di Michele Stursi
L’aratro affonda con forza e poi risale impetuoso, smuovendo e frantumando zolle compatte, friabili in superficie, di una terra rossiccia, pregiata. Nell’aria, tutt’intorno, si spande un odore di nuovo: è arrivato il momento, è per questo che in silenzio e con rassegnata accettazione la terra che sino ad ora ha potuto godere della bellezza della natura si lascia trascinare giù, accogliendo con umile entusiasmo quella nuova e fresca, che tanto ha atteso questo momento.
I raggi del sole non riescono a farsi strada tra le fitte nubi grigiastre, talmente basse che per istinto vien d’abbassare il capo per evitare di sbatterci contro. Un elegante gioco di chiaroscuro potrebbe rievocare il ricordo del mare, ma tutti sanno che quei solchi e quell’odore inconfondibile sono entrambi figli della terra e come tali sembrano impossessarsi di tutta la campagna, fagocitando nella foga dell’inatteso rinnovamento sin anche quella piccola casa, solitaria ai piedi del secolare olivo.
Gli stessi solchi ora si allontanano da me e si portano indisturbati ai piedi della parete, la scavalcano come crepe nell’intonaco ed entrano dalla finestra semiaperta; poi continuano il loro pellegrinaggio su un piccolo tavolino, tra vecchie assi di legno traballanti, e infine eccoli imprimersi sulle mani di un’anziana signora. Le fasciano dapprima i polsi, si avvinghiano sulle nocche e poi di lì giù per le dita sino a morire nell’impasto che con tanto amore la donna rivolta, tira di qua, ora di là e poi ricomincia. Con una manciata di farina cerca di scollarsi la pasta molle e appiccicosa di dosso, strofina forte le mani imbiancate, piega le dita, distende il pollice, che ingenuamente traccia ancora dei solchi, intrecciati ora a formare una piccola croce.
Da quell’universale simbolo di redenzione si diramano, rispondendo al dolce calore del fuoco, gli innumerevoli solchi che vanno a intarsiare la profumata e croccante crosta del pane. Rimangono in superficie, non intaccano il cuore di mollica bianca, e attendono con pazienza di raggiungere la colorazione giusta, segno di una buona cottura.
Approfittano di questa pausa per riprendere a viaggiare: s’incamminano giù per la scorza del pane sino a toccare le mattonelle di terracotta ardenti e screpolate, le attraversano sfruttando cinerei canalicoli, sfiorano tizzoni incandescenti, si lasciano accarezzare da vorticose fiamme, per imboccare subito dopo l’uscita dal grande forno e ritrovarsi di nuovo in aperta campagna. E di nuovo per terra, evitando le piccole radici di erbe e piante spontanee, viaggiano spedite sino al grande olivo; imboccano una delle tante radici, poi circonvallano l’immenso tronco con spugnose trincee e si portano in alto, tra i rami e le argentee foglie.
È qui che finisce il sentiero dei solchi: dopo essersi sminuzzati infinite volte, eccoli lì che attendono, quasi invisibili, aggrappati come pelle verdastra alle piccole olive, quella carezza di vento che le farà vibrare attorno al loro peduncolo sino a scollarselo di dosso e cadere leggiadre per terra. Solo allora potranno riprendere a viaggiare: alcuni si fonderanno con la terra, aspettando l’aratro, altri resteranno indissolubilmente legati alla scorza nera delle olive mature, moriranno affogati nell’olio nuovo, ma subito riprenderanno vita su una fetta di pane.
E intanto quei solchi sulle mani dell’anziana donna vi rimangono, gettano radici, si addentrano sempre più nella carne, raggrinzano la pelle, la devastano come un cancro inarrestabile, sino a portarla alla tomba. Alcuni la chiamano vecchiaia, altri vita. In un modo o nell’altro quelle mani continueranno in eterno nella mia memoria a rivoltare gli ingredienti giusti per un pane che non sazia, ma fa campare in eterno.
Che bella idea quella dei “solchi” per far coagulare la scrittura intorno a temi e scenari sì differenti ma uniti in una finalità…come dire… culturale?
Quasi come in uno spot pubblicitario, solchi di terra invadono il panorama, entrano in altre dimensioni, in un viaggio fantasmagorico e umile insieme, cinematografico.
…” intrecciati ora a formare una piccola croce”…, “…per terra evitando le piccole radici di erbe e piante spontanee”…, ”…riprenderanno vita su una fetta di pane…” pezzi di frasi che fanno intendere la delicatezza del viaggio, il rispetto di ogni tappa e della meta finale…
Così in un viaggio, in un percorso che ci vede in cammino da millenni, rispettosi e beneficiari di ciò che abbiamo avuto in dono.
Tutto è in equilibrio nel viaggio dei solchi.
Non si intravedono ruspe in questo scenario.