di Francesco Lacarbonara
Al di là di alcuni aspetti a tutti noti (la mitilicoltura, la più importante base navale militare d’Italia, le abitudini gastronomiche dei suoi abitanti, il mare, ecc.) probabilmente è l’insediamento industriale (l’ILVA, il cementificio, le raffinerie, e quant’altro) a caratterizzare più di ogni altro la città di Taranto, tanto da creare nell’immaginario collettivo un’inevitabile equazione:
Taranto+siderurgico+inquinamento=meglio-che-ce-ne-scappiamo-subito(e chi resta si arrangi…).
Il problema è che a restare è la stragrande maggioranza della popolazione, che da decenni subisce (non senza una responsabile dose di passiva rassegnazione) scelte di politica industriale e di gestione del territorio, sulle quali comunque non è stata chiamata ad esprimere un’opinione o a proporre un’alternativa.
Il dissesto economico del Comune (il più grande della storia repubblicana italiana) forse è servito a smuovere un po’ le coscienze intorpidite da decenni di malgoverno (non dimentichiamoci però che siamo noi cittadini a scegliere da chi farci amministrare) e qualcosa sembra che negli ultimi tempi si stia muovendo.
Ma la mia riflessione va oltre le manifestazioni di piazza e le legittime proteste, riguarda la nostra stessa mentalità e il come ci rapportiamo in primis con la nostra città: e se iniziassimo noi a pensare a precise e mirate proposte di valorizzazione dell’enorme patrimonio culturale che la città bimare sa offrire, partendo da quanto di più bello essa possiede? Penso al MARTA (i famosi Ori di Taranto saranno esposti in Cina, ma quanti tarantini frequentano regolarmente il museo o accompagnano amici ospiti a visitarlo?), al Castello Aragonese, che grazie alla Marina Militare è uno dei monumenti storici più visitati in Puglia, alle decine di chiese nascoste nel centro storico e sconosciute anche alla maggior parte dei tarantini, e via dicendo.
Ma soprattutto penso all’immagine che diamo di noi stessi e di Taranto agli altri: si è mai sentito un barese parlar male di Bari o un leccese di Lecce? Eppure non mi sembra che Bari e Lecce (città per me stupende e che amo tantissimo) siano il massimo della vivibilità e dell’organizzazione urbanistica. Il fatto è che essi amano le loro città e si prodigano per migliorarle e offrire a chi le visiti il meglio di quanto possiedono.
Forse dovremmo mettere da parte inutili campanilismi e prendere esempio da loro. Dalla rassegnazione si esce solo rimboccandosi le maniche senza lasciarsi prendere dai luoghi comuni; il compito della ricostruzione non può che iniziare dai tarantini stessi e dalla nascita di un nuovo rapporto con la propria città, da una sua nuova visione che sappia cogliere, oltre agli aspetti negativi, tutte le positività e potenzialità di sviluppo che possiede, e che sono tante, senza nulla togliere agli spaghetti con le cozze e alla passeggiata in via d’Aquino.
Senza dubbio questa città dovrà rinascere, oltre le sue contraddizioni, attingendo dal suo enorme potenziale, per il bene dei tarantini e del Salento tutto! Forza Taranto!