Il sedano selvatico
di Armando Polito
Nome italiano: sedano selvatico
nomi dialettali: lacciu crièstu, murlu, murùddhu
nome scientifico: Apium graveolens L.
famiglia: Ombrelliferae o Apiaceae
Il nome italiano (sedano) è dal greco sèlinon1; la prima parte del nome scientifico (àpium) è il latino àpium2=sedano, la seconda (gravèolens) è un aggettivo che significa dall’odore acuto. Il primo nome della famiglia (Ombrelliferae) significa portatrici di ombrelle, con riferimento alla forma dell’infiorescenza, il secondo è dal citato àpium.
Passo ai nomi dialettali: lacciu è dal citato latino àpium con normale passaggio -api->-acci- (come in sàcciu=so, da sapio); da àcciu per agglutinazione dell’articolo (l’àcciu>làcciu>lu làcciu) è nato làcciu. Per murlu e murùddhu il Rohlfs non propone alcuna etimologia; io partirei da murùddhu, in cui la ricostruzione dell’originario –ll– (sviluppatosi normalmente in –ddh-) mi porta ad un murùllu che potrebbe essere un diminutivo del greco muron=profumo, diminutivo che qui, però, avrebbe un significato quasi dispregiativo, come nel gravèolens prima citato. La variante murlu, infine, sarebbe da murùllu per sincope della vocale tonica, retrazione dell’accento e naturale scempiamento –ll->-l-.
L’attestazione più antica del sedano, nella valenza quasi esclusiva di componente primario del paesaggio, è in Omero (probabilmente IX° secolo a. C.): ”Intorno verdeggiavano teneri prati di viole e di sedano: là poi anche se un immortale si fosse accostato ne sarebbe restato ammirato e si sarebbe rallegrato in cuore3”; “…i cavalli poi stavano ognuno vicino al suo carro a pascere il loto e il sedano palustre…4”: “[parla un topo rivolto ad una rana] Non mangio ravanelli o cavoli o zucche né mi nutro di porri freschi né di sedani; questi infatti sono i vostri cibi nella palude5”.
Qualche secolo dopo godeva di grande prestigio se Pindaro (V° secolo a. C.) lo ricorda più volte quale premio in vittorie sportive: “…quando nella gara del rimbombante Nettuno (la gara col tridente) fiorì dei sedani di Corinto…6”; “Nettuno dopo aver donato nei giochi istmici questa vittoria nella gara dei cavalli a Senocrate gli inviò una corona di sedani dorici con cui si cingesse la testa”7; “…egli che ottenne la vittoria ai giochi istmici dai sedani dorici…8”; “Due corone di sedani ornarono lui che si era distinto nei giochi istmici…9”.
L’abitudine di piantarlo al limitare dei giardini aveva dato luogo al proverbio di Aristofane (V°-IV° secolo a. C.): “La tua situazione non sta né al sedano né alla ruta10”, cioè neppure all’inizio11. E qualche secolo dopo in Plutarco (I°-II° secolo d. C.) il nesso “ha bisogno del sedano12” cioè sta per morire è in riferimento all’abitudine di ornare col sedano non più la testa del vincitore ma le tombe.
Fu protagonista anche nella toponomastica se la città di Selinunte deve il suo nome all’abbondanza che di questo vegetale trovarono in situ i colonizzatori greci e, se così non fosse stato, forse la sua raffigurazione non sarebbe comparsa, prima da sola poi insieme col nome degli abitanti o della città (e in forme via via più stiizzate), su monete datate (in sequenza nella foto in basso) la prima alla metà del VI° secolo, le altre del V° a. C.
La costante presenza nel verso di tutte le monete, meno la prima, di Apollo e della foglia di sedano trova giustificazione nella testimonianza di Plutarco: “Mentre così si discorreva camminamavo. Nel tempio dei Corinzi mentre guardavamo una palma di rame, che è l’unica superstite dei doni, lì attorno alla radice rane e idre scolpite suscitarono meraviglia in Diogeniano nonché a noi. Infatti la palma, come altri alberi, non è una pianta palustre o amante dell’acqua, né i Corinzi hanno qualcosa in comune con le rane, come se esse fossero simbolo o emblema della città; come per esempio si dice che un tempo gli abitanti di Selinunte consacrarono un sedano di oro e quelli di Tenedo una scure dai granchi che nascono presso il luogo chiamato da loro Asterio; questi soli, infatti, come sembra, hanno sul guscio un segno a forma di scure. Riteniamo oltre a ciò che al dio [Apollo] siano più graditi i cervi, i cigni, i lupi, gli sparvieri e piuttosto tutti gli altri animali che le rane13”.
