di Maria Grazia Presicce
Nell’era della globalizzazione arti e mestieri sono stati messi quasi in disparte dall’offerta massificata di manufatti provenienti dal mercato internazionale; questo ha fatto sì che antiche arti manuali siano completamente scomparse sul territorio nazionale. E’ quanto è accaduto, in particolare, nel Salento per l’antica e rinomata lavorazione del bisso detto volgarmente seta del mare. La lana-penna, infatti, proviene dal mare e si ricavava da un mollusco presente nelle acque del mare della Puglia, la Pinna nobilis e la lavorazione della sua prestigiosa fibra pare fosse prerogativa delle donne salentine1.
Purtroppo oggi le cozze penne sono divenute quasi introvabili, la loro pesca, bisogna dire per fortuna, è illegale e di conseguenza pure il semplice nesso lana-penna è caduto nel dimenticatoio. Eppure anticamente il nostro mare doveva pullulare di questi esemplari che, oltre che per la preparazione di squisiti piatti, venivano utilizzati per ricavarne e lavorarne il prezioso ciuffo, il già detto bisso o seta del mare.
Non so se questa specie di mollusco al pari delle cozze nere si possa coltivare. Se così fosse non guasterebbe che qualche volenteroso s’adoperasse a riprenderne la produzione: in un periodo di profonda crisi del lavoro il rilancio di un artigianato che ristabilisce il contatto con le peculiarità territoriali, senza prescindere dal loro utilizzo rispettoso dele esigenze naturali, dovrebbe essere riconsiderato e chissà se la riproposta della lavorazione della lana-penna non potrebbe divenire un’opportunità per il territorio salentino, magari abbinando la sua lavorazione alla tessitura delle altre fibre naturali presenti sul territorio. Mi rendo, comunque, conto che non è cosa facile, data la competizione con i manufatti industriali che sono stati la causa principale della perdita dell’artigianalità in genere, oltre che dell’appiattimento del gusto artistico. Purtroppo l’invasione dei manufatti industriali, omogenei e senz’anima, ha contribuito a far anche sparire la manualità e la creatività. Dovrebbe essere compito della scuola individuare e coltivare qualsiasi talento, fornendo ai giovani le basi da cui partire per ridare valore alla manualità (che non sia sinonimo di avvilente, passiva esecutività) e, ancor prima, forse, attrezzarli per non cedere, loro per primi, alle lusinghe di un mercato prono alle leggi di un bieco profitto e far capire che sporcarsi le mani in senso reale è infinitamente più nobile che sporcarsele in senso metaforico, per quanto in quest’ultimo caso spesso lo sporco stenta ad essere visibile e, perciò, perseguibile…
Contemporaneamente (altrimenti si mette in campo il solito, sterile gioco dello scaricabarile) dovrebbe intervenire il sistema politico, promuovendo il prodotto artigianale su un vasto reticolo di relazioni culturali tra i vari paesi, favorendo il commercio dei manufatti e lo scambio reciproco di esperienze degli artigiani, come oggi si dice, dell’area euro, ma solo di quelli veramente bravi…
Visitando alcune delle poche botteghe superstiti dei nostri paesi, mi ha colpito il clima di solitudine che vi aleggia, nel senso che l’unica presenza umana è quella del titolare. Ricordo che fino a pochi anni fa questi erano luoghi affollati di ragazzini e giovani che nella bottega (specialmente nel periodo di chiusura scolastica) trovavano un punto di ritrovo oltre che di insegnamento/apprendimento. Tutto questo ora è scomparso e la desolazione ed un innaturale silenzio la fanno da padroni. Le cause sono certamente molteplici e non ascrivibili tutte a questo