testo e foto di Giorgio Cretì
Da Castro ad Otranto non c’erano approdi se non la caletta di Porto Miggiano che, in casi estremi, poteva servire da rifugio di fortuna. Adesso non c’è più perchè è crollato tutto.
A Santacesarea non c’erano barche e non c’erano neanche marinai, così come non c’erano barche e marinai al Porto Badisco di Uggiano. Durante la bella stagione le barche di Castro andavano agli Archi ed anche a Sant’Emiliano la mattina e tornavano a casa la sera.
Finché un certo Ponente non prese moglie a Uggiano e diede inizio ad una piccola comunità di gente di mare part time. A Porto Badisco allora non c’era nessuno, non c’era nessuna delle case che si vedono adesso. C’era soltanto quella palazzina centrale di fronte a Pippi de mesciu ‘Ndrea, subito prima della bottega che vende cozze tarantine e ricci per chi ama deliziarsi il palato con le squisite cruditès locali. Pippi era detto Balilla e faceva il commerciante; suo padre si chiamava Guerrino. Insomma, questo Pippi, avvicinò al mare anche gente di terra che aveva sempre esercitato altri mestieri: uomini che pur rimanendo furesi(1) e zoccaturi(2), divennero anche pescatori.
Erano anni di miseria, quelli, e conseguentemente di fame. La gente la mattina usciva di casa con il pane per la giornata e spesso lo guardava e si voltava dall’altra parte per non cadere nella tentazione di mangiarlo subito. Parte degi uomini di Castro si imbarcavano sui pescherecci calabresi dello Jonio o su quelli di Monopoli, Molfetta, di Bari e riuscivano a guadagnare fino a cinque lire al giorno; le loro donne andavano alla masseria Girifalco di Ginosa, per la stagione del tabacco; i bambini rimanevano a casa di qualche parente. Gli uomini che che non andavano via si arrangiavano come potevano: con barche a quattro remi uscivano fino a metà del canale con i loro conzi(3) di sei-settecento ami, che calavano a cento, centoventi passi di profondità, e quasi sempre usciva loro la giornata, ma a volte tornavano a riva a debito, senza guadagnare neanche una lira.
Era l’inizio della Primavera e una di queste barche con quattro uomini a bordo che pescava non lontano dal porto di Otranto, aveva salpato le reti gettate la sera prima ed aveva portato a riva quasi un quintale di spicaluri(4).
Non era stata una pesca miracolosa, ma visto che allora si camminava per la fame, nessuno si era lamentato. Il giorno successivo, però, non avevano preso niente e tutti d’acccordo decisero di tornare a Castro. Il cielo era coperto, nero come la fuliggine, ma il mare era piatto, calmo come una tavola. Il più anziano dei quattro, però, cominciò a dire che quel tempo non gli piaceva e, dato che il vento era di greco-levante, si aspettava mare agitato. I vecchi avevano le loro regole basate sull’esperienza e difficilmente sbagliavano previsione. Erano le otto di mattina e il mare era ancora piatto, solo che piovigginava, ma s’era alzato un venticello di tramontana molto propizio ad issare la vela e scivolare veloci verso casa. Si avviarono.
Ma avevano appena superato la Torre del Serpente, appena prima del faro della Palascìa che furono investiti da un mare morto(5) che chissà da dove veniva. Le onde erano alte quanto il campanile della Madonna del Rosario e tutti temettero di essere sbattuti contro gli scogli. Continuarono, ma non furono in grado di toccare terra data la violenza dei cavalloni e nemmeno di entrare nel fiordo di Porto Badisco. A forza di remi riuscirono appena a ripararsi dietro quello scoglio chiamato Isoletta che fa la guardia all’imbocco del canale e rimanere lì con la forza delle braccia per non finire sfracellati contro la riva. Lì restarono, tutti bagnati più di venti ore, fino a quando il mare non diminuì la sua violenza.
Intanto, in qualche modo, gente della Fraula che si era radunata sugli scogli, servendosi di una bancara(6) legata con diverse funi, aveva fatto loro arrivare un po’ di pane. La gente, pur nella sua ignoranza atavica, riusciva sempre a risolvere i problemi.
Ventisei ore dietro l’isolotto che fa la guardia all’imbocco di Porto Badisco, dove l’acqua è molto profonda, ma se la cavarono e tornarono a casa sani e salvi anche se fradici d’acqua di mare e spossati dalla fatica.
Un’altra barca che aveva lasciato Otranto prima di loro ed era stata sorpresa dalla tempesta oltre Porto Miggiano, riuscì ad arrivare a Tricase, ma fu capovolta da un’onda prorio sulla sabbia dell’ingresso al porto.
Non ci furono morti però.
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(1) Furesi. Contadini, campagnoli.
(2) Zoccaturi. Cavamonti. Zoccu, piccone usato nelle cave di pietra.
(3) Conzu. Lenza lunghissima con molti ami.
(4) Spicaluri. Sugarelli.
(5) Nella terminologia marinaresca, il mare morto è costituito da onde provenienti da una zona
Ecco cosa vuol dire guadagnarsi da vivere e usare il cervello per sopravvivere! La saggezza dell’esperienza è simile al mare, sembra scontata quando c’è bonaccia ma diventa riparo quando si scatena la tempesta.
Chi mi puo’ dire da dove è tratto questo testo ? In quale anno è stato scritto ? Grazie
il racconto è stato pubblicato su cartaceo nella ultima nostra edizione dedicata all’Autore
https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/06/13/lomaggio-di-ortelle-a-giorgio-creti-con-la-presentazione-del-volume-antologico-delle-opere-2/