La festa delle trombe
di Rosario Quaranta
Stando a una tradizione medievale, la presenza di ebrei in alcune città della Puglia risalirebbe addirittura agli anni immediatamente successivi alla caduta di Gerusalemme del ‘70 dopo Cristo ad opera di Tito e alla conseguente deportazione degli abitanti: “Quelli che (Tito) stabilì in Taranto, Otranto e in altre città della Puglia fu di circa 5.000”si legge nell’opera Sefer Iosefon risalente al X secolo. Se questa notizia suscita qualche dubbio o perplessità circa la realtà storica dell’avvenimento, non altrettanto si può dire circa la presenza di ebrei nella città bimare a partire dalla fine del quarto secolo dopo Cristo, che è attestata da una consistente documentazione epigrafica in greco, latino ed ebraico, conservata nel Museo Nazionale di Taranto e da molti altri documenti che Cesare Colafemmina ha studiato e proposto nella monografia Gli ebrei a Taranto: fonti documentarie (Bari 2005).
Per l’illustre studioso quella degli ebrei fu una presenza piuttosto consistente che diede vita a una vera e propria cultura ebraica pugliese e che vide nei secoli VIII-IX una grande fioritura poetica. Poiché la maggior parte delle iscrizioni sono in latino, si pensa che la colonia ebraica si identificò con l’elemento latino-longobardo piuttosto tollerante nei loro confronti. I Longobardi presero Taranto tra il 670 e il 680, togliendola a Bisanzio, e la tennero fino all’840, quando venne occupata dagli Arabi, scacciati a loro volta 40 anni dopo dai Bizantini che ripristinarono la cultura greca.
Un riferimento ufficiale alla presenza degli Ebrei a Taranto si ritrova nel diploma del 1133 di Ruggero II (confermato poi nel 1195 da Enrico VI di Svevia) in cui il re normanno, accogliendo le richieste del vescovo Rosemanno, concesse a lui e alla sua chiesa le donazioni e i privilegi già fatti dal duca Roberto il Guiscardo, dal principe Boemondo e dalla madre di questi Costanza. Fra le donazioni c’erano molti casali tra i quali Grottaglie, ma c’erano pure i redditi sulle attività dei giudei della città.
Oltre che a Taranto, ebrei e neofiti si impiantarono in alcune località vicine. Altri vi immigravano da sedi più lontane. Talora si trattava di presenze occasionali dovute a motivi commerciali o professionali, come a Massafra. Presenze stabili sono attestate a Grottaglie, Martina Franca, Manduria, Castellaneta. In quest’ultima cittadina è ancora in uso il toponimo Via Giudea. La vita degli ebrei a Taranto non era fatta solo di commercio, artigianato, prestito bancario. Alcuni codici ebraici del XV secolo ci illuminano sugli aspetti più profondi dell’identità ebraica, quella culturale e religiosa (…).
Federico, figlio di Ferrante I d’Aragona, con i Capitoli del 12 giugno 1498 concesse agli ebrei una lunga serie di garanzie e di riconoscimenti di diritti. Successivamente, con la conquista spagnola del regno di Napoli (1503) si assistette al tramonto e alla fine del Giudaismo dell’Italia meridionale, dapprima col bando di espulsione del 1510 di Ferdinando il Cattolico che interessava tutti i giudei e i “cristiani novelli”, salvo poche eccezioni; e infine con Carlo V che “nel maggio 1541 emanò un decreto con cui ordinava senza pietà a tutti i giudei che abitavano nel regno di Napoli di uscire dalle sue terre entro il mese di ottobre. Entro la data stabilita, i giudei pugliesi lasciarono il Regno: alcuni si avviarono alla volta di Roma, gli altri si imbarcarono chi per Venezia, chi per Ragusa, la maggior parte per Corfù e Salonicco. Restarono solo quei neofiti che si erano assimilati alla popolazione cristiana e nella quale poco per volta si dissolsero. Ma le autorità non li dimenticavano, e per parecchio tempo restò loro appiccicata la qualifica, invero poco onorevole e sempre fonte di sospetti, di “cristiani novelli” (Colafemmina).
Secondo alcuni documenti e una tradizione costante, anche a Grottaglie si è registrata quindi una attiva presenza ebraica tra basso Medioevo e primo Cinquecento.