o a quell’attore: da un lato l’avversione dei ragazzi all’approccio a qualsiasi tipo di attività artigianale e la progressiva, inesorabile scomparsa dell’antico e benefico rapporto tra maestro e apprendista. Questo rapporto nel tempo si è svalutato a causa del costo della mano d’opera e di tutti i cavilli legali a cui il maestro è costretto ad assoggettarsi per non incorrere nell’illegalità. Le varie, a volte complesse, capziose, per non dire demenziali, procedure burocratiche contribuiscono a far desistere il maestro artigiano dal prendere in bottega apprendisti da avviare alla sua arte, ammesso che, per quanto s’è detto, ce ne fosse qualcuno disponibile. Si dovrebbe fare in modo di facilitare l’inserimento dei ragazzini in bottega, cosicchè stimolando la loro creatività e manualità, essi potrebbero essere avviati alla realizzazione di un metodo progettuale ed anche all’acquisizione di una propria capacità critica ed estetica che li approccerebbe all’innovazione del prodotto artigiano e quindi alla rivalutazione e al rilancio economico dello stesso. Rivalutare l’artigianato e l’arte sarebbe davvero un valore aggiunto per questa moderna società e la riscoperta della lavorazione del bisso potrebbe essere un esperimento da non sottovalutare. Ma, prima ancora di rivisitare il passato, bisognerebbe proteggere il presente, anche perché l’’interruzione nel ricambio generazionale anche in questo campo avrà esiti nefasti: passati, infatti, a miglior vita i maestri che non hanno fatto in tempo a trasmettere il loro sapere e saper fare, non ci sarà la cosiddetta “scuola”, così come quella genericamente intesa, senza virgolette, è da tempo morta e sepolta…
È una magra consolazione scoprire che delle problematiche relative alla rivalutazione dell’arte del bisso si era occupato il dott. Cosimo De Giorgi in due articoli apparsi su Il cittadino leccese. Nel primo del 2 marzo 1867 così scriveva (ho aggiunto, e questo vale anche per l’altro testo, solo le mie note di commento):
All’esposizione internazionale di Parigi sono stati, non è guari, inviati dalla nostra Commissione provinciale i prodotti tanto grezzi, che lavorati della Pinna rudes, e della P. nobilis: detti dagli antichi e dai naturalisti bisso: dai moderni tecnologi Lana-penna. Su questi prodotti, richiamo oggi l’attenzione dei miei concittadini, perché se non esclusivi in Italia sono almen propri, delle nostre Jonie costiere: ed è bene, che tutti ne conoscono l’origine, l’uso , ed il valore industriale. Qualche rapido cenno storico naturale sul mollusco generatore della Lana-penna. Il mondo vivente nell’Oceano, non è men ricco di preziose sostanze, utili alle scienze, alle arti, ed allo svolgimento dell’umano progresso, di quello che solca l’aere profumato della nostre valli litorane;o chè si muore, sente e respira sul breve guscio solido del nostro Pianeta. – L’occhio scrutatore si spinge baldo e ardimentoso a disvelare i misteri, che si nascondono fra i banchi contornati di corallo, fra gli eterni fiori di pietra delle isole madreporiche, fra gli scogli e le sabbie conchilifere, che formano il substrato delle acque. Il velo azzurro delle onde non è pel naturalista un diaframma impermeabile, ma una lente: ed egli se ne serve per scoprire la natura in esse guizzante, o lentamente moventesi o fissa; e stabilire le leggi e studiare in modi diversi coi quali in essa la vita si propaga e si svolge – ci passa davanti lo stuolo numeroso degli enormi cetacei, tanto ricchi di tradizioni storiche e di superstizioni, quanto utili all’uomo per prodotti primi e secondari: mondo popolato dai