di Massimo Vaglio
Tra i molluschi marini, autentici gioielli della gastronomia, ce n’è uno che spicca in modo particolare, naturalmente, si parla dell’ostrica, un mollusco nobile universalmente apprezzato e con un ineguagliabile record di qualificate referenze storiche e letterarie. Nei tempi antichi la troviamo descritta, magnificata ed esaltata già da Omero, Virgilio, Petronio e molti altri padri della letteratura, ma ha incontrato, senza soluzione di continuità, in ogni epoca illustri estimatori, prodighi di rime, tra questi, Goethe, Voltaire e persino il cupo Giacomo Leopardi, che ebbe a dedicarle dei gratificanti versi. Plinio, cento anni prima di Cristo, le dedica ampie trattazioni e fa una puntuale descrizione del sistema di allevamento messo a punto da Sergio Orata, indicato dallo stesso come un ricco ed avaro cavaliere romano che doveva la sua grande fortuna proprio alle ostriche. Questi, infatti, aveva messo a punto, un innovativo sistema di allevamento su pali con il quale riuscì ad ottenere ostriche più grasse, turgide e dolci, suscitando così, una vera e propria mania fra i suoi contemporanei più ricchi, e a renderle di moda, praticamente indispensabili, nei convivi eccellenti. Lo stesso Giulio Cesare preferiva le ostriche a qualsiasi altro cibo e sulla sua mensa se ne consumavano quantitativi industriali. La richiesta, ad un certo punto divenne tanto ingente, che si dovettero esplorare nuovi areali di rifornimento, si scoprì così che le ostriche di Brindisi, non meno famose e prelibate di quelle della Gran Bretagna, trovavano un ambiente ideale nel Lago di Lucrino, ove, dopo una breve stabulazione, acquisivano particolare dolcezza, sapidità e grassezza. Allo stesso scopo erano adibiti anche i Laghi di Fusaro e Miseno.
Per quanto riguarda Taranto, nonostante non tutti concordino, l’ostricoltura si sviluppò più tardi, pare intorno al IV sec. d. C. , ma in breve tempo gli ostricoltori locali seppero raggiungere l’assoluta eccellenza, infatti, fu subito messa a punto, una singolare, sofisticata ed ingegnosa tecnica, ancora praticata, anche se su scala molto limitata. Nei mesi di maggio e giugno, in Mar Grande, nei pressi delle Isole Cheradi, vengono affondate ad una trentina di metri di profondità, delle fascine di lentisco (Pistacia lentiscus), appositamente approntate. Dopo circa tre mesi, queste vengono riportate in superficie, vengono tagliati i ramoscelli ingemmati dalle ostrichine che vi si sono fissate, questi, appellati in gergo zippe, vengono innestati a delle corde vegetali chiamate libàni che vengono fissati ai pergolari sostenuti dalla tipica paleria di castagno infissa sui fondali del Mar Piccolo e che costituiscono le sciaie, veri e propri giardini marini accuditi amorevolmente dai cosiddetti sciaiaruli. Negli anni venti del secolo scorso, nelle acque del solo Mar Piccolo erano tenute in allevamento trentacinque-quaranta milioni di ostriche, produzione in seguito molto ridimensionata. Negli stessi anni, studiosi appositamente incaricati dal governo, calcolarono che nei suoi mari potevano essere prodotte annualmente svariate decine di milioni di dozzine di ostriche e stimarono anche il cospicuo ricavo economico.
Questa vocazione naturale delle acque di Taranto, sarebbe stata di lì a poco mortificata con la costruzione dei grandi insediamenti industriali e la straordinaria produttività del Mar Piccolo pesantemente compromessa da fonti inquinanti e dall’installazione di un’idrovora da 120.000 mc/ora (prelievo che potrebbe svuotare il Mar Piccolo in circa un mese) che preleva acqua dal suo primo seno e che, dopo aver raffreddato gli impianti del Siderurgico, viene ributtata in Mar Grande, ormai, per così dire, completamente sterilizzata da tutto il suo prezioso carico di plancton, comprese le larve di cozze e ostriche.
Eppure, oggi, essendo enormemente migliorati i mezzi tecnici e i sistemi di conservazione e trasporto e soprattutto essendo esponenzialmente aumentata anche la richiesta di questi pregiati molluschi, si potrebbe rilanciare su larga scala questa produzione, anche alla luce di interessanti studi e di sperimentazioni innovative compiute in questo campo dai centri di ricerca. Occorrerebbe però un drastico ridimensionamento e una riconversione ambientale della mastodontica area industriale, che lambisce le acque di Taranto e che a fronte di altalenanti benefici economici, ha generato anche tanta disgregazione sociale, nonché un affievolimento dell’identità culturale legata ai lavori del mare, e soprattutto inestimabili danni ambientali. A tal proposito, sono diversi e promettenti alcuni sistemi innovativi di allevamento messi a punto da centri di ricerca locali, fra questi, il progetto “Re.O.Tar” che ha verificato, se l’Ostrea edulis fosse localmente ancora idonea ad un produzione di tipo commerciale, monitorando le condizioni di riproduzione, accrescimento e mortalità della specie in base a diverse tecniche di allevamento.