Inizialmente, secondo la ricostruzione fatta da Ciro Cafforio nella monografia La Lama del Fullonese (Taranto 1961), essi si stanziarono nella gravina del Fullonese per esercitarvi la tintoria e la concia delle pelli, come il toponimo lascia intendere: “i giudei venuti in quel tempo, nella nuova dimora trovarono condizioni favorevoli all’esercizio e allo sviluppo dei loro mestieri. La pastorizia e l’allevamento di bovini di razza pregiata, detti dal pelo lombardo, erano praticati su larga scala dai naturali del luogo e fornivano le pelli da conciare; i boschi poi offrivano abbondantemente foglie di lentischio e di corbezzolo, cortecce di quercia e noci di galla: vegetali questi che, contenendo grande quantità di tannino, di acido gallico e di mannite, erano usati direttamente come materie concianti. In molte antiche scritture una contrada dell’agro di Grottaglie è chiamata «Monte di Giuda seu la strada di Ceglie». Essa veniva a trovarsi al nord-est dell’abitato ed è così precisata nella Platea dei beni della Mensa Arcivescovile di Taranto. Per essere detta località macchiosa con cespugli di corbezzoli e di lentischi, non sembra difficile che i giudei del Fullonese l’abbiano presa in enfiteusi o secondo l’uso longobardo col sistema curtense, donde il nome «corte » per la raccolta della «frasca». Sugli spalti della lama è ancora visibile qualche vasca di macerazione, scavata nella roccia. L’acqua necessaria a tale uso sulle prime fu attinta da pozzi esistenti nel fondo valle; in seguito, per le maggiori necessità, il Pubblico Reggimento fece scavare dei pozzi di acqua viva a ponente della lama nel luogo che da allora si disse «de puteis novis» (…).
In conseguenza poi del mestiere di tintori, la tradizione ricorda che gli Ebrei diffusero negli orti e nei giardini di Grottaglie la cultura del melograno, il frutto del quale, come è noto, dà la corteccia che si usa per tingere di giallo le stoffe e i marocchini. Circa la religione, è superfluo dire che gli immigrati, quando si stabilirono nella lama del Fullonese, professavano il giudaismo, al quale rimasero fedeli ancora per qualche secolo. Il luogo in cui si riunivano per pregare e leggerela Scritturaè visibile anche oggi. Sulla fiancata destra della lama e propriamente quasi alla metà, là dove il solco vallivo forma un gomito più accentuato, si aprono due grotte discretamente conservate (…). Con la costruzione delle mura del paese, le grotte della lama del Fullonese vennero tagliate fuori e allora gli abitanti si ridussero nell’area fortificata. Gli Ebrei ebbero a loro disposizione un rione nella parte sud-ovest del paese, vicino alla porta S. Antonio. Il rione fu detto «la Giudeca»; la strada di accesso «de li cuoiai » prima, e «delli scarpari» poi. La chiesa ivi esistente fu detta S. Stefano «dei Giudei» (…). La conversione fu una conseguenza naturale della convivenza col popolo grottagliese e una necessità. Anche a volersi mantenere fedeli alle tradizionali credenze, come è il carattere spiccato dei giudei, gl’inevitabili rapporti economici e sociali con i cristiani, annessi e connessi con i mestieri che esercitavano, indebolirono a poco a poco l’intransigenza dei loro principi religiosi. Ma fu anche una necessità : 1) per beneficiare delle concessioni e privilegi che i principi largivano agli abitanti di Grottaglie; 2) per sottrarsi alle decime dovute all’Arcivescovo di Taranto, che per giunta era feudatario del luogo; 3) per liberarsi dal disprezzo col quale venivano fatti segno nella settimana di Passione, quando cioè la Chiesa commemora la morte di Cristo, dovuta proprio ai giudei.
Questi novelli cristiani nel corso dei secoli esercitarono sempre i mestieri di tintori e di conciapelli; alcuni si elevarono al rango di commercianti, tenendo botteghe di «pannacciari di piazza, propriamente sottola Ven. Confraternitadel S.S. Rosario». Essi portarono la loro attività a sì alto grado da meritare l’esenzione delle tasse, caso unico nella storia ferocemente fiscale di Grottaglie che si dibatteva in deficit e debiti, liquidati solo quando fu abolito il feudalesimo (…) I giudei, entrando dunque ad abitare nella cerchia delle mura di Grottaglie, al principio del secolo XIV si unirono ai Grottagliesi anche spiritualmente, e contribuirono in tutti i tempi a dar lustro alla patria adottiva.”