Ed ecco, dello stesso autore, un passo in cui al nostro sedano è attribuito un ruolo di decisivo protagonista, quasi ad integrazione del riferimento a Selinunte contenuto nel precedente (si tratta di un episodio della battaglia condotta nel 339 a. C. contro i Cartaginesi da Timoleonte al comando dei Siracusani presso il fiume Crimiso, oggi Belice): “[A Timoleonte] mentre saliva su un colle, superato il quale [i suoi soldati] erano sul punto di vedere l’accampamento e le forze dei nemici, vennero incontro degli asini che trasportavano sedano. Ai suoi soldati venne in mente che era un segno sfavorevole, poiché siamo soliti ornare convenientemente le tombe di sedano; e da questo è nato un certo proverbio e cioè che chi è ammalato in pericolo di morte ha bisogno del sedano. Timoleonte, volendo liberarli da questa superstizione e fugare la loro sfiducia, interruppe il cammino e pronunciò parole adatte alla circostanza e disse che era venuta nelle loro mani per volere del destino la corona conquistata prima della vittoria. Infatti i Corinzi incoronano i vincitori dei giochi istmici ritenendo sacra e patria la corona di sedano. Anche allora il sedano era la corona dei giochi istmici come ora lo è dei nemei; non da molto in quelli si è introdotta la corona di pino. Timoleonte, avendo dunque parlato ai soldati come s’è detto, dopo aver preso dei sedani se ne incoronò per primo, poi i suoi luogotenenti e l’esercito14”. Per la cronaca: la battaglia del Crimiso si concluse con una strage di Cartaginesi.
La prima testimonianza scevra da riferimenti sacrali è offerta da Ippocrate (V°-IV° secolo a. C.): “Quando questo ci sia [dolore di testa di origine biliare] applica alla testa pezze imbevute di acqua fresca e dopo che il dolore sarà cessato instilla nelle narici suco di sedano e non lavarti prima che il dolore sia cessato15”; “Il sedano cotto e crudo stimola la diuresi, quello palustre più del coltivato poiché ha maggior vigore16”; “Il sedano stimola più la diuresi che la defecazione, la quale è propiziata più dalla radice che dal resto della pianta17”.
La più antica testimonianza latina di interesse botanico e medico risale a Plinio (I° secolo d. C.): “Quello che spontaneamente nesce in luoghi umidi è chiamato elioselino, con una sola foglia e non peloso, poi l’ipposelino nei luoghi secchi, con molte goglie, simile all’elioselino; il terzo è l’oreoselino, con le foglie simili a quelle della cicuta, dalla radice sottile, dal seme simile a quello dell’aneto, solo più piccolo. La differenza poi rispetto al coltivato sta nella foglia densa, increspata o più rada e leggera, nel gambo più sottile o più spesso; il gambo di alcuni è bianco, di altri purpureo, di altri vario18”; “I cuochi col sedano tolgono il sapore di aceto dalle vivande, allo stesso modo i cantinieri dopo averlo messo in un sacco tolgono dal vino l’odore pesante19”; “In caso di presenza di sangue nell’urina Crisippo prescrive seme di asparago, sedano e cumino nella dose di tre oboli per ciascuno in due ciati di vino20”; “La gente ha molta considerazione per il sedano. Infatti i rami in grossi pezzi nuotano nel brodo e nei condimenti hanno una grazia particolare. Inoltre viene applicato ad empiastro col miele sugli occhi in modo che subito siano riscaldati dal decotto appena preparato e applicato pestato da solo o con pane o polenta fornisce un ottimo aiuto contro gli altri catarri delle membra. Anche i pesci ammalati nei vivai sono risanati dal sedano verde. A dire il vero non c’è altra cosa nata dalla terra che riscuota presso gli eruditi giudizi così vari. Viene distinto per il sesso. Crisippo dice che la femmina ha le foglie più increspate e dure, il gambo grosso e sapore aspro e pungente; Dionisio dice che è più nera, di radice più breve, e che genera