poeti; sconosciuto ai naturalisti fin quasi al secolo XVI. Uccelli, rettili, e batraci, son tutti regni della natura, che hanno nel liquido elemento i loro rappresentanti in parte oggi dispersi, in parte disseminati sulle terre argillose delle nostre marne e delle nostre crete subappenniniche: giganteschi esemplari e mirabili di una fauna estinta o ignota. E qui l’orbe organizzato dei mari ci si schiude in tutta la sua pienezza, e con speciali condizioni organiche necessarie alla vita nelle onde, ci delinea nuovi ordini di viventi: i pesci, i crostacei, i molluschi; questi più numerosi degli altri due, sia nelle epoche paleontologiche, che nelle moderne: non pertanto utili tutti come alimento all’uomo, e pel tecnologo nei loro prodotti secondari. I raggiati, gli infusori, i protozoari, ultimo gradino della vita animale, popolano quei vasti bacini, siccome flora che ne smalta le immense, deserte e profonde vallate , ignare della burrasca, che talora infierisce negli strati superiori. Quanta vita, quanta ricchezza nell’oceano! Eppure dirò col ch. Lessona che “ poco assai è quello che si conosce intorno agli animali marini, rimpetto a quello che resta ignoto; che appena della vita del mare si sa un po’ più di quello che vegeta e striscia, o guizza presso le spiagge e a poca profondità”- oh si facesse almen conto di questo, aggiungerò io: che le arti e l’industria nazionale assumerebbero nuovo incremento, del pari che il progresso materiale della società. Volgiamo ora un colpo d’occhio al nostro mediterraneo: solleviamo la cerulea frangia dei nostri golfi ameni e ridenti dello Jonio, ed osserviamo alcuni molluschi. Voi li troverete analoghi a quelli delle coste tirrene della Calabria e della Sicilia, tranquillamente cullatisi nel breve giro dei seni marini, o nei limpidi laghi di acqua salsa, quasi a schermo della bufera: non li cercate nell’Oceano, perché in esso danno luogo ad altri confratelli, di specie diversa, ma che pur rivestono analoghe apparenze. Una corrente di acqua dolcemente calda e quieta, ecco il loro clima: un fondo ghiaioso, conchifero o di sabbie fini tranquille, e il loro suolo: lo stomaco e gli intestini discretamente sviluppati, ne insegnano che le alghe, i fuchi, i licheni e qualche infusorio sono il loro alimento: un piccolo crostaceo che si innicchia nel loro guscio, e colle sue otto zampe agguanta e lacera un lembo del mantello, mentre con due tentacoli aguzzi ferisce a morte, ecco il loro nemico. E l’uomo compie bene spesso l’opera della distruzione, sembra favorirne la moltiplicazione. Un corpo triangolare allungato grossetto, con organi e sistemi necessari alla vita animale; avviluppato in un mantello or bianco or rosso, epidermico chiuso al di sopra da un’appendice addominale, solcata nel mezzo, fornita di bisso alla base una conchiglia di variabile grandezza e colore a seconda degli individui, dell’età, e della specie diversa: eccovi in breve alcune apparenze microscopiche facilmente riconoscibili nei molluschi del genere Pinna. Il fulgido elmetto dei soldati romani dal quale veniva fuori un pennacchio (pinna) avrà forse dato origine a cosiffatta nomenclatura, per la rassomiglianza col ciuffo detto bisso, ch’ esce dalle valve del nostro mollusco: qui come altrove , ignota o dubbia la fisiologia di molti nomi scientifici e volgari! Nell’interno della conchiglia due robusti muscoletti servono per tener socchiuse le valve, a difesa del mollusco; e per i movimenti dell’animale in relazione col mondo esterno, d’uno interiore presso la bocca, l’altro posteriore presso l’ano: e due impronte la prima piccola