di Marcello Gaballo
La festa del santo senese (*Massa Marittima, 8 settembre 1350 – +L’Aquila, 20 maggio 1444) è occasione utile per sottolineare ancora una volta l’operosità del parroco don Giuliano Santantonio, che ha fermamente voluto il restauro dell’affresco del santo francescano, celebre nel mondo per la devozione al santissimo nome di Gesù e per la riforma del suo ordine, della quale fu uno dei principali sostenitori.
La straordinaria capacità oratoria e le ferventi prediche tenute in moltissime città italiane ne fecero il più illustre predicatore italiano del secolo XV.
Non si riproporrà qui la biografia, trattata ampiamente in numerosissimi libri e facilmente consultabile nel web, mentre piace sottolineare come nessuno degli agiografi ufficiali faccia cenno della sua sosta in Puglia e a Nardò nello specifico. Si descrivono infatti le sue celebri prediche tenute per un trentennio in quel di Mantova, Bologna, Venezia, Ferrara, Siena, Viterbo e nell’Urbe, ma non risultano soste pugliesi.
Si è portati a considerare quelle neritina come l’unica tappa del santo nella nostra regione, e vi giunse perché chiamato dal vescovo dell’epoca, suo confratello, monsignor Giovanni Barella o Barlà, in carica dal 1423 al 1435[1].
Il fratello Minore avrebbe predicato nella cattedrale di Nardò nel 1433 e la memoria di quel celebre atto fu immortalata qualche decennio dopo da un altro vescovo neritino, Ludovico de Pennis, in carica dal 1451 al 1484[2]. Il presule volle raffigurare l’evento ritraendo il santo nell’atto di predicare dal pergamo di questa cattedrale, con un affresco del 1478, ventotto anni dopo la santificazione. La presenza dello stemma episcopale[3], replicato nei due angoli superiori, consente di fornire veridicità sulla datazione dell’opera.
Molti secoli dopo ancora un vescovo neritino, Antonio Sanfelice[4], volle rimarcare quel giorno facendo dipingere a celeberrimo Solimena il santo con in mano il turibolo. Ciò avvenne nel 1734, con pittura ad olio sul marmo del lastrone posteriore del pergamo, addossato alla quinta colonna della medesima cattedrale[5]. L’inusuale tecnica e l’usura del tempo hanno cancellato buona parte del dipinto e confidiamo sempre nella sensibilità del parroco a che si recuperi quanto gravemente danneggiato.
Ma torniamo al nostro prezioso affresco, che originariamente si trovava su di un pilastro della navata sinistra, inserito in una più ampia decorazione pittorica che solo in minima parte sopravvive.
I rifacimenti e rimaneggiamenti del provato edificio sacro, in origine basiliano, poi benedettino, ampiamente rivisto nel XVI secolo, quindi da Ferdinando Sanfelice (Napoli, 18 febbraio 1675 – Napoli 1 aprile 1748) ed infine dagli importanti lavori di restauro e ripristino della fine dell’800, probabilmente causarono diverse traslazioni del nostro, come avvenne per altri pregevoli affreschi eseguiti nello stesso edificio.
L’affresco, su incarico del Ministero, venne separato nel 1893 dal muro con la tecnica dello “strappo” dal pittore-restauratore romano Pietro Cecconi Principi e montato su una rete metallica trattata adeguatamente, per essere collocato dove si trova attualmente[6].
Alto 270 cm e largo 130, l’affresco è stato restaurato quest’anno da Januaria Guarini e Gaetano Martignano, che lo hanno ultimato nell’aprile 2011[7]. Eccellente il lavoro da essi effettuato, anche perché non facile era la rimozione meccanica del cemento utilizzato dal Cecconi Principi e dell’altro del 1980, quando con esso si vollero colmare delle lacune. Diligentemente rimosse anche le scialbature a calce e le scolature di colore utilizzato nella ridipintura delle pareti. Tutte le complesse fasi di restauro hanno restituito un’opera tra le più belle della cattedrale, la cui iconografia merita dei cenni.