vermi; ambedue dicono che né l’uno né l’altro sono commestibili, anzi del tutto nocivi; e che il sedano è destinato ai banchetti funebri dei morti, nemico anche della chiarezza della vista e che il gambo della femmina genera vermetti e che perciò rende sterili quelli che lo mangiano, maschi o femmine, che i neonati che allattano da donne che l’hanno mangiato diventano epilettici, che è innocuo, tuttavia, il maschio. Per questo motivo non è collocato tra gli arbusti velenosi. Le foglie poste sulle poppe ne mitigano la durezza. Cotto rende le acque più gradevoli a bersi. Col succo, soprattutto della radice, mischiato a vino mitiga i dolori dei fianchi, allo stesso modo istillato la pesantezza di orecchi. Col seme stimola la minzione, i mestrui e facilita il parto, anche se viene applicato caldo il seme bollito. Applicato col bianco d’uovo schiarice le ecchimosi. Cotto in acqua e bevuto cura i reni, in acqua fredda le ulcerazioni della bocca. Il seme col vino o la radice con vino vecchio frantumano i calcoli della vescica. Il seme con vino bianco viene somministrato pure agli itterici21”; “Il decotto [di anice cretico] con sedano inibisce lo starnuto…L’erborista Dalione somministrò alle partorienti un empiastro [di anice cretico] con sedano22”: “[Il meo] applicato ad empiastro con il sedano ai bambini stimola la diuresi23”; “[Il capelvenere] dà colore ai capelli e a qursto scopo vieno cotto nel vino col seme del sedano e con l’aggiunta di abbondante olio, per renderlo crespi folti e inoltre ne impedisce la caduta24”*.
Per il mondo greco il contemporaneo Dioscoride: “Il sedano coltivato. La pianta è utile agli stessi usi del coriandro, inoltre alle infiammazioni degli occhi applicata con pane o con farina di orzo abbrustolito. Placa pure i bruciori di stomaco e fa rientrare i rigonfiamenti delle mammelle, stimola pure, mangiata cotta o cruda, la diuresi. Il decotto suo e delle radici bevuto si oppone al pericolo di avvelenamento mentre eccita il vomito; è astringente per l’intestino. Ma il seme più energicamente espelle l’orina ed è utile nel caso di morsi di animali velenosi e per coloro che si siano intossicati con il litargirio [monossido di piombo] e infine elimina la flatulenza. Viene pure mescolato ai medicamenti con funzione analgesica, anche agli antidoti e ai calmanti per la tosse.
Il sedano palustre [c’è chi lo chiama campestre, chi acquatico, i Romani rustico] nasce in luoghi ricchi di acqua, più grande di quello coltivato ed ha gli stessi usi di questo.
Il sedano montano [c’è chi lo chiama prezzemolo selvatico, gli Egiziani anoni] ha il gambo alto nove pollici, che spunta isolato da una piccola radice: lo circondano piccoli rami e capolini simili a quelli della cicuta, ma molto più sottili, in cui il seme è allungato, pungente, sottile, profumato, simile al cumino. Nasce in luoghi sassosi e montuosi. Il frutto e la radice hanno la proprietà di stimolare la diuresi se sono bevuti nel vino, e di favorire i mestrui. Viene mescolato pure a medicine diuretiche e riscaldanti25”.
E nel mondo romano le corone di sedano trovano presso i poeti destinatari meno prestigiosi degli atleti vincitori nei giochi; così Orazio (I° secolo a. C.): “Né manchino ai banchetti le rose né il pungente sedano né l’esile giglio26”; “O chi provvede ad intessere corone con l’umido sedano27?”; “Ho una bottiglia di Albano invecchiato più di nove anni, c’è nell’orto, o Fillide, il sedano per intrecciare corone…28”; e Virgilio (I° secolo a. C.): “…come Lino, pastore dal divino canto, con i capelli adorni di fiori e di aspro sedano disse a lui questo…29”. In culinaria, poi, sono tante le ricette del De re coquinaria di Apicio (probabilmente I° secolo d. C.) in cui esso compare che per brevità evito di riportare anche i riferimenti bibliografici.