e profonda, la seconda più larga e superficiale vi corrispondono nel guscio. Fissate col loro bisso in posizione verticale, le pinne aggruppate in branche, spingono l’apice della loro conchiglia, fra le alghe, fra gli scogli, fra le arene del fondo marino, mentre sollevano fluttuante nelle onde, la circonferenza delle due valve semiaperte. Se trovano uno scoglio, il loro guscio solido vi si aderisce e riman fermamente stabile, formando alla pinna una dimora permanente. Se poi non trovano che mobili arene le induriscono talmente colla secrezione e con le lacinie del bisso, da formarne un solido sostegno. Nel primo caso ogni loro mozione è impossibile; nel secondo possono spostarsi rompendo il bisso e rotolando sulla circonferenza. Nel nostro piccolo museo, osserverete due esemplari delle due varietà sunnotate; ed altri di consimili sono in via per la mostra di Parigi. Se dai caratteri del genere passiamo a quelli della specie, nuove indagini anatomiche ci si presentano corrispondenti a nuove circostanze di vita della Pinna. Di qui le 23 specie di pinne che vivono nei mari, seconda il Lamark3; oltre 18 varietà che giaggiono allo stato fossile, incompletamente caratterizzate, dagli stati anteriori della creta calcarea, ai più recenti letti di essa, tra le varietà viventi nei nostri mari, due occupano il posto primo per le industrie: la P. Rudis e la P. nobilis: entrambe forniscono della lana penna di eccellente qualità. I mitili a conchiglia chiusa dell’Oceanio, potrebbero forse far concorrenza alla nostra Pinna: ma come giustamente ha investigato il Poli4 essi ne differiscono per avere più grosso e consistente il loro bisso e meno intensamente colorato quantunque l’origine di esso, pari che la composizione chimica, e la posizione in rapporto alla conchiglia, per nulla in entrambi differiscono. Questa notevole analogia di struttura e di abitudine in molluschi di specie diversa, mi ha guidato ad un’altra induzione molto più importante. E’ noto come i Naturalisti e i piscicultori d’oggidì, sappiano porre in tali condizioni certi molluschi, da ottenerne una moltiplicazione gradualmente crescente. Sulle spiagge dell’isola del Re la coltivazione delle Ostriche è talmente produttiva, che dal solo dipartimento della Charente Inferieure si esporta annualmente per tre milioni di Lire. Così pure il nostro De Filippi5 osservando non altro le perle, che secrezioni prodotte da certi speciali infusorii, che vivono parassiti fra le valve e il mantello della Meleagvina Margaritifera, delle Unio ecc. ecc. ha proposto metodi speciali per favorir l’industria delle perle. Ebbene nessuna varietà tipica esiste fra i due molluschi or notati, e la nostra Pinna: sotto lo stesso cielo nettunico, e sul medesimo suolo; vivono come in famiglia le Ostriche esculente, il prezioso mollusco
della perla, e la pinna dal nobile ciuffo. Io v’ho detto su, che i Mitili sono analoghi alle Pinne per vita e per prodotti industriali. Ora pongo il problema. Nell’Oceano sulle coste francesi si è ottenuta la moltiplicazione artificiale dei Mitili; non potremmo con tutta ragione tentare e sperare lo stesso delle Pinne su scala ben larga ed estesa? Non potremmo ancora favorire l’accrescimento graduale di quel prodotto primo detto Lana-Penna? Problema, che io propongo, ma non oso sciogliere, almen per ora: i Naturalisti del nostro paese, i marini delle nosre costiere me ne forniscano prima i dati statistico-pratici. Problema però, che sarà sempre collegato all’importanza industriale ed economica dei prodotti primi e secondari del nostro mollusco: ma su ciò un’altra volta.
