di Isabella Di Liddo
L’analisi della circolazione della scultura in legno policroma in età barocca tra Napoli, Puglia e Spagna sta evidenziando sempre più l’intenso scambio di opere d’arte nel Mediterraneo occidentale[1]. Luoghi di scambio e di approdo delle sculture sono i porti di Napoli, della Puglia (Gallipoli), di Genova, di Cagliari e della Spagna (Alicante, Valencia, Cartagena e Cadice)[2].
Nell’ottica di tali scambi emerge il ruolo importante di alcune botteghe napoletane tra Sei Settecento protagoniste nella produzione di manufatti lignei di altissima qualità che venivano inviate in Spagna e in tutto il Regno meridionale.
Particolarmente proficua risultata la consultazione di fedi di credito e di pagamento effettuata presso l’Archivio storico del Banco di Napoli[3]. La pubblicazione delle polizze rivelano l’apporto dato dalle botteghe napoletane allo sviluppo della statuaria lignea tra sei-settecento a Napoli, in Spagna e nel mezzogiorno.
Alla fine del Seicento si distingue l’operosa bottega dei fratelli Aniello e Michele Perrone con al seguito numerosi apprendisti, tra cui sii annoverano Nicola Salzillo, unico scultore della cerchia trasferitosi nella città spagnola di Murcia, dove apre un’importante bottega (dal 1699 al 1727) e Gaetano Patalano. Proprio al Patalano è stata recentemente assegnata la Madonna del Carro in legno policroma oggi presente al Museo provinciale Castromediano di Lecce, un tempo attribuita a Nicola Fumo.
Considerato dal De Dominici il miglior allievo di Aniello Perrone, la sua produzione vanta un corpus di opere ancora esiguo, a fronte delle testimonianze che ci riferiscono delle numerose opere che egli fece “unite a quelle di Pietro Suo fratello, e per varie chiese del Regno mandaron loro lavori”[4].
In particolare in Puglia le si conservano 4 sculture documentate, tutte nella città di Lecce: un San Matteo e l’angelo (datato 1691) in san Matteo, una Immacolata (documentata 1692) un San Gaetano Thiene (1692), un San Pietro d’Alcantara (1692) nella chiesa di S. Chiara[5]. A questo esiguo corpus numero si aggiunge la Madonna del Carro, grazie al ritrovamento di una polizza, datata 31 marzo 1699, reperita da chi scrive presso l’Archivio Storico del Banco di Napoli:
«A Francesco Marulli ducati quaranta, e per lui a Gaetano Patalano, statuario per farene una statua della Madonna Santissima del Carro secondo il convenuto con D. Giovanni Battista Oricelli della città di lecce, in qualità del disegno, al medesimo trasmesso, e per lui a Nicola Garofano» (Monte e Banco della Pietà, giornale copia polizze di cassa 1699, matr. 1069, 31 marzo).
L’opera proviene dalla chiesa matrice di San Cesario, vicino Lecce, ed è stata collocata nel Museo Provinciale Castromediano di Lecce alcuni anni dopo il restauro.
Dalla lettura della polizza emerge che il committente fu Francesco Marulli che paga 40 ducati a Gaetano Patalano per la statua della Madonna Santissima del Carro in qualità del disegno che lo stesso Gaetano aveva inviato precedentemente a Giovan Battista Oricelli. Francesco Marulli, in questo momento storico, è una delle personalità più importanti di San Cesario, membro dell’antica e nobile famiglia dei Marulli, duchi del feudo di Frisa in Abruzzo, detentori di numerosi titoli e dal 1681 Duchi di San Cesario[6].
I Marulli arrivano a San Cesario già dieci anni prima , nel 1671, quando Giuseppe compra la parte del feudo di San Cesario da Florenzia Vaaz de Andrada, intraprendendo i lavori di ampliamento del palazzo ducale (la nuova ala destra) con la realizzazione dei saloni e del nuovo cortile[7].