Un altro progetto esplorativo di ricerca, della Regione Puglia, il REPORT, ha verificato la possibilità di ridurre il costo di produzione, risolvendo il problema delle alghe e degli animali incrostanti, che impegnano per molte giornate gli allevatori, mettendo a punto un curioso metodo che consiste nell’allevare le ostriche in gabbia insieme a dei ricci, i quali, da instancabili brucatori quali sono, tengono pulite le ostriche, sollevando così gli allevatori da questa faticosa e onerosa incombenza. Oggi, di fatto, l’offerta di mercato di ostriche piatte allevate localmente o raccolte dai banchi naturali è piuttosto limitata per cui nelle pescherie si trovano prevalentemente ostriche di provenienza francese o allevate con “seme” della stessa provenienza e che appartengono ad una specie diversa la Crassotea gigas, comunemente nota come ostrica concava.
Senza rischiare di essere tacciati di campanilismo, ma supportati in questa valutazione da illustri gourmet, possiamo con certezza affermare il primato della nostra ostrica piatta, per cui, è importante distinguere le due specie.
L’ostrica piatta, presenta una forma a pianta circolare irregolare, con un diametro degli individui di taglia commerciale compreso tra i 7 e i12 cm, le due valve non sono simmetriche, ma presentano una valva (la sinistra) più spessa e concava. All’esterno la conchiglia si presenta rugosa con lamelle di colore grigio scuro tendente al nero, mentre all’interno è bianca. Dal punto di vista organolettico ha un gusto originale, considerato prelibato e ineguagliabile dai buongustai e così sintetizzato: dolce, delicato, con un leggero sentore di iodio e retrogusto di nocciola.
L’ostrica concava, presenta invece una forma a pianta decisamente più allungata che nella taglia commerciale può oscillare dagli 8 ai15 cm e valve asimmetriche. La forma, anche a causa di ibridazione con altre specie è irregolare e variabile in base al substrato su cui si sviluppa. L’esterno della conchiglia è grigio chiaro, con macchie rosso violacee disposte a fasce, mentre l’interno della stessa è bianco. L’ostrica concava, detta anche francese o anche giapponese perché fu introdotta in Francia dal Giappone quando la popolazione autoctona fu decimata da una virosi, è una specie, organoletticamente molto meno pregiata, caratterizzata da carni tenere, ma dal sapore più deciso e salino.
Le ostriche, che potrebbero apparire un vezzo gastronomico da ricchi snob, sono invero uno degli alimenti più nobili e completi esistenti in natura, e un’alimentazione a base esclusivamente di ostriche potrebbe mantenere in vita ed in buona salute un essere umano. D’altronde, ostriche e altri frutti di mare, sono stati, grazie alla facilità di approviggionamento rispetto ai pesci, un’importante fonte di sostentamento per l’uomo sin da epoca remota, come testimoniano enormi cumuli di conchiglie in prossimità di insediamenti preistorici in Germania e in Bretagna, ma anche in tempi molto più recenti, nella non opulenta Puglia il loro contributo è stato determinante per supplire ai limiti di un’alimentazione molto povera e carente di molti principi nutritivi.
L’ostrica, a fronte del contenuto di appena il due per cento di grassi, offre una quota importante di proteine nobili e tutte le quattro vitamine fondamentali A, B, C e D, in particolare quest’ultima,la PPela B12, particolarmente abbondanti. E’ poi una buona fonte di fosforo, calcio e magnesio, ma è sicuramente la ricchezza di zinco, manganese, ferro e selenio a renderla particolarmente interessante, come antianemico e nella prevenzione e cura di molte disfunzioni causate dalla carenza di questi preziosi elementi. Infine non si possono non citare le ultranote qualità afrodisiache, apprezzate anche queste sin dall’antichità, non a caso i greci fecero nascere Afrodite, dea dell’amore, proprio dentro le valve di un’ostrica.
Le ostriche vanno generalmente consumate crude (sempre dopo essersi accertati con sicurezza del loro passaggio da un serio impianto di stabulazione) con la classica spruzzatina di limone e accompagnandole con uno dei tanti buoni vini bianchi prodotti in Puglia.
Ostriche alla brace
Adagiate le ostriche direttamente sulla brace e appena schiudono le valve ponetele in una sperlunga e servitele mettendo a disposizione olio extravergine d’oliva pepe nero e limoni a spicchi. Ai perfezionisti dal palato sopraffino consigliamo di porre le ostriche sul fuoco con la valva più concava in basso e appena queste accennano ad aprirsi di prenderle e vuotarne il liquido intervalvare in una salsiera; di riporle ancora per qualche minuto sulle braci, quindi di ritirarle e servirle con una saletta ricavata mescolando il loro liquido con olio extravergine d’oliva, succo di limone e pepe nero macinato al momento.
Ostriche mollicate alla brace
Sciacquate per bene delle ostriche, apritele, eliminate una valva e disponetele su di una graticola. Cospargetele blandamente con un trito preparato con prezzemolo ed aglio, spolverizzatele con un miscuglio di pagrattato aromatizzato con origano e pepe ed insaporito con sale. Irroratele con qualche goccia di limone ed olio extravergine d’oliva e ponete la graticola su braci vive per cinque minuti e servirle subito.