L’illustre scienziato salentino fu di parola perché nel numero del 22 marzo dello stesso anno così scriveva:
Io non so se mai, nell’osservare qualche varietà di pinna vivente nella sua dimora e tomba calcarea, abbiate cercato a voi stessi, in qual modo essa pongasi in relazione col mondo esterno – Per me dalla sola osservazione del bisso, fui tratto prontamente a questa dimanda. Ma non mi venne del pari facile la risposta. Apersi con diligenza le valve e attentamente osservai: ma altri concorse a sciogliere il mio problema. All’occhio mio era occulto un mondo ancor più grande di quello visibile; ma quattro lenti armonizzate fra loro, me lo hanno disvelato. Il bisso o lana-penna, è una lunga ciocca di filamenti delicati, setacei,di un bel color fulvo-bruno, brillante il che si attacca verso il mezzo della massa addominale della pinna. Esso vien fuori qual mobile pennacchio, dalle sue valve di madreperla, tinte di rosso, di scarlatto, di amaranto, zigrinate come l’onice arabescate. Questo nome fu ancora impartito da Linneo a molte piante fornite di filamenti del pari sottilissimi e setacei, come fra le alghe il Bissus flos aquae, il Bissus vellutinus, l’Asclepinde siriaca ec.ec. basti ciò, per evitare l’equivoco, che fino a un certo tempo, ha pur dominato nella storia filologica di questa sostanza. Il Blainville6 ritenea, che il bisso fosse una riunione di fibre muscolari seccate in parte, e in parte contrattili, finchè l’animale vive; e specialmente mobili alla radice nel punto, dove traversata la conchiglia e il mantello; va a trovare l’addome del mollusco. Una volta morto questo, secondo l’autore francese, la parte carnosa si dissecca, ed il resto si converte in lana. Il microscopio ha confutato in parte questa opinione dottrinale: tra le fibie muscolari o le produzioni cornee gran divario intercorre, e qui si rinvengono le une e le altre. L’osservazione micrografica e chimica mi confermò l’origine muscolare nelle fibre dell’apice del bisso: ma provò esser questo un prodotto di secrezione, come la tela filata dal ragno, come la seta filata dai filugelli, come la lana prodotta sulla superficie termica da un apposito apparato glandolare. Ma andò più oltre : essa mi fa assistere ancora alla riformazione del bisso. Mi fè veder verso l’apice della conchiglia un musco letto conico, scavato come una doccia da un solco longitudinale; musco letto che ritorto su se medesimo serve del pari che al ragno ed ai mitili come filiera, per trarre fuori il bisso in fili più o meno grossi e consistenti. Osservate: una materia liquida, semifluida, tenace, viscosa vien segregata da certe ghiandule, che riposano ai lati della linguetta muscolare or notata; essa traversa la doccia, traversa la filiera, viene in contatto cogli agenti esterni, acqua ed aria, si dissecca, e assume la tenacità propria della lana-penna; o peldinacchera, come altri lo dicono. Una volta formatosi un gruppo di quei peli, il Mollusco si attacca a tutti i corpi estranei che incontra, e con esso si fissa e si rende stabile, dondolandosi mollemente nella conchiglia, spinta in alto dalla pressione delle onde: così si nutre e si moltiplica. Di qui grande esser dee la diligenza nel trar su le pinne di fondo dei mari, perché il bisso non resti adeso al fondo di essi, come si spesso accade specialmente per quello più sottile e più bello, ma meno tenace della P. nobilis. Esciamo ora da questo intricato labirinto di termini zoologici veniamo a respirare aure, se non più grate, almeno più piacevoli; illustriamo la parte economica ed industriale. Ebbero gli antichi scarse ed inesatte nozioni del bisso; i caratteri fisici più appariscenti fecero ritenere come identico il bisso proveniente da certi vegetali ( alghe e licheni) con quello dei molluschi; di qui, gran buio sulla vetustà dell’uso di questo prodotto. Certo è, che quello che quello