie fiorite, lo statice serotino, autunnale, ha la caratteristica, come la salicornia, di espellere il sale dall’acqua.
I conigli dell’isola di Sant’Andrea pare siano stati introdotti dai pescatori che vivevano qui fino agli anni ’60. Ancora ne resistono, si sono adattati a mangiare quel poco che trovano e a bere acqua di sorgente resa salmastra. Ogni tanto qualcuno si vede correre spaventato da noi, una quarantina di disgraziati che camminano sulla loro isola.
Fino al faro siamo arrivati, tristanzuolo, pezzi di cancello appoggiati a terra, qualche maceria qua e là. E dietro, due enormi piattafome che ospitavano i cannoni durante l’ultima guerra. Allora c’era un presidio della marina che aveva il compito di individuare i sottomarini diretti a Taranto. Allora, quando qualcuno era convinto di vincere la guerra contro il mondo intero.
Ritengo che l’Isola di Sant’Andrea debba essere dichiarata patrimonio dell’umanità.
Sarebbe necessario un intervento serio per il recupero della stessa e del Faro e naturalmente dare a chi la vuol visitarla la possibilità di farlo in sicurezza e nel rispetto del’ecosistema.
Ritengo che il motivo della morte di alcuni animali tra cui il anche Gabbiano Corso non si debba e non si possa addebitare alla causa dichiarata bensì a normali decessi, considerato il gran numero di colonie che vivono insieme lo stesso spazio. Non certamente può essere quindi legata al cibo (contaminato dal piombo) di cui si nutrono gli animali marini.
Dio ce ne liberi!
Se fosse così saremmo già tutti morti!!
Tutte le colonie di uccelli marini -anche quelli migratori che sostano per meno tempo sull’Isola- mangiano, insieme all’uomo, lo stesso pesce senza, almeno per ora morire.
Per quanto riguarda il conigli selvatici (anche di questi se ne trovano spesso morti) non corrisponde a verità che sono stati portati dai pescatori ma da alcuni cacciatori quando tanti anni fa era permessa la caccia sull’isola.
Inoltre il Faro.
Solo chi ha avuto la forza ed il coraggio di contare gli scalini che permettono l’accesso alla cupola dove si trova la “luce” può essersi reso conto della maestosità della struttura ma, ai me, anche delle condizioni in cui la costruzione è messa indiepentenetemente dal recente posizionamento di “pannelli solari” …
L’Isola di Sant’Andrea è un isola speciale e ciò che in particolar modo la contraddistingue è il suo inconfondibile quanto indimenticabile ed eterno odore proveniente dall’unione, così ravvicinata, tra mare e terra che indissolubilmente si compenetrano.
Ciao a tutti quellli che come me amano l’Isola di Sant’Andrea.
Buona Estate a tutti nel rispetto del nostro MARE.
Nell’estate del 1972 ero un sergente della Marina Militare. Fu programmato uno sciopero dei. Guardiani dei fari ed il mio comando di Taranto mi inviò a sostituire il guardiano per tre giorni. Fu una esperienza unica, in un silenzio meraviglioso ed in compagnia dei conigli.