Il santo è raffigurato in piedi, inquadrato in un’edicola ottagonale, leggermente rivolto a sinistra. Indossa un saio grigio con cappuccio e cordone intorno alla vita da cui pende un sacchetto. Con la mano destra regge una tavoletta circolare col trigramma JHS, con la quale benediva i fedeli al termine della sua predicazione, e nella sinistra ha un antifonario aperto su cui si legge Pater/ mani/ festa/ vi no/ men/ tuum/ homi/ nibus. In alto, agli angoli, sono dipinti i citati due scudi con lo stemma del vescovo; ai lati del capo si legge il nome del santo (S. BER – NAR. OM[8].).
A parte la rarità del soggetto in Puglia, occorre anche rimarcare che il nostro è uno dei più antichi ritratti, probabilmente conforme al calco mortuario eseguito a L’Aquila, comunque assai vicino ai prototipi delle rappresentazioni rinascimentali di Bernardino che lo raffigurano calvo, con il volto scarno e mento prominente[9].
Qualche nota merita anche il trigramma JHS, il simbolo ideato dal nostro santo, che per questo motivo è ritenuto patrono dei pubblicitari.
Consiste in un sole raggiante in campo azzurro, al centro del quale vi sono le lettere dorate IHS, le prime tre del nome greco di Gesù, oppure forma abbreviata di “Iesus Hominum Salvator”. L’asta sinistra della H è chiaramente tagliata in alto per farne una croce.
Il sole è chiara allusione a Cristo e i dodici suoi raggi a serpentina rappresenterebbero i dodici Apostoli. Studi accreditati dei secoli scorsi attribuiscono ai raggi un preciso significato teologico: il primo raggio starebbe per “rifugio dei penitenti”; il secondo per “vessillo dei combattenti”; il terzo per “rimedio degli infermi; il quarto-conforto dei sofferenti, il quinto-onore dei credenti, il sesto-gioia dei predicanti, il settimo-merito degli operanti, l’ottavo-aiuto degli incapaci, il nono-sospiro dei meditanti, il decimo-suffragio degli oranti, l’undicesimo-gusto dei contemplanti, il dodicesimo-gloria dei trionfanti.
Nella nostra tavoletta non figurano altri otto raggi che in altre raffigurazioni si intercalano ai precedenti, che rappresenterebbero le beatitudini.
Il simbolo, più tardi adottato anche dai Gesuiti[10], dunque conteneva la devozione al Nome di Gesù. Venne rappresentato in moltissimi luoghi religiosi e civili, pubblici e privati, e risulta che esso campeggiasse sulle antiche porte della città di Nardò. Sempre in città sopravvive ancora sulla facciata della chiesa dei SS. Medici, sull’architrave d’accesso al palazzo di città (nella piazza), sul pergamo della cattedrale e in diversi altri luoghi che sarebbe troppo lungo elencare.
Ci piace esprimere gratitudine al citato don Giuliano per la sensibilità e l’impegno dimostrato, ancora una volta, a salvaguardare il notevole patrimonio artistico di cui la città di Nardò può gloriarsi.
Per approfondire e sulla vita del santo:
http://it.wikipedia.org/wiki/Bernardino_da_Siena#Le_prediche
http://www.paginecattoliche.it/modules.php?name=News&file=article&sid=1506
http://www.santiebeati.it/dettaglio/27300
[1] Nato a Galatina nel 1359, nato da nobile famiglia, francescano, deceduto a Nardò nel 1435, nominato dal pontefice Martino V.
[2] Nato a Napoli nel 1393, di nobile schiatta, deceduto a Nardò nel gennaio 1485, nominato dal pontefice Niccolò V.
[3] ”d’azzurro a tre penne di struzzo d’ argento disposte in palo” (cf. M. Gaballo, Araldica civile e religiosa a Nardò, p. 88).
[4] Napoletano, XXIV vescovo della diocesi, in carica dal 2/11/1707 sino al 1/1/1736, data della sua morte.
[5] Cf. V. De Martini-A. Braca (a cura di), Angelo e Francesco Solimena, due culture a confronto, Fausto Fiorentino Ed. 1994, pp. 83-84.
[6]A. Tafuri, Ripristino e restauro della Cattedrale di Nardò, Roma 1944, p.66; C. Gelao, Chiesa Cattedrale, in Insediamenti benedettini in Puglia, II/2, p.439.