delle Indie e della Giudea venia molto ricercato: i paludamenti sacerdotali, le porpore dei re splendeano di fulgidissimo bisso: il tempio come la reggia, allora come sempre, erano le sale del fasto, della ricchezza, della magnificenza! Di bisso, è fama, avvolgessero il corpo dei defunti i nostri vecchi latini per raccorne le ceneri fra le stipe divampanti dei roghi: ma questo bisso! Com’è evidente, era il tessuto delle fibre setacee alluminio-magnesiache dell’amianto. Saltiamo a tempi più vicini a noi; e troveremo il ciuffo lanoso dei Mitili oceanici messo in uso per farne, tessuti, drappi; coltri ecc. d’un bel color fulvo-lionato. Tali, quelli del Decretot6 presentati ad un’altra accademia di Parigi. Man mano cresce l’industria, in regione, che la scienza addita nuovi molluschi forniti di lana-penna: grado, grado le arti meccaniche ne migliorano le specie. Il Ternaucz7 ha superato tutti: egli espose non ha guari all’Accademia delle scienze in Parigi, i tessuti di fibre lanose dei mitili, comparandole coi migliori drappi di lana merinos; ed il favore generale fu pei primi. Non è dunque ora, o lettore, che si introduce la lana-penna nelle arti, neppure è trovato della nostra provincia, gli è un prodotto primo ignoto a molti fra noi, e come tale ho creduto bene fosse fatto palese. Le proprietà d’un prodotto son veramente quelle, che ne esprimono il suo vero valore. Ebbene, nel bisso voi avete una serie di fibre omogenee di natura uniformi in grossezza, in consistenza in colore or fulvo-bruno, or rosso marrone, or bruno lionato. L’Eriometro ne addita che le sue fibre superano in finezza quelle della lana migliore. L’elasticità e l’uguaglianza del pelo, lo rendono adatto a qualunque genere di lavori, a tessuto, a drappo, a feltro. La lucentezza, e la morbidezza dei panni inviati all’Esposizione dalle Suore del nostro Orfanatrofio suburbano, del pari che la lunghezza e la leggerezza di essi, si raccomanda di se alla pubblica ammirazione. Resta a dire della calorificità, della diatermasia, delle proprietà elettriche, chimiche, organiche del bisso; argomento abbastanza delicato, che cercherò di svolgere in prosieguo, dietro studii molto accurati. Di fronte ai vantaggi suaccennati, vi ha due inconvenienti uno proprio alla lana-penna; l’altro a questa, ed alla lana comune. In momenti come questi di dissesti finanziari, è egli economico l’uso della lana-penna. Forse tu; o lettore, con riso Mefistofelico, arricciando i baffi giustamente ne dubiterai, specialmente se avrai veduto il modo col quale si pescano le Pinne, nei nostri mari: e quanti di questi non trascinano seco loro, che poco o punto bisso. Ma in ciò la colpa non è tutta del povero mollusco: l’è pur nostra. Dimmi un po’: perché tu compri le ostriche solo per mangiarti il corpo dell’animale chiuso nella conchiglia? Perché butti via le valve di questa: le non ti giovan forse a nulla? Eppure se ne studiassi la chimica composizione vedresti che son più utili all’agricoltore i gusci delle ostriche, di quello che non sia al tuo stomaco questo mollusco indigeribile ed insalubre. Lo stesso dicasi delle Pinne, che fin qui abbiam pescato e adoperato solo per nutrimento: e le valve di argento, di rosa, di madreperla, ed il bel ciuffo rosso-morato si è tenuto pressoché inutile o di poco di valore. Non dovremmo piuttosto far l’inverso? Non dovremmo anzi cercar di moltiplicar questi molluschi per l’utile estrazione della lana-penna? Perché nei soli Musei dee vedersi qualche drappo di bisso, a futile esempio, scevro d’incitamento al bel fare? Così sparirebbe il Problema Economico e delle nostre Pinne si farebbe quel che la Francia ha fatto dei mitili oceanici. Il secondo inconveniente è più grave, ma comune ancora alla lana comune. Si dice che all’una ed all’altra facciano guerra i bruchi tignuoli. Io non ho esperienze in proprio; ma cercherò di farle su di un po’ di bisso di Pinna che tengo meco. Cercherò previamente di nettarlo e lavarlo con diligenza: perché altrimenti allo stato grezzo com’è, è inattaccabile dalle grigio-argentee farfalline, e ciò pei soli marini di che è imbevuto. Proverò ancora se i mezzi preservativi applicati in Germania alla lana comune (essenza di trementina, fumigazioni ammoniacali, e di petrol