Per vedere attribuite al sedano, oltre ad altre proprietà (con conferma di alcune già lette) quelle, immancabili, afrodisiache bisogna andare molto avanti nel tempo; nei Geoponica (compilazione in greco risalente forse al X° secolo, ma frutto di precedenti stratificazioni) si legge: “Il sedano assunto come cibo rende le donne più proclivi al sesso, inoltre devono astenersene quelle che allattano perché esso arresta il latte. Il suo aroma giova alla bocca, perciò chi soffre di alitosi mangiandolo risolve il problema. Dicono che gli attori che si muovono sulla scena lo mangiano per avere la bocca più odorosa. Per il resto applicato come empiastro col pane sana la puntura delle api e il suo decotto caldo fa espellere i calcoli, stimola la diuresi, sana i reni30”.
Nel XII° secolo così ne parla Hildegard Von Bigen, religiosa benedettina tedesca dal poliedrico ingegno (fu naturalista, filosofa, poetessa, linguista profetessa e compositrice): “Il sedano è caldo ed è di natura più verde che secca; ha in sé molto succo e crudo non è buono da mangiare per l’uomo perché così gli procura cattivi umori. Cotto invece non è nocivo ma gli fornisce sani umori. In qualsiasi modo venga mangiato induce nell’uomo una mente instabile poiché il suo gusto vivace ora lo danneggia, ora lo rende triste nell’instabilità. E l’uomo che ha gli occhi umidi a tal punto che stillano lacrime per gli umori sovrabbondanti prenda del sedano e un po’ più di finocchio selvatico, li riduca in succo e li mescoli al bianco d’uovo evitando accuratamente il rosso e quando a notte va a dormire applichi quest’empiastro con un panno sopra l’occhio che lacrima, lo faccia spesso e guarirà. Chi poi è tanto afflitto dalla gotta che il viso contraendosi si torce, le sue membra tremano e ci sono contrazioni anche nelle altre membra riduca in polvere il seme del sedano e vi aggiunga un terzo di ruta ed anche un po’ meno di noce moscata, meno ancora di questa di garofano e meno di quest’ultimo di calcifraga31 , riduca di nuovo tutto in polvere la assuma a stomaco vuoto o pieno e la gotta cesserà perché è un ottimo rimedio contro questa malattia. Chi tende a soffrire di gotta può prendere questa polvere a scopo preventivo prima ancora che si manifesti un accesso della malattia32”.
Il lettore avrà notato che le testimonianze più recenti ben poco aggiungono a quelle classiche (in alcuni casi pure loro ripetitive), sicché non c’è da meravigliarsi se Michele Savonarola, umanista e scienziato del XV° secolo, a proposito del sedano così si esprime: “Sei spetie se trova de lui ma qui diremo solamente del’ortulano usato. Questo tale scrive Avicena esser caldo in primo, secho in secondo e Ysaac, homo de grande autorità, il pone caldo in terço che certo è gran svariamento. Ma per acordarli dicamo ch’el sia tale in principio del secundo, che sa la natura del fine del primo e Avicena intende del’herba e Ysaac dela radice. L ‘erba sua ben cocta è assai facile da padire ma la radice grevosa, e la radice è più forte del seme suo e il seme dela foglia. Provocano l’urina e valeno nele opilatione del figato e dila smilza. E imperò è cibo bono a toi citadini che sentano de opilatione de smilça e de figato. Ma noce ale pregnante, il perché provoca molto el mestruo, spetialiter le radice, e anco a quelle che caste star vole, il perché irrita il coyto. E masticato fa bono odore de buca, e ciò notte tuoi scuderi ai quali il fiato pude, se mesedà cum la latuca ma meglio è petrosolino. E da manzare quello se guardi li fanciulli, il perché induce il morbo caduco. E per lo suo congregare li humori deli membri al stomaco è vomitivo, imperò non è cibo da tocare. Vero è che la latuca coreze il suo nocumento33”.