Questi anni sono fondamentali per la città di San Cesario: infatti dal 1623 iniziano i lavori relativi alla costruzione della nuova Chiesa Matrice (situata di fronte al Palazzo ducale e sorta sulla cappelletta di S. Maria delle Grazie) col nuovo titolo di Santa Maria del Carro. Pertanto sin dalla sua fondazione, la nuova chiesa matrice di S. Cesario fu dedicata alla Madonna del Carro. A conferma di ciò, più tardi, nel 1641 Mons. Pappacoda, negli Acta Primae visitationis oppidi sancti Cesari, riferisce che la chiesa Matrice è “sub titolo Sanctae Mariae de Carru” e che alle spese della Cappella provvede la Confraternita del SS. Sacramento. Riguardo alle suppellettile, il Pappacoda, riferisce che è presente un affresco dedicato alla Madonna del Carro in cornice di legno e pietra elegantemente scolpito[8].
Sono le fonti del Settecento che riferiscono della scultura della Madonna del Carro nella Chiesa Matrice, infatti la presenza della scultura in chiesa è segnalata nelle due Visite di Mons Alonzo Sozy Carafa, nel 1753 e nel 1763, e in una Platea del 1760. Quest’ultima, conservata nell’Archivio Parrocchiale di San Cesario, ricorda che il titolo S. Maria del Carro dato alla nuova Chiesa Matrice fu voluto per “l’avvenuto miracolo di essa rimasto illeso un nostro paesano,dal passagli da sopra un carro carico, all’invocazione di M. a SS.a perlocchè la nuova Chiesa Madre eretta rimpetto al Palazzo Ducale fu sotto il Titolo della Vergine del Carro, e se ne fece un simulacro che fu collocato sul ciborio dell’altare maggiore”[9].
Riguardo invece alla due Sante Visite di Mons. Alonzo Sozy Carafa, una, quella del 1763, si limita segnalare la presenza di una statua in legno della Vergine Maria col Bambino collocata sull’altare, l’altra del 1753, molto più interessante perché ci fornisce una dettagliata descrizione: “istar cursus variis simulacris angelo rum praedita, variasque cordulas seiceas cum flosculi rubri coloris minibus detinentibus”[10].
La monumentale scultura (alta metri 1,80) presenta la Madonna seduta su un enorme carro, finemente intagliato, con una grande conchiglia che le fa da schienale, mentre l’articolato movimento degli angeli, collocati ai piedi della Madonna attorno ad una nuvola, simulano il traino del carro. Gli angeli sostenevano tra le mani cordoni di seta rosso, oggi non più visibili.
La presenza di altre opere di Gaetano Patalano a Lecce, come abbiamo visto, e la sua rinomata fama (De Dominici) costituiscono probabilmente il tramite per il quale Francesco Marulli, per conto dell’Oricelli, decide di commissionare la scultura al Patalano. La stessa Madonna del Carro richiama, nel volto, fortemente ieratico, un modello stilistico dell’artista già sperimentato a Lecce, come può emergere dal confronto con il volto dell’Immacolata in S. Chiara (fig. sopra).
Appare evidente che questo modello iconografico trovi riferimento nel Trionfo di Galatea, e che questa straordinaria iconografia è forse destinata qui, per la prima volta, ad un soggetto religioso. Ciò mostra il bagaglio culturale del Patalano che spazia anche nei temi generalmente espressi nei dipinti. Sottolineava già il De Dominici che i Patalano acquistarono “buon nome appresso gli amatori delle belle arti del disegno”; pertanto l’esercizio del disegno, com’è noto, costituiva l’anello di congiunzione con la pittura[11].
Nella polizza, infatti, viene ribadito che la scultura deve essere fedele al disegno che lo stesso Gaetano aveva precedentemente inviato. Pertanto il confronto con il Trionfo di Galatea di Luca Giordano appare plausibile e immediato. L’opera del Giordano, eseguita per Firenze[12], costituisce un precedente iconografico di numerosissimi Trionfi di Galatea prodotti da altri giordaneschi, tra cui Paolo de Matteis (Figg. in basso).
Luca Giordano e Paolo de Matteis non appaiono estranei all’ambiente di Gaetano Patalano, non solo perché i rapporti dovevano essere personali, in quanto due figlie dello scultore Michele Perrone sposano, una, Paolo de Matteis, e l’altra Giovan Battista Lama, quest’ultimo discepolo di Paolo de Matteis e poi di Luca Giordano[13].