ie) giovino ancora a custodire il bisso. Questioni tutte di tecnologia, che richieggono tempo e lavoro; mentre invece quel barbogio di Coo8 mi concede ozii molto brevi, e bene spesso interrotti. Una volta però, che potessi verificar l’inalterabilità della lana-penna alle tignuole, si comprende agevolmente, che la diverrebbe più preziosa della lana comune. Due parole di Epilogo, che ben potrebbero farla da proemio. Io non ho preteso, o lettor mio, con questi cenni messi su alla buona; farti l’elogio del bisso, per solo sfoggio di scienza; e molto meno svelare alla tua mente tutti i misteri reconditi di essa: avrei forse fatto bene, ma avrei tradito la mia missione e i tuoi interessi. Ho voluto soltanto farti sapere come giustamente abbia il nostro paese apprezzato la lana-penna, inviandone le fibre adese al mollusco, distaccate, tagliate, lavate, filate, tessute, alla mostra parigina: farti conoscere, che sia il bisso, donde provenga, le sue qualità, il suo valore industriale. Agli occhi della scienza o vuoi che si dica Fisica o Chimica applicata o tecnologia, nulla va perduto: ai prodotti primi succedono i secondarii; e questi talora esprimono un valor maggiore di quelli, il carbone di tutte le specie, la sanza degli ulivi me ne porgono una prova luminosa. In tempi critici come questi per la finanza, di tutto conviene giovarsi: un proverbio americano ne insegna che. La vera ricchezza sta nella povertà dei prodotti primi: più ricco è quegli, che sa giovarsi di tutto a qualche uso. Ma a ciò fare v’ha d’uopo di istruzione e di lavoro: basi fondamentali di ogni progresso materiale e morale. Epperò io proseguirò lavorando ad istruirti o lettore, in argomenti come questi di pratico interesse; anco a dispetto di coloro, che saprebbero e potrebbero fare meglio di me. La sola scienza, sbrigliata dallo spirito e dai privilegi di casta, è quello, che meriti giustamente il titolo di repubblicana e di cosmopolita.
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1 Sull’argomento vedi Antonio Monte e Maria Grazia Presicce, L’arte della tessitura nel Salento, CRACE, Narni, 2010, pp. 68-72.
2 Michele Lessona (1823-1894), zoologo, medico e divulgatore scientifico.
3 Jean-Baptiste Lamarck (1744-1829) biologo, zoologo e botanico, autore della prima teoria dell’evoluzione degli esseri viventi e della ereditarietà di alcune loro caratteristiche.
4 Giuseppe Saverio Poli (1746-1825), fisico, biologo e naturalista.
5 Filippi De Filippi (1814-1867), zoologo e medico.
6 Jean Baptiste Decretot, manifatturiere della lana a Louviers, fu membro dell’Assemblea Nazionale Costituente (1789-1791) e nell’Almanach impérial del 1812 compare tra gli assistenti e tra i membri aggiuntivi dell’Ufficio consultivo delle arti e delle manifatture.
7 Errore di stampa per Ternaux. I fratelli Ternaux furono anche loro famosi manufatturieri della lana a Parigi agli inizi del XIX secolo.
8 Appellativo affettuosamente ironico che il De Giorgi dedica ad Ippocrate di Coo (V-IV secolo a. C.), il padre della medicina; ma tutto è allo stesso tempo una dichiarazione di dedizione ed amore che lo scienziato salentino nutriva per la sua professione. Ippocrate visse circa 85 anni (da qui il “barbogio”), ma non sapremo mai se raggiunse quello che ai suoi tempi era veramente eccezionale e tale sarebbe rimasto per millenni seguendo lui stesso i consigli ed assumendo i rimedi che prescriveva ai suoi pazienti…
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