Ai nostri giorni il sedano, pur apprezzato in cucina, fa parlare di sé veicolato dal titolo abbastanza ermetico Sola come un gambo di sedano del libro di Luciana Littizzetto uscito per i tipi di Mondadori nel 2001, in cui diventa metafora della crisi economica, che, come lei stessa ebbe a spiegare (altrimenti nessuno di quel titolo avrebbe capito una mazza, per usare una parola a lei cara…) in una puntata del Maurizio Costanzo Show, nel single trova espressione nell’acquisto di una sola costa del nostro ortaggio. Per chiudere in allegria (si fa per dire): se la nostra comica avesse saputo che sèlinon in greco significa pure vulva33 (sul collegamento col sedano ci sto sbattendo la testa da anni…) probabilmente in quella puntata avrebbe aggiunto alla chiosa del titolo uno dei suoi abituali doppi sensi…
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1 Non deve meravigliare i’oscillazione –l->-d– e –d->-l-, fenomeno ricorrente in tempi diversi, di cui fornisco solo tre esempi: dal greco Odyssèus è nato il latino Ulìxes, dal greco dàkruma è nato il latino làcrima, per corruzione del francese allumer è nato il salentino ddumàre=accendere; aggiungo che per quanto riguarda il nostro ortaggio la l originaria è stata recuperata dal romanesco sèllero, dal sardo sèllere, dal ligure sello, dal lombardo selar, dall’emiliano e romagnolo serral/seler e , fuori d’Italia, dall’inglese celery e dal francese céleri. Non è finita: chi, a prima vista, direbbe che sedano e prezzemolo sono parenti non solo botanicamente ma anche etimologicamente? Tutto apparirà chiaro se si pensa che prezzemolo non è altro che la deformazione, attraverso un latino volgare *petrosèmolu(m), del classico petrosèlinu(m), a sua volta dal greco petrosèlinon, composto da petra=pietra e sèlinon=sedano.
2 Apium da alcuni è collegato ad apex=estremità (con riferimento all’uso, di cui si parlerà dopo, di adornare la testa dei vincitori con corone di sedano), da altri ad apis=ape (apium, dunque, significherebbe erba delle api per eccellenza; faccio notare che non è, poi, da escludere il rapporto tra apis e il precedente apex), da altri ancora ad una radice ap– che significa acqua (con riferimento, questa volta, alla predilezione della pianta per i luoghi umidi).
3 Odissea, V, 72-74.
4 Iliade, 775-777.
5 Batracomiomachia (attribuita ad Omero), 53-55.
6 Nemeonikais, IV, 142-143.
7 Isthmonikais, II, 18-23.
8 Isthmonikais, VII, 136-137.
9 Olympionikais, XII, 45-47.
10 Le vespe, 480.
11 Curiosamente la nostra espressione essere giunto alla frutta, pur nascendo dal fatto che con essa solitamente si chiude il pranzo, indica la fine di una situazione, al limite, anche della vita, ma non credo abbia rapporto di sorta con la locuzione plutarchesca: è solo una coincidenza.
12 Vita di Timoleonte, XXVI.
13 De Pythiae oraculis, XII.
14 Vedi nota n. 12.
15 De morbis, II, XIX, 10.
16 De affectionibus, XLVIII, 5
17 De diaeta, II, XXV, 16.
18 Naturalis historia, XIX, 37: Id enim, quod sponte in umidis nascitur, helioselinum vocatur, uno folio nec hirsutum, rursus in siccis hipposelinum, pluribus foliis, simile helioselino; tertium est oreoselinum, cicutae foliis, radice tenui, semine aneti, minutiore tantum. Et sativi autem differentiae in folio denso, crispo aut rariore et leviore, item caule tenuiore aut crassiore, et caulis aliorum candidus est, aliorum purpureus, aliorum varius.
19 Op. cit., XIX, 62: Apio eximunt coqui obsoniis acetum, eodem cellarii in saccis odorem vino gravem.
20 Op. cit., XX, 43: Si sanguis per urinam reddatur, semen et asparagi et apii et cumini ternis obolis in vini cyathis duobus Chrysippus dari iubet.