Emergono anche attraverso i rapporti familiari di questi scultori quegli intrecci artistici che ci permettono di rileggere la scultura lignea napoletana in rapporto alla pittura.
Ritengo utile anche sottolineare che la Madonna del Carro, oltre all’immediato confronto con le opere coeve di Luca Giordano e Paolo de Matteis, rimanda nella sua classicità di impostazione alla Galatea di Raffaello alla Farnesina. Colpisce l’analogo motivo gigantesco della conchiglia, qui però ai piedi della dea (come cocchio marino) e soprattutto gli analoghi puttini alla base del carro (fig. 5). Se sulla Galatea di Raffaello sono evidenti i cordoni (per trascinare il carro) legati ai delfini, analogamente possiamo cogliere il motivo dei pugni socchiusi delle manine dei putti (sorreggenti la Madonna del Carro).
L’idea della conchiglia è un elemento classico che trasmigra dal profano al sacro: legata tradizionalmente alla condizione acquatica, la conchiglia diviene via via- passando dal mito antico alla concezione cristiana- simbolo di nascita (generazione di Venere dalla spuma del mare), di maternità (identificandosi col sesso femminile: si pensi all’ambivalenza del termine latino concha) e infine di santificazione e di resurrezione (vedi l’uso paleocristiano di inserire i ritratti entro le conchiglie, che rimanda alla assimilazione della conchiglia alla tomba che rinchiuderebbe l’uomo nel tempo che va dalla morte alla resurrezione)[14].
Un’interessante iconografia della Madonna entro la conchiglia è presente nella lunetta del portale della chiesa di S. Domenico di Andria. Tale iconografia sembra saldare la Grande Madre di Dio col mito di Venere (intesa come divinità materna e assimilata alla natura Generante), e insieme visualizza il simbolo della Madonna come conchiglia che custodisce nel suo seno la perla del figlio di Dio: “Si allieti il mare del mondo, perché in lui è prodotta una conchiglia, la quale concepirà nel seno il celeste raggio della divinità, e darà alla luce Cristo, pietra preziosissima”, scrive ad esempio San Giovanni Damasceno. Importante, dunque, la formazione di Gaetano Patalano che trova (grazie al ritrovamento del documento) pregevole esplicitazione nella Madonna del Carro, opera che oggi si può aggiungere al piccolo corpus di opere certe. Lo stesso Fagiolo segnala questa bella scultura “che nel segno degli Elementi scandisce il contrasto fra la solennità della posa della Madre (quasi Cibale, dea della Terra) e l’incedere del carro trionfale (la conchiglia appare in sintonia con i carri acquatici di Nettuno e di Venere), portato in area dagli angeli non senza reminiscenza di fuoco che aveva rapito Elia in cielo”[15].
[1]Il presente contributo è parte del volume I. Di Liddo, La circolazione della scultura lignea barocca nel Mediterraneo: Napoli, la Puglia e la Spagna. Una indagine comparata sul ruolo delle botteghe: Nicola Salzillo, De Luca Editori d’Arte, Roma, 2008.
[2] I.Di Liddo, Nicola Salzillo entre Nápoles y España. Un entramado de relaciones entre talleres, in C. Belda Navarro (a cura di), Salzillo,testigo de un siglo, catalogo exposición (2 marzo-31 luglio 2007, museo Salzillo, iglesia de Jesus, iglesia de S. Andres, Murcia), Murcia, 2007, pp. 154-169; I.Di Liddo, La cappella maggiore della cattedrale di Santiago de Compostela: un esempio di influenza berniniana in Spagna, in F. Abbate (a cura di), Interventi sulla «questione meridionale». Saggi di storia dell’arte, Ed. Donzelli, Roma 2005 pp. 201-203; I.Di Liddo, Da Jacopo Gambino a José Gambino, scultore a Santiago de Compostela (Spagna), in F. Abbate (a cura di) Ottant’anni di un Maestro. Omaggio a Ferdinando Bologna, Ed. Paparo, Napoli 2006, pp. 435-443.
[3] Ringrazio il direttore dell’Archivio Storico del Banco di Napoli, dott. Edoardo Nappi, e il dott. Elio Catello per la disponibilità e i suggerimenti fornitomi durante i cinque mesi di studio presso l’Archivio a Napoli.