Ostriche gratinate
Aprite le ostriche, eliminate una valva e risciacquatele in acqua marina. Adagiatele in una teglia, cospargetele con prezzemolo tritato, poi con pangrattato delicatamente aromatizzato con del pepe nero macinato al momento ed infine irroratele con olio extravergine d’oliva. Ponetele in forno caldo per pochi minuti e comunque sino a quando la loro superficie si presenterà di un bel colore dorato
“Cognotti” ovvero, Concia di ostriche di Taranto
I “cognotti”, una particolare concia di ostriche, cozze ed altri molluschi, appartengono ormai solo alla storia della città di Taranto, di cui sono stati praticamente un’esclusività. Prendono il nome dai loro contenitori, dei barilotti di legno dal profilo vagamente cuneiforme. Di questi “cognotti” si trova riscontro in documenti e testi risalenti già a tre secoli addietro, anche se il loro uso è certamente più antico, risalendo secondo alcuni studiosi ai tempi di Apicio. E Luigi Sada, emerito studioso del campo, ne riporta una versione: “i frutti delle ostriche, delle cozze o del calcinello si cavano dal guscio e si friggono sino a raggiungere un alto grado di cottura chiamato ‘un secco di frittura’ che rende il frutto molto ammorbidito. Indi si fa bollire aceto, miele, biscotto grattugiato, un po’ di cannella per la durata di quaranta, cinquanta minuti. Quando si raffreddano, si mescolano i frutti dei bivalve e si conservano nel liquido prodotto in un vasetto di terracotta maiolicata grottagliese (capasédda) per la durata di dieci giorni. Dopo di che vengono messi nei cognotti. Dopo altri dieci giorni si possono portare a tavola” . Questa rarissima preparazione non ha, inspiegabilmente ormai da tempo più cultori, eppure numerose e lusinghiere sono le referenze positive che la riguardano a partire da un ampio medagliere conquistato in tante rassegne internazionali del secolo dei lumi. Un’illustre testimonianza ce l’ha lasciata pure lo scrittore Guido Piovene, che avendo fatto in tempo a conoscere i “cognotti” intorno alla metà del secolo scorso, quando a Taranto ancora li produceva la rinomata pasticceria La Sem, li ha gustati e apprezzati citandoli poi nel suo libro “Viaggio in Italia”. Oggi, che la gastronomia è in continua ascesa e lascia intravedere anche per il prossimo futuro un trend nettamente positivo, chissà se anche i “cognotti” non possano tornare meritoriamente in auge.
Ecco una versione molto esemplificata:
2 kg di ostriche,6 dl d’aceto bianco di vino,500 g. di miele, farina 00,100 gdi biscotti di pasta frolla tritati,100 gdi mandorle leggermente tostate e tritate,50 grammi di scorze d’arancia e o di limoni candite e cannella in polvere q.b. .
Pulite le cozze, raschiatele, e risciacquatele accuratamente, ponetele in una casseruola con un filo d’acqua sul fondo e fatele aprire. Eliminate le valve e ponete le cozze a sgocciolare in un colino. Infarinatele e friggetele in abbondante olio da frittura bollente, sino a farle acquisire una colorazione bruno dorata, quindi ponetele su carta assorbente a perdere l’unto in eccesso. Fate scaldare in una bastardella di acciaio inox il miele con l’aceto allungato con un po’ d’acqua e appena accenna a bollire unite le cozze, tutti gli altri ingredienti e continuate la cottura per almeno cinque minuti. Versate quanto ottenuto ancora bollente in un vaso preferibilmente di vetro opaco, chiudetelo e lasciate raffreddare. Una volta aperto, il prodotto va tenuto in frigo e consumato in breve tempo.
Ostriche crude condite con olio, pepe e limone.Tutto ok, ma chi ci garantisce l’immunità dalle infezioni tifoide o similari? Tutti i testi di medicina sconsigliano a mangiare crudi ogni tipo di molluschi bivalvi. Conviene rischiare? A chi credere? Il ns. Dt. Gaballo, specialista ed esperto di igiene dell’alimentazione, cosa ne pensa in merito? Cosa ci consiglia?
li mangio raramente (mai i mitili crudi) ma per chi ne va ghiotto è molto difficile rinunciare. Se li consumassi ti risponderei con una massima del nostro popolo: fa comu ticu jeu e no come fazzu jeu.
Per amor di precisione, pur essendo un cultore della sana alimentazione e della dieta mediterranea in particolare, non questa è la mia specialità. Non è bene appropriarsi di titoli.
[…] nostra continua ricerca delle radici marinare di terra jonica, ci siamo imbattuti in questo eccellente articolo di Massimo Vaglio, esperto neretino di cucina, che non possiamo non […]
complimenti per l’articolo, che abbiamo diffuso anche attraverso il sito della nostra associazione, che si occupa di recupero della cultura marinara tarantina!
http://www.lesciaje.it/2012/03/14/lezione-magistrale-sulle-ostriche-tarantine/