21 Op. cit., XX, 44 Apio gratia in volgo est. Namque rami largis portionibus per iura natant et in condimentis peculiarem gratiam habent. Praeterea oculis inlitum cum melle, ita ut subinde foveantur ferventi suco decocti, aliisque membrorum epiphoris per se tritum aut cum pane vel polenta inpositum mire auxiliatur. Pisces quoque, si aegrotent in piscinis, apio viridi recreantur. Verum apud eruditos non aliud erutum terra in maiore sententiarum varietate est. Distinguitur sexu. Chrysippus feminam esse dicit crispioribus foliis et duris, crasso caule, sapore acri et fervido; Dionysius nigriorem, brevioris radicis, vermiculos gignentem; ambo neutrum ad cibos admittendum, immo omnino nefas, namque id defunctorum epulis feralibus dicatum esse: visus quoque claritati inimicum. Caule feminae vermiculos gigni. Ideoque eos, qui ederint, sterilescere, mares feminasve; in puerperiis vero ab eo cibo comitiales fieri qui ubera hauriant; innocentiorem tamen esse marem. Eaque causa est, ne inter nefastos frutex damnatur. Mammarum duritiam inpositis foliis emollit. Suaviores aquas potui incoctum praestat. Suco maxime radicis cum vino lumborum dolores mitigat, eodem iure instillato gravitatem aurium. Semine urinam ciet, menstrua ac secundas partus et si foveantur semine decocto. Suggillata reddit colori cum ovi albo inlitum. At ex aqua coctum potumque renibus medetur, in frigida tritum oris ulceribus. Semen cum vino vel radix cum vetere vino vesicae calculos frangunt. Semen datur et arquatis ex vino albo. Sull’origine della non commestibilità di cui parlano, per bocca di Plinio, Dioniso e Crisippo ecco le parole di Clemente Alessandrino (II°-III° secolo d. C.) in Protrettico ai Greci, II, 19, 1-2: Se poi nutri ammirazione anche per i riti dei Coribanti [immaginati come tre fratelli]: due di costoro, dopo avere ucciso il terzo, ne avvolsero la testa in una stoffa di porpora, lo incoronarono e lo seppellirono, dopo averlo portato su uno scudo di bronzo alle falde dell’Olimpo. Per farla breve ecco cosa sono i misteri: assassinii, stragi e seppellimenti. Ma i sacerdoti di questi misteri, i cui seguaci li chiamano Anactotelesti, a questo particolare luttuoso aggiungono altri dettagli strani, come quando, per esempio, vietano di servire a tavola sedano con tutte le radici perché credono che il sedano sia nato dal sangue versato dal coribante ucciso. Sul sedano, secondo Crisippo, cibo dei morti un riscontro è in Erodoto (Storie, IV, 71, 1) che così descrive la preparazione del cadavere dei re sciti: “Appena il re è morto scavano una grande fossa quadrata e la preparano; sollevano il cadavere dopo averlo coperto interamente di cera, dopo averne estratto l’intestino e, ripulita la cavità e riempita di cipero trito, timiana, semi di sedano ed aneto, dopo averlo cucito…”; credo che le erbe citate non avessero nessuna finalità di conservazione del cadavere ma che la loro funzione fosse solo quella simbolica di cibo per l’aldilà.
22 Op. cit., XX, 73: Sucus decocti cum apio olfactus sternumenta inhibet… Dalion herbarius parturientibus ex eo cataplasma imposuit cum apio.
23 Op. cit., XX, 94: …infantibus cum apio inlitum imo ventri urinas movet.
24 Op. cit., XXII, 30: Tinguit enim capillum et ad hoc decoquitur in vino cum semine apii adiecto oleo copioso, ut crispum densumque faciat; et defluere autem prohibet.