[4] B. De Dominici, Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani, voll I-II, Napoli 1742-45, rist. an., Sala Bolognese, 1979, p. 191.
[5] R. Casciaro, La scultura, in A. Cassiano (a cura di), Barocco a Lecce e nel Salento, cat. Mostra (Lecce, museo provinciale 8 aprile-30 agosto 1995) Roma 1995, pp.143-169; GG. Borrelli, Gaetano Patalano, in Civiltà del Seicento a Napoli, cat. Mostra (Napoli, Museo di Capodimonte 24 ottobre 1984- 14 aprile 1985, museo Pignatelli 6 dicembre 1984- 14 aprile 1985), Napoli 1984, pp. 223-225; GG. Borrelli, Sculture in legno di età barocca in Basilicata, Napoli 2005, doc. 60, p.112.
[6] R. Poso, I feudatari di San Cesario, in San Cesario Storia, arte e architettura, Galatina 1981, pp. 258-264.
[7] R. Bozza, Evoluzione e caratteri della forma urbana di San Cesario, in San Cesario Storia, arte e architettura, Galatina 1981, p. 9.
[8] F. DeLuca, La prima visita pastorale in San Cesario, in San Cesario Storia, arte e architettura, Galatina 1981, p. 233.
[9] R. Poso, Appendice documentaria, in San Cesario Storia, arte e architettura, Galatina 1981, p. 273.
[10] F. DeLuca, La prima visita pastorale in San Cesario, in San Cesario Storia, arte e architettura, Galatina 1981, p. 220.
[11] L. Gaeta, Pittori e scultori a Napoli tra ‘600 e ‘700: tracce di un’intesa, in «Kronos». Studi per Gino Rizzo, n. 10, 2006, pp. 139-156.
[12] L. Martino, Scheda Paolo de Matteis, in Civiltà del Seicento a Napoli, Napoli 1984, p. 246.
[13] B. De Dominici 1742-45, op.cit, p. 390.
[14] M . Fagiolo, Simbolismo della conchiglia, in V. Cazzato, M. Fagiolo, M.Pasculli Ferrara, Atlante del Barocco in Italia Terra di Bari e Capitanata, de Luca editori d’Arte, Roma 1996, p. 421.
[15] M. Fagiolo, Presentazione, in R. Casciaro, A. Cassiano (a cura di), Sculture di età barocca tra Terra d’Otranto, Napoli e Spagna, cat. Mostra (Lecce, chiesa di S. Francesco alla Scarpa16 dicembre-28 maggio 2008), Roma 2007, p. 11.
Grazie, come Sancesariano ti sono grato. Falla avere a quanti più sancesariani che puoi!
:-)
Lacco Ameno (Isola d’Ischia) – Gli scultori Gaetano e Pietro Patalano, nativi di Lacco Ameno (Isola d’Ischia) sono in questi studi portati fuori dall’oblio e ricevono quegli onori che il tempo aveva loro negato e l’indifferenza del proprio sito natio continua a non tributargli neppure oggi che ne è stata valutata la loro attività artistica. Grazie a Isabella Di Liddo e al citato ricercatore locale Agostino Di Lustro
Cara Isabella,
grazie per il tuo splendido articolo.
Un saluto da un vecchio compagno di SSIS…
Nicola Morrone -Manduria
comunque la statua della madonna del carro e quelli dell’immacolata hanno lo stesso volto
bell’articolo comunque ;)
Isabella di Liddo…..impronta del Firmamento.
Complimenti all’autrice per il prezioso contributo sulla statuaria sacra nel Salento. Mi stupisce la netta somiglianza artistica ed iconografica della statua dell’Immacolata della Chiesa di S.Chiara in Lecce con l’omonima statua venerata nella chiesa confraternale di San Gaetano di Tutino (antichissimo borgo nel comune di Tricase) della quale non si conosce ancora il nome dello scultore di questa pregevole opera artistica realizzata in una delle più prestigiose botteghe della scuola napoletana del XVIII secolo. Forse un giorno un approfondito restauro potrà svelarci la sua identità.