di Stefano Manca
Male che vada chiederò in giro. Qualcuno si trova sempre, da quelle parti. Qualcuno che sappia dirmi dove si trova l’officina a cielo aperto di Rocco, il demolitore di automobili. Giù, giù, verso il Capo di Leuca, mi sono quindi fatto strada tra le dettagliate informazioni fornitemi dagli anziani del paese, affidabili motori di ricerca d’ogni paesino. Le soffiate mi portarono in un bar. Rocco era lì dentro. Mi ero finalmente convinto. Gli avrei spiegato cosa fare e amen. Già, cara vecchia Fiat, ho deciso di demolirti. Cambio macchina. Mi sono indebitato di rate mensili per i prossimi cinque anni. Prima però ti scrivo.
Raggiungere Rocco, una volta individuato, non era semplice. Bisognava dapprima superare i cazzari. Io ritenevo che i cazzari da Bar Sport, quelli, per intenderci, che Stefano Benni raccontò con straordinario umorismo oltre trent’anni fa, fossero scomparsi. Macché. Da quelle parti qualcuno era sopravvissuto all’estinzione. Ne avevo le prove. Appena entrato, un esemplare di Homo Cazzarus si era palesato a me esponendo a voce altra il suo brillante curriculum. Ovviamente senza che né io né i poveri astanti, mattina presto ed ancora privi di caffeina, si fossero sognati di chiedergli qualcosa. Mi guardavo attorno, in quel bar. Anche l’arredamento circostante ed i suoi monili richiamavano Benni. Il vaso dell’Amarena Fabbri utilizzato per le arance. Le redivive mentine Saila. Il Cinzano lassù in vista, dove si espongono le novità. E tutto ciò richiamava, a sua volta, la mia automobile. L’abitacolo dei miei vent’anni. L’abitacolo delle prime sigarette a colpi di tosse e poi subito giù il finestrino per mandar via l’odore di fumo e non essere sgamati. L’autoradio a cassette da seppellire in qualche cimitero della tecnologia. L’autoradio che mangiava nastri punk. I nostri panini presi al camioncino e divorati qui dentro. L’aria calda che emanava aria fredda. E poi le serate in giro per la provincia. Non sbagliavi mai. Mai a fare capricci quando mi portavi a qualche colloquio di lavoro. E quelle notti a trasformarti in alcova tra vecchi parcheggi di campagna. Impacciati, scomodi, ad abbassar sedili e approfittare delle tenebre. Il parabrezza diventava uno schermo in hd. Grazie di tutto, cara vecchia automobile. Rocco, vecchia mia, mi spiega che è pronto a staccarti i pezzi ancora utilizzabili (una specie di donazione degli organi) e a ridurti in poltiglia. Per conoscenza sappi anche tu, Frà, che sei stata la prima donna ad aver occupato questi sedili, e tra qualche minuto l’automobile che ha ospitato le nostre prime carezze non ci sarà più.
Ho pagato e senza voltarmi sono uscito da quella infernale macchina del tempo.
Ti amo e ti rottamo.
Far sorridere e poi commuovere in sole 36 righe non è da tutti. Bello! ;)
grazie Pier Paolo! ;-) …e un grazie esteso a tutta la redazione!
Non è facile lasciare andare una parte della propria storia alla spietatezza di un demolitore di auto. L’oggetto, in questo caso l’automobile, è compagno di vita alla pari del pensiero, solo che il pensiero si evolve, nella migliore delle ipotesi, mentre l’oggetto invecchia. Tradimento e necessità, caro Massimo. Il tuo spirito allegro allevia il dispiacere della perdita e il tuo sentimento lo promuove ad arte, l’arte della sensibilità e del ricordo più intimo della felicità.
Meno male che non hai rottamato la Fra’ al posto della Fiat!
Ah ah ah! :-) Però l’idea che i destinatari di amore e rottamazione potessero essere equivocati mi piaceva molto. Quindi ho voluto concludere così. Grazie Raffaella :-)