25 De materia medica, II, 67-69.
26 Carmina, I, 36, 15-16: Neu desint epulis rosae/neu vivax apium neu breve lilium.
27 Op. cit., II, 7, 23-25: …Quis udo/deproperare apio coronas/curatve myrto?…
28 Op. cit., IV, 11, 1-4: Est mihi nonum superantis annum/plenus Albani cadus, est in horto,/Phylli, nectendis apium coronis/…
29 Eclogae, VI, 63-65: …/ut Linus haec illi divino carmine pastor/floribus atque apio crinis ornatus amaro/dixerit….
30 XII, 23.
31 Nel testo (riportato nella nota successiva) si legge steinbrechen, una delle due parole tedesche (l’altra è gicth=gotta) tra le altre in latino. Steinbrechen (introvabile nei comuni dizionari) mi appare come una parola composta ma, per me che non conosco il tedesco, non è stato possibile inizialmente andare oltre stein=pietra, roccia, nocciolo e brechen=rompere. Per fortuna, grazie alla Rete, anzi a Google, sono riuscito a trovare il significato (e la conferma indiretta alla mia supposizione) nel Dictionarium Teutsch Italienisch und Italianisch Teutsch di Levinus Hulsius, uscito a Francoforte sul Meno per l’editore Hoffmann nel 1618, pag. 68 (della parte italiana-tedesca).
32 Phisica, I, 69: Apium calidum est et plus viridis naturae quam siccae; multum succum in se habet et crudum non valet homini ad comedendum, quoniam ita malos umores in eo parat. Coctum autem non nocet homini ad comedendum, sed sanos humores ei facit. Quocumque autem modo comedatur, vagam mentem homini inducit quia viriditas eius eum interdum laedit, interdum tristem in instabilitate facit. Et homo qui humectantes oculos habet, ita quod de superabundantibus humoribus lacrymas stillando superfundunt, apium accipiat et parum olus foeniculi et haec ad succum contundat et in claro ovi absque vitello eius intingat et cum noctem dormitum vadit eas super humectantem oculum cum panno liget et haec saepe faciat et curabitur. Qui autem de gicth ita fatigatur quod os eius contrahendo torquetur et quod membra eius tremens et quod etiam in aliis membris suis contrahitur, semen apii pulverizet et addat ei tertiam partem rutae et etiam nucis muscatae minus quam pulveris rutae sit et gariofiles, minus quam nucae muscatae, et steinbrechen minus quam gariofiles et haec omnia in pulverem redigat et tum ieiunus quam pransus pulverem istum comedat et gicht ab eo cessabit, quia optimum remedium contra gicht est. Sed qui a gicht fatigatur, etiamsi pulverem istum saepe comederit, gicht ab eo fugat, ne laedatur.
33 Libreto de tutte le cosse che se magnano, cap. II.
34 Questo significato è riportato solo da Fozio, grammatico del IX° secolo d. C., nel suo Lexicon (nell’edizione curata da Richard Porson, Valpy, Londra, 1822, a pag. 506).
bello bellissimo, Armando, chissà se la Luciana, che pure ha sensibilità mosicale… lo riesce a gustare tutto!
a proposito, mi piacerebbe conoscere l’autore del “libreto” della citazione 33 (certamente stampato in Venezia o Padova)
e poi immagino che il secondo riferimanto 33 sia di fatto il 34 con dotta esplicazione circa il “cunnus” di cui hai scritto!
ciao.
Michele Savonarola, Libreto de tutte le cosse che se magnano : un’opera di dietetica del sec. 15, a cura di Jane Nystedt, lmqvist e Wiksell international, Stoccolma, 1988
Lo troverai all’indirizzo (da digitare senza gli spazi che qui compaiono):
http://www.bibliotecaitaliana.it/xtf/view?docId=bibit000989/bibit000989.xml&query=apio&brand=default
L’edizione più antica di cui ho notizia ha l’interminabile titolo “Libreto delo excellentissimo physico maistro Michele Sauonarola: de tutte le cose che se manzano comunamente, quale sono contrarie [et] quale al proposito, [et] como se apparechiano, [et] di quelle se beueno per Italia, e de sei cose non naturale, [et] le regule p[er] co[n]seruare la sanita de li corpi humani con dubij notabilissimi”, uscito nel 1515 a Bergamo per i tipi di Bernardino Benalio.
Michele Savonarola era nonno di tanto… Fra’ Girolamo, e di professione faceva il Medico con grande competenza di Donne et di “putti”, suo è infatti uno dei primi testi di medicina infantile del medioevo… il resto quando avrò più tempo. un caro saluto!
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