di Rocco Boccadamo
Intorno al ventisei – ventisette settembre, anche al mio paese natio vige la secolare tradizione e devozione di festeggiare i Santi Medici Cosma e Damiano: celebrazioni, sia di carattere civile (luminarie, addobbi, fuochi d’artificio, complessi bandistici), sia d’impronta meramente religiosa (novena, processione del simulacro dei Santi per le vie cittadine, messa solenne, panegirico).
Ovviamente, sull’insieme dei riti, ha man mano inciso l’evoluzione dei tempi e la modifica dei costumi, pur tuttavia, in seno alla sensibilità collettiva, la ricorrenza resiste ancora.
A proposito dei venerati fratelli “dottori” e martiri della fede, mi piace tratteggiare, con brevi e semplici accenni, come e con quanta intensità, nelle stagioni passate, fosse vivo il trasporto e l’autentico e convinto credo nei loro confronti, e ciò indistintamente in ogni famiglia.
L’occhio di riferimento e i pensieri d’invocazione alla loro aureola e forza di santità rappresentavano in pratica una costante quotidiana, specie alla presenza di problemi o di timori inerenti alla salute e al benessere fisico, ma anche di là da questi specifici, importanti aspetti esistenziali.
Inoltre, frequenti erano i racconti e le testimonianze su apparizioni in sogno delle figure dei Santi in questione al capezzale del bisogno o dell’incertezza o del dubbio. Sì, in ciò non mancava, verosimilmente, l’influsso della suggestione religiosa, ma, comunque, c’era la prova di un legame forte che s’instaurava naturalmente in ciascuno sin dall’infanzia, senza mai cedere o venir meno in prosieguo di tempo.
Soprattutto, non occorrevano miracoli o prodigi clamorosi, si era spontaneamente convinti di avere in Cosma e Damiano una sorta di ala protettrice.
In relazione e in concomitanza con la festa dei Santi Medici, mi sovviene un piccolo ma particolare ricordo.
C’erano, al paese, due coniugi, zi’ Franciscu (Francesco) e Pietrice (Beatrice), senza figli, già anziani o quasi vecchi all’epoca della mia infanzia, due persone buone e pie, miti, generose, quasi una coppia di santi sulla terra.
Abitavano in una piccola e modesta casetta terranea dietro la Chiesa Matrice, con adiacente giardino in cui campeggiavano due “preule” (pergole), antiche come i padroni, con altrettante varietà di grappoli, ovvero uva ”minnivacca” ( o “mennavacca”), per la vaga somiglianza degli acini alle mammelle delle mucche e uva “brunesta” (prunesta) dallo smagliante e luminoso colore blu scuro.
Ebbene, il 27 di settembre, insieme con la celebrazione della festa dei Santi Medici, si compiva puntualmente e immancabilmente un’altra cerimonia, sempre identica: zi’ Franciscu e Pietrice donavano alla mia famiglia un “panareddru” (piccolo paniere) contenente un discreto quantitativo degli anzidetti grappoli, nonché una manciata di noci appena abbacchiate e sgusciate, pure di loro produzione.
Un gesto di gentilezza, delicatezza, un atto disinteressato che non richiedeva nulla in cambio, cui i due anziani tenevano con la stessa intensità riferita ai festeggiamenti e alla devozione ai Santi e che, in fondo, era atteso e gradito molto anche dalla mia famiglia.
Per molti anni, è toccato a me recarmi a casa di zi’ Franciscu e Pietrice per ritirare il mitico paniere di uva e noci.
queste persone facevano parte di un piccolo mondo antico che ormai non esiste più e che io rimpiango, complimenti per l’articolo.