di Emilio Panarese
Oltre ad essere un importante centro di cultura e la città di maggiore commercio di tutta la regione del Capo, settant’anni fa Maglie era pure famosa per lo sviluppo dell’artigianato, ma soprattutto per i mobili d’arte, per gli apprezzati lavori di ferro battuto e per i pizzi e i merletti, rinomati in Italia e all’estero.
L’arte del ricamo, già verso la metà dell’800, era assai diffusa a Maglie tra le giovanette del popolo, ma la sua fortuna è legata alla fondazione della scuola d’arte applicata all’industria, quella scuola, una delle prime ad essere istituita nelle province meridionali, che, come sappiamo, fu voluta e creata da Egidio Lanoce. Le lezioni serali di disegno applicato ai merletti iniziarono nel maggio del 1905, quando fu istituita nella scuola, accanto alle sezioni maschili (ferro battuto, intaglio su legno, ebanisteria, scultura, plastica), che funzionavano già da venticinque anni, una sezione femminile, frequentata all’inizio, per un primo esperimento, che durò circa un mese, con ottimi risultati, solo da quattro alunne. Fu subito dopo la visita dell’ispettore E. Venezian, che approvò il progetto di trasformazione delle locande di via C. Vanini per i locali della scuola, che le lezioni serali di disegno applicato alla lavorazione delle trine e dei merletti si svolsero regolarmente.
Il primo anno, il 1906, la scuola fu frequentata da 28 giovanette (è di quell’anno la bellissima tovaglia dell’altare del SS. Sacramento della chiesa collegiata di S. Nicola); negli anni successivi, dal 1907 al 1914, da 40 alunne in media.
In seguito, un po’ per la scarsezza dei mezzi finanziari, un po’ per rendere possibile una maggiore partecipazione dei giovani dei corsi maschili, la sezione fu momentaneamente sacrificata. Ma venne ripristinata più tardi, quando venne trasferita nella sede più appropriata dell’Orfanotrofio Annesi-Capece, frequentato soprattutto da fanciulle della media borghesia, che lavoravano il traforo o “punto Maglie”, il “punto siciliano” o “a reticella”, il “traforo” e il “punto reale”, alternato, con tale mirabile precisione, con tale finezza di esecuzione, da lasciare ammirati.
Caratteristici sono i nomi dati ai diversi tipi di traforo (”a muliné”, “a panierino”, “a malota”, “a trifoglio”, “a quadrifoglio”, “ad s stella”, “ad ics”, “a margherita”, “a pupo stella”, “a puntina”) o ai legamenti del traforo (“gigliuccio”, “zippitelli”, “zippitelli a reta”, “zippitelli a maccarruni”, “a spaghetti”, “a sfilatino”, “a dentino”) e ai motivi ornamentali (di cui ricordiamo il “mustazzolu” a forma di rombo come il noto dolce, e i “punti sospesi” o “punti in aria”, detti comunemente “pirichilli”, che si ottengono con cinque o sei giri intorno all’ago e tirando il filo).
Un notevole sviluppo dell’arte del ricamo dette pure in quegli anni e nei successivi l’attiva e intelligente signora donna Carolina Starace De Viti-De Marco, che raccoglieva a Maglie, intorno a sé, oltre 150 ricamatrici, molte delle quali avevano frequentato i corsi serali di disegno. Neppure le mogli dei professionisti disdegnavano allora di dedicarsi, nelle ore libere, al ricamo, lavorando fino a tarda notte, per arrotondare lo stipendio del marito.
Dalle gentili mani delle ricamatrici magliesi uscirono lavori artistici del più fine gusto, che ebbero lusinghieri riconoscimenti in varie mostre e soprattutto in quelle di Roma e di New York, lavori pregevoli, riprodotti da antiche pergamene di varie biblioteche, come quelli che servirono per la figlia del celebre miliardario americano Morgan o come le estrose composizioni ornamentali, ideate da Egidio Lanoce, applicate ai lavori di trine, che pure furono fornite alla scuola di ricamo di Casamassella, diretta dalla stessa Starace, in cui lavoravano oltre cinquecento ricamatrici.
Oggi, purtroppo, questa nobile ed antichissima “arte dei merletti” (si pensi che a Lecce si insegnava alle fanciulle povere del Conservatorio di S. Leonardo sin dai tempi della dominazione spagnola, agli inizi del ‘600) è in piena crisi, non solo a Maglie in cui la esercitavano solo alcune ricamatrici anziane (Addolorata Lionetto, discepola della Starace, Rosina De Donno, Vincenza Sticchi, Maria Negro e poche altre), ma in tutto il Salento, come a Galatina, come a Nardò, che di questa nobile arte custodisce preziosi cimeli: arazzi e paliotti in broccato con ricami policromi in oro, di meravigliosa bellezza, di inestimabile valore.In «Tempo d’oggi», I(9), 1974