Altre testimonianze documentali sulla presenza degli ebrei a Grottaglie, oltre quelle richiamate dal Cafforio, ho potuto ritrovarle in alcuni codici e pergamene dei secoli XV-XVI conservati nell’Archivio Storico Diocesano di Taranto e nell’Archivio Capitolare di Grottaglie, e in particolare:
a. Registro censuario del 1417 in cui si parla di una casa e di un terreno locati rispettivamente per venti anni e in perpetuo a “Nicolao neophito”, ossia a un giudeo convertito al cristianesimo (Registrum exaratum in anno MCCCCXVII pro Maiori Ecclesia Annunciationis Criptalearum, Ms in Archivio Arcivescovile di Taranto).
b. Una pergamena del 12 agosto1486, in cui si fa riferimento al diacono Angelo de Gasparro che chiede copia di una sentenza del capitano arcivescovile Darede de Cava, riguardante i giudei Mosè e Giacobbe da Rossano contro Mico de Michi (Archivio Capitolare di Grottaglie, Pergamene, Notaio Cataldo De Tipaldo)
- Alcuni riferimenti nel protocollo del notaio Federico Ciracì (Federicus Cirasinus) dai quali si ha notizia di una località extraurbana denominata S. Pietro de Iudeis (Atto del 2 novembre 1531) e dell’esistenza della Giudecca presso le mura (in convicinio de Iudeca iuxta moenia; atto del 24 gennaio 1532). In quest’ultimo documento il venerabile D. Donato Ristaino affitta a mastro Geronimo Manigrasso una casa palazzata con camera e cisterna sita appunto nel rione della Giudecca, per nove anni e per cinque ducati l’anno, per farci una conceria di pelli e per esercitarvi tutte le attività connesse all’arte del conciapelli.
Gli Ebrei avrebbero lasciato il ricordo della loro permanenza a Grottaglie non solo nella onomastica e nella vita economica, ma anche in una manifestazione folcloristica che si svolgeva annualmente il 29 giugno.
Si tratta della festa delle trombe che così viene descritta dal Cafforio: “questa consisteva nell’allietare maggiormente la ricorrenza religiosa col suono delle trombe di argilla, di fabbricazione locale, dai primi vespri della vigilia fino alla notte del 29 giugno. Simpatica pratica folcloristica, questa, e forse unica nella nostra regione, che fu anche introdotta in Grottaglie dai cristiani novelli. È noto che gli Ebrei usarono le trombe da principio nel Tabernacolo nei giorni delle feste solenni, quando immolavansi gli olocausti e le vittime di pacificazione; in seguito nel tempio per annunziarvi le feste solenni, l’ingresso del giorno di sabato e i giorni della luna nuova (…) I ragazzi, appena venuti in possesso delle trombe, toccavano, come suoi dirsi, il cielo col dito le provavano, tentavano gli acuti da prima con cautela per non impressionare bruscamente gli orecchi dei familiari e poi a gran fiato. Chi poteva uscire all’aperto, sulla strada o in cortile, si sbizzarriva a volontà, e così il frastuono cominciava. Ma il più alto grado dello strepito si raggiungeva la sera della festa nei pressi della chiesa di S. Pietro (…) A notte alta tornava il silenzio e quei suoni non si sentivano più per un anno preciso, perché a festa finita gli strumenti di argilla andavano in frantumi.”
La “festa delle trombe” (e chi scrive la ricorda bene), interrottasi per molti decenni, è stata ripresa con successo da qualche anno grazie al “Piccolo Teatro di Grottaglie”. E così anche quest’anno, il 29 giugno, giorno consacrato ai santi Pietro e Paolo, nella piazzetta antistante la piccola chiesa dedicata al principe degli apostoli, sarà possibile ascoltare, tra canti, poesie e musiche popolari, quel caratteristico, roco suono delle effimere trombe in terracotta che rinnoverà il ricordo di una tradizione che si perde nel buio dei tempi.