[7] La relazione dei lavori di restauro è datata 22 aprile 2011.
[8] OM sta per Ordinis Minorum.
[9] Una delle prime raffigurazioni di Bernardino pervenutaci, datata 1447, tre anni prima della sua canonizzazione, è data da un affresco strappato e riportato su tela proveniente dalla chiesa di San Francesco di Vercelli e conservato al Museo Borgogna. Nel 1460 (vale a dire 16 anni dopo la sua morte) s. Bernardino viene affrescato nel Santuario della Madonna del Carmine in s. Felice del Benaco (Brescia), come risulta dal libro “1952-2002 – Cinquantesimo anniversario dal ritorno dei Padri Carmelitani nel Santuario della Madonna del Carmine a s. Felice del Benaco” (da wikipedia).
[10] Pur con delle variazioni. A volte c’è la figura di Gesù al posto della croce che sormonta la lettera H (Iesus per crucem Hominum Salvator) e i tre chiodi della passione sono infissi in un cuore.
Onore e merito al nostro sensibilissimo Arciprete Don Giuliano per l’ìmpegno prestato al restauro del prezioso affresco che arricchisce di storia e di arte le pareti della nostra Cattedrale. Come ho avuto modo di scrivere in altre testate gli ribadisco la richiesta di essere attento e vigile anche in altre preziose opere che da tempo venerabile sono presenti nella nostra Cattedrale che con vanto e onore i nostri antichi predecessori con tanto amore e interesse ci hanno tramandato.
Mi riferisco, in particolare, al pregiatissimo organo che da decenni, senza giustificazioni, giace tra le incurie, le ragnatele e la polvere, malgrado le enormi spese sopportate nel 1980 dall’allora Arciprete Don Alfredo Spinelli, spronato dall’ineguagliabile Vescovo Mennonna, sempre sensibile ai valori culturali, artistici e storici che le nostre chiese custodivano e che malgrado le molte attuali e ingiustificate incurie esistono ancora.
Invito e imploro il nostro attuale e sensibilissimo Arciprede di far ripristinare il nostro prezioso organo e di accantonare e rottamare l’inutile pianola elettrica che mal si addice in quel posto ricco di storia, arte e venerabiltà. Invito il nostro Don Giuliano a far si che il nostro organo riprenda a suonare e a far riempire la Chiesa di quelle arie musicali che solo quel prezioso organo riesce a dare…..Grazie – Salvatore Calabrese
Sarei felicissimo di poter ripristinare l’organo a canne della Cattedrale, che tra l’altro sembra essere l’unica opera così mastodontica di Pacifico Inzoli in Puglia. Ma occorrono 200.000,00 euro che non so proprio come reperire. In quanto alla causa dell’attuale situazione dell’organo vorrei precisare che non è dovuta a recente incuria, ma alle termiti, che per almeno 50 anni si sono nutrite del legno dell’organo (così come delle porte della Cattedrale), svuotando completamente la sua struttura portante, al punto che il rischio di crollo impedisce di mettervi piede se non altro per spolverarlo. Confido in un annunciato rifinanziamento regionale della legge sul restauro degli organi storici, che spero arrivi prima che l’organo crolli del tutto. Intanto ho provveduto a bonificare la Cattedrale dalle termiti. Speriamo…. don Giuliano
Eg. Don Giuliano
In effetti ero a conoscenza che la causa del degrado è dovuto alle termiti, per quanto riguarda il finanziamenti avrei altre soluzioni che non è il caso di elencare su queste pagine, però se vi fa piacere potremmo discuterlo sul mio sito personale (qvt@tiscali.it). In attesa… Cordialmente Salvatore Calabrese
Dal 21 maggio del 2011 son già passati oltre due anni e mezzo e, malgrado i ripetuti solleciti, quell’organo giace ancora abbandonato tra l’incuria della Curia e degli organi istituzionali preposti. Chissà se il nuovo Vescovo, prelato di cui si dice un gran bene, ne è stato messo al corrente e se è intenzionato a ripristinare quell’armonioso strumento musicale che era un decoro della nostra splendida Cattedrale? Voglio essere fiducioso e ottimista, ma lo stallo e il silenzio che continua a persistere non lo vedo come un buon auspicio.